Nome | Angela (Angiolina) |
Cognome | Montagna |
Data di nascita | 1946 |
Luogo di nascita | Pavia |
Data di morte | 9 dicembre 2011 |
Nazionalità | Italiana |
Segni particolari | Madre coraggio |
Il flash dell’ANSA; la principale agenzia di stampa italiana, arrivò alle 14,01 del 10 dicembre 2011:
Da tutti conosciuta? Un nostro piccolo sondaggio indica come sia stata dimenticata la figura di questa donna che ci ha insegnato quanta forza per combattere può avere ogni mamma. E allora ricostruiamo quella storia esemplare per molti aspetti.
È il 18 gennaio 1988. Siamo a Pavia. Un’auto di piccola cilindrata, quelle che adesso chiamiamo city car, percorre la strada provinciale 205, “Vigentina”, così chiamata perché collegava l’omonimo quartiere milanese, un tempo comune autonomo, alla città di Pavia. Alla guida dell’auto c’è un ragazzo, Cesare. Ha poco più di 18 anni ed è un giovane come tanti altri ma è anche cresciuto in modo responsabile grazie a papà Luigi e mamma Angiolina e difatti percorre quella strada, la SP 205, a bassa velocità, perché quella sera, la sera del 18 gennaio 1988, tutta la zona del pavese è immersa in una nebbia fitta e Cesare ha promesso a mamma Angiolina di rientrare presto e di fare attenzione.
Sembra che tutto vada bene, Cesare è fermo davanti al cancello automatico di casa, è in procinto di entrare nel parcheggio. Mamma Angiolina e papà Luigi lo aspettano per la cena. All’improvviso la portiera dell’autovettura di Cesare si apre, due uomini a volto coperto gli intimano di scendere e di seguirlo, uno è dei due è armato di pistola e la punta alla tempia di Cesare. Ha inizio uno dei sequestri di persona più lunghi della storia criminale italiana: per 743 giorni Cesare Casella è in mano alla cosiddetta “anonima sequestri”. Il ragazzo viene trascinato in un garage poco distante dove trascorre i primi dieci giorni di prigionia, poi giù in Calabria, in Aspromonte.
I rapitori contattano telefonicamente la famiglia, chiedono otto miliardi di lire, poi cinque, poi uno. Papà Luigi in compagnia del figlio minore Carlo, dopo aver racimolato un miliardo di lire, scende in Calabria e, seguendo le istruzioni impartite dai rapinatori, paga il riscatto.
Sembra fatta! Angela è in trepidazione e attende l’arrivo del suo amato Cesare, del resto hanno fatto tutto quello che gli è stato richiesto. Hanno pagato. Cesare deve tornare a casa. Cesare però non torna. Anzi, i rapitori chiedono altri due miliardi di lire fino a salire a cinque miliardi per poi scendere nuovamente a un miliardo come quello già pagato.
I Casella non possono più pagare. I loro conti correnti sono bloccati con una decisione presa dal magistrato incaricato delle indagini. Tra l’altro, questa, sarà il preludio alla promulgazione della legge nr. 82 del 1991 che stabilisce appunto, in caso di sequestro, il blocco dei beni della famiglia della persona sequestrata.
La situazione precipita. I Casella ricevono una telefonata drammatica direttamente dai rapitori. Uno di banditi dà del bastardo a Luigi e dà un ultimatum. Cinque miliardi di lire altrimenti Cesare muore. L’intera famiglia Casella è allo stremo. Per mamma Angela, fino a quel momento spettatrice inerme della tragedia che ha colpito la sua famiglia, è troppo. Prende allora una decisione che la porta agli onori della cronaca ma soprattutto le spalanca la porta della storia del nostro Paese.
Contatta un cronista del quotidiano “La provincia pavese” e insieme con lui scende in Calabria, con l’intento di scuotere le coscienze e chiedere la liberazione di Cesare.
Piccola, minuta e con volto scarno, scende più volte in Calabria, in Aspromonte, vive e dorme in una tenda, si incatena nelle piazze calabresi di San Luca e Platì, scrive un cartello “Sto aspettando mio figlio da 17 mesi”. Incontra le donne della Locride, ottiene la loro solidarietà, le loro firme. La sua, non è una sfida sfrontata e arrogante, è la preghiera di una madre: arrivare ai cuori in silenzio, solo con i gesti. Suscita ammirazione e commozione.
Per tutta l’Italia Angiolina diventa “mamma coraggio”. Di lei parlano i giornali di tutto il mondo, a partire dal settimanale americano Time.
Alla fine Angela torna a Pavia, per “non intralciare le indagini”. Dopo qualche mese, infatti, viene arrestato l’esattore della banda, Giuseppe Strangio. Il cerchio finalmente si stringe attorno ai rapitori che il 30 gennaio 1990, ormai braccati dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, liberano Cesare Casella a Natile di Careri (Reggio Calabria), dopo 743 giorni di prigionia.
Dopo la liberazione, i volti di Cesare e di Angela per due –tre mesi diventano familiari su giornali e tv. Poi, dopo una breve parentesi di “euforia mediatica”, il nulla. Il silenzio. Finalmente Angela può tornare alla sua vita di sempre, accanto alla propria famiglia.
Angela muore il 9 dicembre 2011, dopo aver combattuto per tre anni contro una malattia inesorabile. Accanto a lei, suo figlio Cesare e la prima delle sue quattro nipoti, Cloe Angelina. Mamma coraggio muore dopo essere diventata “nonna coraggio”.
Perché Angela
La forza di un gesto. Il coraggio di metterci il proprio corpo. Esserci. La potenza del gesto di Angela sta tutto in quello che fa, non in quello che dice: protegge! Quando incombe la lotta, una donna non pensa al saccheggio, non fa calcoli su quello che potrebbe essere utile a lei e alla sua causa, non pensa alla sua vita. La donna difende gli ideali in cui crede. La donna protegge i suoi cari. Angela Casella, donna tranquilla, è stata costretta a reagire, dagli eventi. È entrata nella storia diventando “madre coraggio” dalla porta principale senza però eccessi, senza dichiarazioni choc, ma con la forza di una madre per un figlio. Gli uomini non potranno mai capire il bisogno profondo, il legame unico che unisce indissolubilmente una mamma al proprio figlio. Con quel gesto Angela ha voluto lanciare un messaggio al suo Cesare: “Stai tranquillo, non sei solo, mamma è qui. Il tuo dolore è il mio dolore”. Il messaggio però è universale. Angela infatti incarna perfettamente la figura della donna-madre, “Madre coraggio” dove la parola coraggio è soltanto uno dei tanti modi per definire la donna.
Sfogliando i giornali dell’epoca, s’incontra la storia (Corriere di Calabria) di un’altra madre-coraggio: una giovane donna di Rosarno, Maria Concetta Cacciola. Lei aveva deciso di collaborare con la giustizia rivelando quello che aveva saputo sulla struttura della ‘ndrangheta. Aveva, però, lasciato il programma di protezione per tornare in Calabria e riabbracciare i suoi figli, che erano rimasti con i nonni. Si è uccisa ingerendo acido muriatico. Su di lei, Angela aveva espresso un giudizio:
Dalla collana Storie di Donne non comuni,
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