Nome Renata
Cognome Fonte
Data di nascita 10 marzo 1951
Luogo di nascita Nardò (Lecce)
Data di morte 31 marzo 1984
Nazionalità Italiana
Segni particolari Consigliere comunale, ambientalista
Orchidea Ophrys Renatafontae

Il nuovo ibrido di orchidea spontanea dedicato a Renata Fonte, Ophrys Renatafontae. È stata descritta dai naturalisti salentini Roberto Gennaio, Marco Gargiulo, Piero Medagli
e Francesco Salvatore Chetta.

I salentini che, liberati dalla quarantena forzata, volessero fare un incontro magico con un fiore insolito, la Ophrys Renatafontae, orchidea derivata dall’incrocio tra le rare Ophrys candica e la Ophrys parvimaculata, hanno ancora pochi giorni di maggio a disposizione. Il fiore si trova nei campi incolti all’interno del Parco naturale regionale Porto Selvaggio, un’area naturale protetta della Puglia: la si incontra nel Salento, a Nardò ed è inserita dal Fondo Ambiente Italiano nell’elenco dei 100 luoghi da salvare. Porto Selvaggio è un luogo straordinariamente magico.


Fotogallery

Un mondo in quattro foto

Le due orchidee che, incrociate, hanno fatto nascere sulla costa

di Porto Selvaggio il raro fiore dedicato a Renata (foto Vittorio Giannella)

Orchidea Ophrys Parvimaculata

Ophrys Parvimaculata

Ophrys Parvimaculata

Orchidea Ophrys Bertolonii

Ophrys Bertolonii

Ophrys Bertolonii

La costa tra Gallipoli e Santa Maria Al Bagno

La costa tra Gallipoli e Santa Maria Al Bagno.

La costa tra Gallipoli e Santa Maria Al Bagno.

Le dune a Campomarino

Le dune a Campomarino.

Le dune a Campomarino.


È possibile, per esempio, ammirare delle vere e proprie “lacrime azzurre”, in realtà colonie di Noctiluca scintillans, alga microscopica che in primavera illumina le coste di zone marine del Salento grazie alla sua bioluminescenza.

alghe-bioluminescenti-puglia

Le alghe che illuminano e colorano il mare del Salento sono le Noctiluca scintillans. Conosciute anche come Fuoco di mare, queste alghe sono molto piccole e tondeggianti e, in natura, si presentano o rosse o verdi: le prime si nutrono di diatomee e uova di pesce,
le seconde invece si nutrono di plancton e vivono in simbiosi con altre alghe. (foto Fanpage.it)

Oppure comprendere come l’Homo di Neanderthal abbia lasciato in questa terra che fu una delle capitali di quell’epoca neanderthaliana lo spazio all’Homo Sapiens osservando i reperti attualmente custoditi al Museo della Preistoria di Nardò.

Renata Fonte, un nome spesso dimenticato dai giovani e dagli stessi suoi concittadini. Chi era? E perché il suo nome è legato al nome di un fiore raro in luogo unico? Sì, Renata Fonte è un fiore raro di umanità legato a queste bellezze naturalistiche che compongono il Parco di Porto Selvaggio: fu proprio per difendere quegli alberi e quella baia che Renata perse la sua vita per mano di mafiosi.

C’è una foto, ingiallita, scattata alla fine degli anni Settanta. Ritrae una ragazza, capelli lunghi rossi, faccia pulita, sguardo profondo, con un fiore tra i capelli, una grande orchidea. Quella giovane donna è lei, Renata. Nasce a Nardò (Lecce) il 10 marzo 1951. Trascorre la sua infanzia e la sua adolescenza tra Chieti e Nardò, a causa della separazione dei genitori. Frequenta il liceo classico di Nardò. In quegli anni incontra Attilio Matrangola, giovane sottufficiale dell’Aeronautica. Renata e Attilio sono innamorati e vogliono creare subito una famiglia e avere dei figli. Si sposano presto. Dalla loro unione nascono Sabrina e Viviana, due bellissime bambine.

La giovane coppia cambia spesso città a causa degli incarichi di lavoro di Attilio, ma questo non ferma Renata, che riesce a conseguire il diploma di maturità magistrale e addirittura superare il concorso per l’insegnamento.

Nel 1980 Attilio è trasferito a Brindisi e per Renata finalmente è un ritorno a casa. Inizia a insegnare nella scuola elementare di Nardò e riesce a iscriversi all’università a Lecce, facoltà di lingue e letterature straniere.

Assessora alla cultura

È all’università che Renata conosce Pantaleo Ingusci, “zio Lelè”, avvocato, storico e antifascista. Per lei si aprono le porte della politica ma soprattutto dell’impegno sociale. Renata milita nel PRI (Partito Repubblicano Italiano). La sua passione e la sua competenza la portano a essere nominata ben presto segretario del partito a Nardò ma soprattutto la prima donna consigliere comunale e assessore (alla cultura e alla pubblica istruzione) del comune di Nardò.

L’amore per l’ambiente, per la sua terra, portano Renata a partecipare attivamente a quelli che sono i problemi legati alla tutela del territorio. È posta alla direzione del Comitato per la tutela di Porto Selvaggio. In realtà era già stato istituito il Parco naturale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano ma quel parco era definito “attrezzato” lasciando un’ampia interpretazione sull’uso consentito.

Renata comprende che quell’angolo di paradiso è in pericolo e lotta con tutte le forze. Lo fa perché ci crede, perché ama l’ambiente e soprattutto perché ama la sua terra, quella che è anche la terra delle sue figlie, dei suoi concittadini. In questo periodo però Renata resta sola.

Attilio, infatti è costretto a lasciare Nardò e addirittura recarsi, per motivi di lavoro, in Belgio. Renata resta a casa, resta a Nardò. Sente che deve fare qualcosa, non avrebbe mai perdonato a se stessa di rinunciare a lottare per amore della sua terra.

In particolare è l’area di Porto Selvaggio a essere in pericolo. Renata sa che qualcuno ha interesse a realizzare e costruire un villaggio turistico. Una mostruosità. Una cicatrice sul volto di quell’oasi naturale. Renata non può permetterlo. Si batte con tutte le sue forze, impegnandosi pubblicamente e coinvolgendo giornali, radio e tv locali creando tanta attenzione sul tema. Riceve minacce di morte. È sola. Ma nulla ferma questa giovane donna, animata solo di amore per la propria terra.

La sua è una missione difficile e pericolosa perché tocca gli interessi di persone senza scrupoli, legate alla criminalità locale.

“Il sonno della ragione genera mostri”

È la sera di sabato 31 marzo 1984. È da poco entrata la primavera, è piacevole camminare per strada e, infatti, Nardò è piena di giovani. Renata è sola e sta tornando a casa. È appena finito il consiglio comunale, una riunione tesa, una delle tante, in cui Renata caparbiamente sta riuscendo a proteggere Porto Selvaggio. La sua mozione, che non consente nessuna opera di cementificazione a Porto Selvaggio, è passata. Renata è felice ma sa che è stata dura e soprattutto che questo suo risultato a qualcuno non è proprio andato giù. Adesso però non ci pensa. Ha due figlie che aspettano la loro mamma e a loro ha promesso di trascorrere il giorno successivo, la domenica, al cinema. The day after è il titolo del film.

Renata è quasi giunta al portone di casa quando all’improvviso, dal nulla, sbucano due uomini che le sparano a bruciapelo tre colpi di arma da fuoco. Per Renata non c’è nulla da fare. Così, a soli 33 anni, muore Renata Fonte. Giovanni Spadolini, il leader repubblicano all’epoca ministro della Difesa, arrivato da Roma per seguire il funerale, evoca Goya:

Il sonno della ragione genera i mostri della violenza, dell’intolleranza, dell’odio cieco.

Le indagini partono immediatamente. La prima ipotesi, scartata subito, è che si è trattato di un delitto passionale. Ma l’ipotesi è subito accantonata. In seguito, grazie al contributo di due testimoni, due donne, sono identificati gli esecutori materiali. Di lì a poco viene ricostruito quanto accaduto.

Alla fine dell’iter processuale, sono condannati, Giuseppe Durante e Marcello My come esecutori materiali, Mario Cesari e Pantaleo Sequestro come intermediari e Antonio Spagnolo quale mandante. In particolare quest’ultimo, collega di partito di Renata, alle elezioni amministrative era stato il primo dei non eletti e quindi alla morte di Renata è subentrato nel Consiglio comunale di Nardò assumendo l’incarico di assessore. La sentenza sostiene che Antonio Spagnolo è persona di fiducia dei clan locali e che avrebbe dovuto occupare lui il posto in Consiglio comunale, al posto di Renata, per garantire agli stessi uomini dei clan di poter mettere in atto le loro intenzioni di cementificare zone come quelle di Porto Selvaggio, per compiere i loro sporchi affari. La sentenza getta un’ombra sull’eventuale coinvolgimento di terzi, interessati a individuare e favorire qualcuno in grado di portare avanti le intenzioni speculative progettate. Purtroppo queste persone non sono state ancora individuate.

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L’impegno affinché la sua memoria non cadesse nell’oblìo è iniziato nel 1998: in memoria di Renata è fondata l’associazione “Donne Insieme” e poi l’associazione Rete Antiviolenza Renata Fonte, primo centro antiviolenza riconosciuto dal ministero dell’Interno in collaborazione con il ministero delle Pari Opportunità (nella foto in alto, la targa).

Cristiana-Capotondi-Renata-FonteNel 2002 Renata Fonte è stata riconosciuta vittima della mafia, prima e unica amministratrice donna uccisa. Le sono stati dedicati nel 1988 un film La posta in gioco (tratto dal libro di Carlo Bollini, per la regia di Sergio Nasca e interpretato da Lina Sastri, Turi Ferro e Vittorio Caprioli: su YouTube il film completo) e, nel 2018, una fiction Renata Fonte – una donna contro tutti (con Cristiana Capotondi, immagine a destra, nei panni di Renata e Peppino Mazzotta in quelli del commissario Gerardi le cui indagini portarono alla risoluzione del caso). La sua storia è ricostruita anche da Antonella Mascali nel libro Lotta civile, Chiarelettere, 2009.

A Renata è intitolata una piazza di Nardò e il presidio dell’associazione Libera di Nardò. All’interno della stessa associazione di Don Ciotti, le sue idee e il suo ricordo rivivono attraverso l’impegno di Viviana Matrangola, sua figlia.

Nel frattempo quel Salento a rischio cementificazione, l’incantevole Porto Selvaggio, è diventato meta di turisti, attratti dalla straordinaria bellezza dei luoghi e dal loro splendore naturale. Nel segno di Renata e della sua rara orchidea.

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Renata Fonte

(Qui e in apertura) Renata Fonte.

Perché Renata

Nel linguaggio dei fiori, l’orchidea è simbolo di affetto e di amore, in Oriente addirittura viene regalata ai bambini perché rappresenta la perfezione e la purezza. Piace pensare che in qualche modo si siano “scelti”, Renata e il fiore. Non può essere altrimenti visto l’amore per la propria terra che ha portato Renata fino all’estremo sacrificio. E non è un caso che, laddove era previsto cemento e calcestruzzo, sia nata una varietà unica di orchidea. È il trionfo di questa donna speciale, Renata, che ha di straordinario l’amore per la sua terra e la visione di un mondo pulito, un luogo magico da regalare alle generazioni future.

Renata insegna a tutti noi che è lecito opporsi quando gli interessi collettivi sono in pericolo, che bisogna lottare per la nostra terra, che si può anche alzare la voce per difendere il nostro ambiente ma soprattutto Renata ci insegna a non guardare dall’altra parte e a lottare per la qualità del territorio. Quando si dice che l’ambiente ci circonda significa che l’ambiente ci abbraccia, non dobbiamo mai credere di esserne padroni ma, piuttosto, rispettarlo e soprattutto amarlo. Renata è, è stata e sarà un modello e un simbolo per tutti.

Ce lo ricorda la figlia di Renata, Viviana, che in un’intervista del 2009 a Liberainformazione ha spiegato:

Mia madre è un modello non solo per noi, ma per tutte e tutti. In realtà lei, come tutte le altre vittime di mafia, non pensava di diventare un’eroina, perché faceva solo il suo dovere. Questo però fa capire l’ordinarietà di alcune vite che poi diventano vite straordinarie e modelli da seguire. È in questa luce che, noi figlie, leggiamo la reazione del paese al suo assassinio. Sicuramente nostra madre ha vissuto e ancora vive nel cuore delle persone che l’hanno incontrata e le hanno voluto bene. Ma c’è stata una volontà politica di dimenticarla. Per anni non si è fatto nulla per onorare il suo ricordo, forse perché ricordare una morte così tragica avrebbe significato automaticamente porsi delle domande. Crescendo, io e mia sorella, con la caparbietà, la determinazione e l’ostinazione che abbiamo ereditate da lei, siamo riuscite a rimettere in piedi il suo ricordo, la sua testimonianza. Io, per esempio, ho parlato di lei addirittura alle Nazioni Unite, a New York, quando ancora a Nardò si taceva.