I governi mondiali, alle prese con l’emergenza coronavirus, prendono tempo nel contrastare l’emergenza climatica. Un tempo che l’umanità non ha, visto che il Doomsday clock, l’Orologio dell’Apocalisse gestito dagli scienziati statunitensi a Chicago è a 100 secondi dalla fine, fonti: BBC, gennaio 2020; e libro di Maria Rita Parsi e Salvatore Giannella “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019). Per risvegliare conoscenze e indirizzare i giovani dai 13 ai 30 anni, quei ragazzi che hanno deciso di investire nel proprio futuro e in quello del pianeta Terra verso esperienze utili per raggiungere obiettivi personali e collettivi, aiuta il libro di Valentina Giannella e Lucia Esther Maruzzelli, efficacemente illustrato da Manuela Marazzi, che nasce dopo il successo internazionale delle stesse autrici “Il mio nome è Greta”. E ora?, si chiedono le autrici. Ora c’è tanto da fare, in tutti i settori, attraverso lo studio, le buone idee e il lavoro. A questa domanda e a chi se la pone, è stato dedicato Green Nation Revolution di cui il giornalista Mauro Garofalo, del quotidiano di Torino oggi diretto da Massimo Giannini, ha presentato il 5/4/2020 questa recensione-bussola. (s.g.)
Vi sono giovani nel mondo e start up, imprese, movimenti di piazza che, invece, stanno accelerando, se non l’ennesima annunciata rivoluzione, almeno il cambiamento. Mettendo le radici verso una società a basso impatto ambientale, in cui uomo e Natura siano non più antagonisti ma parti combinate di un unico habitat connesso. È quanto emerge dall’agevole manuale illustrato Green Nation Revolution – Le idee, i giovani e le nuove economie che stanno rivoluzionando il mondo e curando il pianeta di Valentina Giannella e Lucia Esther Maruzzelli, illustrazioni della partenopea Manuela Marazzi (Centauria Editore, centaurialibri.it, pag. 127, € 14,90): una sorta di prontuario per districarsi tra le maglie di un prossimo, necessario, futuro green narrato dalle stesse autrici del successo internazionale “Il mio nome è Greta”.
Autrici italiane operanti tra Hong Kong e Milano
Dobbiamo imparare però una sintassi nuova per il quotidiano, rispondono Giannella e Maruzzelli da Hong Kong (lì le due giornaliste milanesi hanno creato l’agenzia editoriale Mind the gap che vuole essere un ponte tra Milano e l’Europa con la Cina e l’Oriente, ndr: mindthegaphk.com) mentre nel mondo imperversa il coronavirus:
Come impegnarsi nel concreto
Oltre le idee, i progetti si fanno con le azioni. Economia circolare. Impegno civile. Lavoro. Il manuale mostra come impegnarsi nel concreto. Al suo interno anche una sezione, Nuovi lavori:
Questo oggi, al più tardi nel domani nella Green Nation. Nel futuro lontano invece:
Precedente best seller: Il mio nome è Greta
Per stare al passo coi tempi bisogna studiare, e non a caso qui le autrici si rivolgono soprattutto al pubblico più giovane, la generazione Greta: «Noi ci auguriamo che Green Nation Revolution sia una fonte di ispirazione e un pratico aiuto per tutti i giovani che vogliono approcciare una carriera nel campo della sostenibilità a partire dalla scelta dei percorsi di studio universitari e professionali». Valentina Giannella e l’illustratrice Marazzi sono autrici tra l’altro de Il mio nome è Greta, tradotto in 25 paesi, 100 mila copie:
Nonostante le molte difficoltà del Belpaese, anche: «In Italia, il Politecnico di Milano ha introdotto il corso di laurea in Food Engineering da cui usciranno i profili che innoveranno la catena del valore dei processi produttivi dell’industria alimentare e delle bevande».
Voglia di cambiare stile di vita
A chi legge questo agile e colorato manuale, resta attaccata tra le dita forse anche un po’ di fiducia, che le cose possano davvero cambiare. Così come gli stili di vita, forse i più duri a morire: «Il perfetto abitante green è l’insieme di tutte le pratiche virtuose e le esperienze pioniere di sostenibilità che stanno fiorendo nel mondo e che si stanno propagando anche grazie alla connessione tra i ragazzi della Green Nation». Un esempio con un paradosso geografico post-Covid:
DA DOVE ANDREMO A RICOMINCIARE/ Un capitolo del libro
Reinventiamo la moda:
più tecnologia e creatività
per dare nuova forza
a un pilastro del Made in Italy
Per fare un paio di jeans ci vuole la quantità di acqua che ciascuno di noi ha mediamente bevuto negli ultimi sette anni: 7500 litri. Un dato talmente incredibile da sembrare impossibile. Siamo abituati a pensare che siano altre le industrie che impattano maggiormente sul cambiamento climatico e il consumo delle risorse naturali, invece la moda rappresenta da sola quasi il 10 per cento delle intere emissioni di gas serra, più del trasporto aereo e di quello navale messi insieme. A dirlo è la UN Alliance for Sustainable Fashion, nuova organizzazione delle Nazioni Unite nata alla fine del 2019 per monitorare l’impatto di questo settore e trovare, insieme agli scienziati e alle industrie, soluzioni compatibili con l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile e con la riduzione dei gas serra. È urgente farlo perché, se continuiamo con il business as usual, le emissioni da parte dell’industria potrebbero invece crescere del 50 per cento entro il 2030.
Secondo i dati, ogni anno il settore della moda utilizza 93 miliardi di metri cubi di acqua dolce, pari al fabbisogno annuale di cinque milioni di persone. Il risultato delle lavorazioni – soprattutto la tintura dei tessuti e del pellame – è inoltre responsabile del 20 per cento dell’inquinamento dell’acqua di tutto il mondo. Senza dimenticare che immette negli oceani l’equivalente di tre milioni di barili di microfibre all’anno. Insomma, un bel problema. Un problema che è esploso vent’anni fa, quando il mercato del fast fashion (la moda veloce che propone collezioni a raffica ogni poche settimane) ha preso il volo a livello globale. Oggi viene mandato in discarica un camion di abiti o accessori al secondo. I marchi principali e i grandi distributori stanno già riorganizzando il modello di business integrando i princìpi della sostenibilità, non solo rispetto alle emissioni globali ma anche all’inquinamento in generale.
Se da un lato i colossi come H&M, Zara e Gap fanno da apripista con investimenti in ricerca e formazione di personale specializzato in sfide nuove come questa, dall’altro ci sono miriadi di piccole e medie imprese in tutto il mondo che hanno bisogno di fare sistema per condividere invenzioni, soluzioni e linee guida che permettano di raggiungere un risultato globale soddisfacente. Perché, se nella nostra percezione di consumatori sono i colossi a occupare la maggior parte del mercato, in realtà la produzione è molto frammentata. In Cina, per esempio, i quattro big che confezionano moda veloce per altri marchi rappresentano solo il 5 per cento del totale dei produttori. Serve dunque un grande sforzo di comunicazione e di persuasione, sia da parte dell’industria sia da parte dei governi, per aiutare tutti gli altri imprenditori (nel caso della Cina, il 95 per cento restante) a imboccare strade sostenibili.
Ma quali sono le soluzioni? Serve un piano che metta insieme diverse azioni, la prima delle quali è la riduzione drastica delle fonti di energia fossili a favore di quelle rinnovabili in tutto il ciclo di vita del prodotto. In India e nei Paesi asiatici, il carbone rappresenta ancora la fonte principale di energia dei microproduttori. Secondo: creare sistemi di tintura che prevedano un utilizzo di acqua inferiore e che non riversino elementi tossici nell’ambiente. Terzo: usare i princìpi dell’economia circolare per riciclare le materie prime in nuovi prodotti, abbattendo così il costo in termini di emissioni. Un punto fondamentale è ancora una volta l’agricoltura rigenerativa: se oltre al riciclo delle fibre naturali come il cotone, per esempio, si applicassero i nuovi metodi per coltivare le piante in modo che contribuiscano a intrappolare la CO2 e a nutrire il suolo, invece di impoverirlo, il quadro sarebbe completo.
Quella della moda, dunque, è una delle industrie in cui ci sono più possibilità di lavorare a diversi livelli per raggiungere gli obiettivi della sostenibilità. Senza dimenticare l’aspetto creativo: trovare il modo di ridare vita a un materiale usato è importante tanto quanto scoprire una nuova tecnica per tingerlo o produrlo. Gli scenari ai quali si possono affacciare i ragazzi della Green Nation sono centinaia.
NUOVE TENDENZE ANTISPRECO
Compra di meno. Sceglilo bene. Fallo durare. Qualità, non quantità.
Tutti comprano troppi vestiti.
(Vivienne Westwood, stilista)
Il 24 agosto 2019 è una data importante per il settore della moda, perché segna il debutto di Fashion Pact, un patto tra i principali fashion brand che si impegnano ad agire in modo efficace per contrastare il cambiamento climatico. Ne fanno parte Gucci, Chanel, Hermès, Stella McCartney, H&M, Farfetch, Calzedonia e Nike: un totale di 56 aziende per 250 marchi internazionali. Non è solo un atto di responsabilità: queste aziende hanno capito che i ragazzi della Green Nation sono evoluti e informati quando fanno shopping. L’acquisto delle sneakers nuove, del piumino o del cappotto, anche di una palla da calcio o da basket implica, oggi, un atteggiamento consapevole che ridefinisce totalmente il modo in cui consumiamo la moda.
Una decina di anni fa Vivienne Westwood, l’eroina punk-ambientalista della moda inglese, precorrendo i tempi aveva scelto una microstruttura di giovani di Nairobi per produrre la borsa Handmade with Love (Fatta con amore, vedi foto in alto), diventata poi un’icona della moda etica. Dal 2015, la stessa azienda kenyota fornisce al brand molti accessori di fascia alta, fatti con tela e cotone riciclati, ritagli di pelle inutilizzati, carta. In questo modo si sviluppa un’alternativa sostenibile per creare ricchezza in aree del mondo in via di sviluppo e si permette ai lavoratori del luogo di trasmettere le proprie competenze alle generazioni successive.
La sostenibilità sta rimodellando le regole del gioco integrando etica ed estetica, lavorando sull’innovazione responsabile e usando con inventiva le nuove tecnologie.
Gli scienziati della londinese Worn Again Technologies ci hanno messo sei anni per capire come trattare i tessuti non più utilizzabili: «C’era bisogno di trasformare il vecchio in nuovo», dicono i fondatori. «La nostra tecnologia separa, decontamina ed estrae i polimeri di poliestere e cellulosa di cotone da fibre di scarto, bottiglie e imballaggi in Pet e li trasforma in nuove materie prime tessili, competitive anche a livello economico» (foto in alto). Geniale, no?
* Mind the Gap è un’agenzia internazionale di servizi editoriali e giornalistici che produce storie da Hong Kong e dall’Asia Pacific, Australia inclusa, per le testate e per editori italiani e internazionali.
Le fondatrici: Lucia Esther Maruzzelli e Valentina Giannella sono giornaliste professioniste con quasi vent’anni di esperienza nei principali giornali italiani. Oggi, dal Foreign Correspondents’ Club di Hong Kong, confezionano servizi e approfondimenti su misura insieme a fotografi e registi locali sull’asse Italia-Cina e dintorni. È di Valentina, con la Marazzi, il libro di successo del 2019 Il mio nome è Greta, tradotto in 25 Paesi, 100 mila copie.
Le collaborazioni: Sette, Oggi, Corriere.it, Io Donna, Living, Panorama, MF Fashion, Famiglia Cristiana, Touring Club, Civiltà del Bere, Il Fotografo, RadioRai e Rai. A Hong Kong, il Post Magazine del South China Morning Post. Contatti: Mind The Gap Ltd, Unit 305-7, 3/F, Laford Centre – 838 Lai Chi Kok Road / Cheung Sha Wan, Kowloon (Hong Kong). Email: info@mindthegaphk.com, web: mindthegaphk.com
Questi i titoli, oltre a “Reinventare la moda”, dei principali capitoli del libro Green Nation Revolution: Come osate?; Quando il gioco si fa duro; Nuova economia, nuova vita; Equità: la giustizia che cura; Costruire un mondo ideale con il lavoro; Be prepared; Pensate in grande; Out of the box; Start it up; Curare il terreno; Cavalcare l’onda; Riciclare; Rinnovare l’energia; La distribuzione intelligente; Volare alto; Mattoni verdi.
Al CNR 300 nuove assunzioni e stabilizzazioni
Caro Salvatore,
a proposito di ricercatori e tecnologi per la ripartenza nel segno della scienza, ti informo che presso il Consiglio nazionale delle Ricerche le assunzioni e le stabilizzazioni proseguono nonostante il Covid-19.
Nel mese di luglio, nonostante l’emergenza pandemia, l’attività di reclutamento del personale dal CNR prosegue, con oltre 300 tra assunzioni e stabilizzazioni, tutte meritocratiche e in grandissima maggioranza avvenute mediante procedure selettive e finalizzate alle aree strategiche di attività dell’Ente. Le stesse aree nelle quali il Cnr ha compiuto per la prima volta una mappatura sistematica, al duplice scopo di fotografare le risorse attuali e di programmare quelle future e gli investimenti, secondo un nuovo paradigma definito come “Ricerca per la ricostruzione”.
“Sono particolarmente orgoglioso che, nelle 27 aree strategiche che compongono il complesso quadro di un Ente fortemente multidisciplinare e dalle dimensioni rilevanti come il Cnr, siano stati assunti 190 giovani ricercatori mediante una selezione concorsuale altamente meritocratica”, ha commentato il presidente Inguscio. “Lo stesso criterio ha ispirato le stabilizzazioni, in stragrande maggioranza di ricercatori e tecnologi, che oltre ai 36 cosiddetti comma 1 hanno interessato 106 comma 2, sottoposti anch’essi in gran parte a un processo selettivo mediante concorso”.
Le aree di competenza che formano la multidisciplinarietà dell’Ente sono in effetti numerose quanto variegate: dai Cambiamenti globali agli impatti antropici, dalle Biotecnologie e Biorisorse all’alimentazione, dalle scienze della vita alla Chimica verde, dalla Micro-nanoelettronica alla Biomedicina, dalle Neuroscienze all’Ingegneria e alla Matematica applicata, fino alle Scienze del Patrimonio storico-culturale e della conoscenza. “Proprio per ottenere un quadro definito di questo mosaico di conoscenza, il Consiglio di amministrazione ha deliberato una mappatura in 27 Aree Strategiche di Ricerca e 4 settori tecnologici che consente di conoscere lo stato dell’arte e programmare strategicamente le politiche future”, prosegue Inguscio.
Il capitale umano resta insomma la prima e principale risorsa del Cnr. Proprio per questo il Cda, assieme alla mappatura – cui ha aderito la quasi totalità dei ricercatori e tecnologi (circa 5.000) e inclusiva anche dei settori tecnologici, dove la maggior parte del personale è destinata al supporto alla ricerca – ha deliberato l’applicazione di nuovi strumenti di valorizzazione delle risorse umane. Buon lavoro
PS: qui le 27 Aree Strategiche di Ricerca; qui i 4 settori tecnologici.