casa-delle-aieSegnatevi la data: 5 aprile 2019, ore 21. La lodevole iniziativa dei “Venerdì culturali della Casa delle Aie”, lo storico locale nella campagna di Cervia, prevede un incontro con il prolifico e appassionato scrittore-gastronomo Graziano Pozzetto su: “Trenta libri dedicati alla Romagna (cultura antropologica e gastronomica)” con intermezzi musicali di Erik Scalini alla fisarmonica. L’incontro sarà l’occasione per ripercorrere un itinerario culturale che nell’arco di alcuni decenni ha portato Graziano a realizzare 34 opere che hanno approfondito uno degli elementi identitari (le cucine, appunto) di maggior rilievo della Romagna.

Mi fa compagnia in queste serate finalmente piovose proprio il secondo dei tre volumi di Graziano, l’“Enciclopedia gastronomica della Romagna” (casa editrice Il Ponte Vecchio, Cesena: il terzo arriverà a novembre 2019) che mi porta davanti agli occhi una cinquantina di grandi padri della cultura di quella amata terra, da Piero Meldini all’ “artusiano” Alberto Capatti, da Piero Camporesi a Gianni Quondamatteo a Vittorio Tonelli e Libero Ercolani, da Giovanni Manzoni all’onnipresente (nei suoi libri) Tonino Guerra, il poeta che ci ricorda che “nella vita noi continuiamo a mangiare l’infanzia”, i piatti della mamma che ci hanno fatto star bene e fatto crescere bene. Del libro riporto proprio la premessa di Pozzetto con la prefazione poetica del caro, indimenticabile Tonino Guerra risalente ai suoi anni di “schiavo di Hitler” nel lager di Troisdorf. (s.g.)

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Graziano Pozzetto (classe 1942, San Biagio d’Argenta all’incrocio delle province di Ferrara, Ravenna e Bologna) è giornalista, scrittore, gastronomo, bibliofilo, ricercatore, giornalista, finalista del Premio Bancarella Cucina, con il libro: La piadina romagnola tradizionale (Panozzo, Rimini) e a lui è stato conferito il Premio Baldassarre Molossi 2011 alla carriera. Ha firmato 34 libri e 2.300 incontri.

Uno dei grandi doni che la vita mi ha fatto, nell’ultimo quarto di secolo, è stato l’incontro con Tonino Guerra. Ovviamente Tonino è stato un grande regalo per tutti i romagnoli, ma non solo: grande artista; poeta; autore e sceneggiatore di grande cinema con i maggiori registi del grande cinema; magnifico protagonista e interprete di millanta manifestazioni. Ci ha lasciati a 92 anni appena compiuti il primo giorno di primavera dell’anno 2012, giornata mondiale della poesia e compleanno della moglie Eleonora “Lora” Kreindlina, conosciuta da Tonino nel ’75 e sposata a Mosca nel ’77.

La sua generosa e intensa amicizia mi ha regalato splendidi frutti: sul piano intimamente personale le parole di Tonino sono state spesso consolazione e terapia dell’anima, poesia come pane e tanti momenti di felicità.

Ricordo i tanti incontri nella sede dell’Associazione (a lui intitolata) a Pennabilli, a esempio sui “frutti dimenticati” dei quali Tonino è stato il pionieristico e poetico profeta.

Ricordo altresì tanti incontri amicali (talvolta conviviali da me organizzati) nella sua magnifica e operosa “Casa dei mandorli”, le tante collaborazioni poetiche per me ogni volta motivo di orgogliosa condivisione ai miei libri: copertine, prefazioni, dediche, evocazioni, testimonianze di cibo e di mangiari della sua infanzia, della sua mamma, della trattoria La Peppa, degli Zaghini a Santarcangelo di Romagna, nell’àmbito di una visione della Romagna “rinascimentale”, sobria, poetica, gentile e civilissima.

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La Casa delle Aie, nella campagna di Cervia, dove il palato ha un appuntamento quotidiano con la storia. La prima attestazione precisa risale al 1777, su progetto del maestro Girolamo Rossi. Oggi fa capo ai fratelli Battistini e presenta interessanti proposte di degustazione di piatti della tradizione gastronomica romagnola. Info: tel. 0544.927631.

Particolarmente intensi e nel contempo consapevoli, in relazione alla sua grave e inesorabile malattia, gli incontri del suo ultimo anno quando – lasciata Pennabilli – è tornato nella nativa Santarcangelo.

La prefazione poetica di Tonino Guerra inizia con la sua consueta dedica: «Dedico queste mie storie ai contadini che non hanno abbandonato la terra, per riempire i nostri occhi di fiori a primavera».

Condivido poi con i cortesi lettori l’ormai mitico racconto delle “tagliatelle immaginarie” evocate dall’allora poeta in erba Tonino Guerra, nel campo di prigionia in Germania nell’anno 1944, con un gruppetto di romagnoli, autorevole patrocinatore il dottor Gioacchino Strocchi di San Pietro in Vincoli, che lo scoprì come poeta.

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Il secondo della collana in tre volumi – ognuno dei quali autonomo e in sé concluso – per raccogliere e riassumere l’intera esperienza del maggior “cronista investigativo del gusto e della tradizione enogastronomica della Romagna” (copyright Ernesto Giuseppe Alfieri, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, autore della presentazione). 496 pagine, Società editrice “Il Ponte Vecchio”, Cesena, di Roberto e Marzio Casalini. Qui il link per acquistarlo.

Le tagliatelle immaginarie della prigionia in Germania di Tonino Guerra

Intense e nel contempo reali le ricordanze di cibo che Tonino ci ha regalato negli anni, dai mangiari che gli faceva la mamma Penelina, carichi di bontà e affetto, cari al cuore e al palato, dai sapori e dai profumi indimenticabili, ai piatti de La Peppa di Pennabilli, alle tagliatelle al ragù degli Zaghini a Santarcangelo che ha condiviso con i grandi personaggi di cinema Mastroianni in testa, ai liquorini dei “frutti dimenticati” che gli ho preparato negli ultimi quindici anni.

In particolare Tonino ripensava con tenerezza a quando si godeva un mondo, in occasione della festa del Natale, e in casa la mamma si dava da fare per tutta la notte della vigilia. Alla mattina del grande giorno, la mamma gli dava il vestito più bello: allora Tonino scappava di corsa in piazza a Santarcangelo a farsi vedere. A mezzogiorno in punto, alla tavola addobbata, si mangiava tutti insieme in santa pace. Per le vie di paese dominava l’odore delle ciambelle, trasportate dal forno alle singole case. Poi nel resto della sua lunga vita, il poeta ha continuato a “mangiare l’infanzia” nella rivisitazione delle minestre che gli faceva la mamma e che considerava le migliori del mondo: pasta e fagioli; pasta e ceci; tagliolini in brodo o al sugo di pomodoro; baffucci o battutini in brodo; passatelli in brodo; pappardelle e tagliatelle al ragù; gli zuflot, ovvero i maccheroncini di Santarcangelo che durante la sua infanzia si mangiavano in brodo. Al poeta ne bastavano pochi cucchiai o poche forchettate per essere sazio e felice.

Diceva:

Se tu, a cominciare da sette anni, e per i successivi dieci, venti anni, mangi le stesse cose buone, amorevolmente preparate da chi ti vuol bene, per tantissime stagioni o per tutta la vita, tu hai capito quello che vuole il tuo corpo, ormai è come l’aria che respiri. Solo con la maturità sono andato a mangiare fuori casa, a Roma ho patito la fame, ma la maggiore curiosità me le regalavano le paste asciutte. In giro per il mondo ho trovato proposte gastronomiche le più diverse: se pure con prudenza, ho cercato di provare tutto, se non altro per incontrare colori, sapori e odori nuovi. Eppure, con sobrietà, continuo a inseguire gli antichi sapori delle minestre della mamma. Quelle immagini, come quelle dell’infanzia, mi si sono stemperate nella memoria e si è poi ottenuta la mia devozione per le tagliatelle.
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Una rara immagine che ritrae Federico Fellini (a destra) con il suo sceneggiatore preferito, il poeta romagnolo Tonino Guerra, durante una pausa di lavoro sul set. Insieme hanno vinto l’Oscar con Amarcord (1973). Ci stiamo preparando a festeggiare, l’anno prossimo, i cento anni dalla nascita di entrambi questi grandi italiani da esportazione.

Intense e reali dunque le ricordanze di cibo di Tonino, come reali sono le mangiate e le bevute raccontate in questo volume.

Altrettanto poeticamente evocative, ma decisamente immaginarie le tagliatelle che Tonino raccontava ai compagni di prigionia in Germania, avviliti e umiliati dai morsi della fame a lungo inappagata.

Ricordava con tristezza al cuore il Natale del ’44, quando si trovava in prigionia a Troisdorf, con una tuta in prestito, in giro per le strade, senza pane, lontano da casa e senza l’amore di nessuno.

Affidiamoci alle sue parole:

Ma ricordo le tagliatelle immaginarie della prigionia, quando nei giorni più disperati e terribili della fame, aiutato dalla mia predilezione per le tagliatelle al ragù, che poco più che ventenne, avevo cominciato a mangiare nelle trattorie di Santarcangelo, mi ritrovai a raccontare ‘tagliatelle immaginarie’ ai romagnoli e agli italiani, prigionieri come me nelle baracche di un lager tedesco. Proprio in un giorno nel quale un bombardamento distrusse anche la scarsa e pessima brodaglia che ci avrebbero servito per cena. Anche sul nostro campo erano cadute tante bombe.

Tra i mangiari, quello che riscuoteva maggior successo gastronomico nei miei racconti in quel lager, erano le tagliatelle di mia madre: quando le descrivevo, la fantasia dei compagni si scatenava e suscitava emozioni, quasi palpabili, di gratificazione dello stomaco e della memoria, non senza allegrezza di cibo. Parlavo della madia di casa, entro la quale mia madre impastava una montagnola di farina bianca, con tante uova di giornata, di un pollaio periferico di Santarcangelo, lavorandole con impegno ed energia, considerando che si trattava di una donna piccola ed esile, che iniziava la sua giornata alle quattro del mattino. Poi, sul tagliere azzurro, attaccato a una parete di cucina, con l’aiuto del matterello, assottigliava l’impasto lavorato e riposato, ottenendone una bella sfoglia, rotonda, sottile, morbida, setosa, intatta, dal bel colore giallo intenso. Raccontavo poi, e tutti pendevano dalle mie labbra, deglutendo di già tanta saliva, delle tagliatelle tagliate con mano abile e ritmata, raccolte dapprima a mucchietti e poi stese allineate nell’ampio tagliere. Poi tutte assieme fatte cadere nell’acqua bollente e fumante della pentola, per una rapida scottatura. Appena salite in superficie, venivano scolate e accolte nella zuppiera per essere condite con la forma grattugiata, il ragù di carne e una noce di burro. Tutte le operazioni venivano raccontate ed eseguite con una fantasia ‘reale’. Specialmente con marcati gesti, distribuivo abbondanti porzioni ‘invisibili’ a tutti, allucinati, incantati, emozionati, in un certo senso ‘appagati’ con gli occhi sgranati e la fantasia della fame.

Non mancavano coloro che prendevano il bis! Benedette tagliatelle!

Tornato a casa dalla Germania ho ritrovato gli odori dell’infanzia, capaci di farmi scoppiare di felicità, delle minestre mentre venivano versate dalla pentola alla zuppiera, posta al centro della tavola, odori che invadevano la cucina e si impossessavano di noi seduti intorno.

Altri gli odori dell’infanzia che ricordo: quelli della calda, un tantino bruciacchiata piada, tagliata e servita a scottadito con il raveggiolo, una carezza del palato ogni volta che riuscivo ad averlo da Casteldelci.

Un altro era l’odore di quando in gioventù, assetato, giravo d’estate per le campagne e mi piegavo a bere l’acqua appena sollevata con un secchio da un pozzo contadino e mi arrivava al naso l’odore dell’aceto fatto cadere a goccia sull’acqua fresca e limpida, per dissetare la gente che faticava nei campi e il sottoscritto che andava all’avventura, alla caccia di rane, lucertole e ramarri.

Questa è la testimonianza di Tonino che sa ancora regalare la felicità all’anima.

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LA VIDEORECENSIONE

Graziano Pozzetto ci restituisce i frutti dimenticati (e indimenticabili) della Romagna: una passeggiata nella cornice dell’orto-museo ideato dal poeta e profeta Tonino Guerra a Pennabilli, nel Montefeltro romagnolo, tra piante e frutti che producono antichi sapori e nuova letteratura.