Nome | Proserpina Isotta |
Cognome | Gervasi |
Data di nascita | 21 novembre 1889 |
Luogo di nascita | Castiglione di Cervia |
Data di morte | 17 giugno 196, Modena |
Nazionalità | Italiana |
Segni particolari | Medico condotto |
Li abbiamo visti stremati dopo un turno, chinati su una tastiera del computer, ancora con il camice indossato, la maschera protettiva. Li abbiamo visti indaffarati passare da un letto all’altro, nel silenzio irreale dei reparti di terapia intensiva, con messaggi di speranza scritte sulle tute bianche, testimoni in prima linea di ciò che accade ai malati di Covid 19. Li abbiamo chiamati eroi e poi, nel più aberrante meccanismo che la natura umana può partorire, sono diventati capri espiatori della paura della morte e dell’angoscia che ci assale tutti, addirittura nemici per qualche gaglioffo (vedi le auto danneggiate dei medici e infermieri del turno di notte dell’ospedale di Rimini: a proposito, un grande elogio al Consorzio carrozzieri di Rimini e San Marino che, in 16, hanno riparato gratuitamente le auto assaltate. Ndr). Loro, però, sono solo uomini e donne che hanno scelto un lavoro, un lavoro duro che presuppone sensibilità, empatia, cura dell’altro. Nella storia della professione medica e in generale sanitaria, vi sono stati esempi straordinari di uomini e donne che hanno reso la professione medica una vera e propria vocazione. Una di queste è senz’altro Isotta Gervasi, “la dottoressa povera” che è entrata nella storia come prima donna medico condotto d’Italia.
Isotta nasce il 21 novembre 1889 a Castiglione di Cervia, prima di otto sorelle. Il padre Emilio, imprenditore edile, e la madre, Virginia Ridolfi, sono molto attenti all’educazione delle loro figlie e spingono soprattutto Isotta a dedicarsi agli studi. La giovane Isotta frequenta il liceo classico “Vincenzo Monti” di Cesena, poi a Ravenna, mostrando intraprendenza e curiosità. Isotta non sa quale futuro l’attende. Poi, un giorno qualunque, arriva la scintilla che cambia la vita di Isotta, mostrandole la via da percorrere.
È lei stessa a ricordarlo in un’intervista del 1965, quando racconta di aver salvato la vita a un giovane contadino a cui lei era rovinosamente caduta addosso, intenta a imitare gli acrobati del circo. Isotta guarda quell’uomo, comprende la gravità del momento e, in uno slancio di coraggio, pratica la respirazione artificiale applicando le regole apprese dal libro di scienze. Il contadino rinviene e ringrazia accoratamente Isotta per essersi presa cura di lui. È in questo momento che nasce la sua vera vocazione.
Finito il liceo, Isotta si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università di Bologna, allieva di Augusto Righi e Augusto Murri. Si laurea a Modena il 15 maggio 1917 e nel 1919 ottiene la specializzazione in pediatria. Comincia la sua professione medica alla clinica pediatrica modenese e nel 1919 diventa la prima dottoressa in Italia a ricoprire il ruolo di medico condotto. È una rivoluzione. Lavora a Savarna e Zaccaria, per poi continuare tra Ravenna e Cervia.
Siamo nel periodo fascista e Isotta deve affrontare non poche difficoltà e diffidenze, in una società ancora legata all’idea che alla donna e solo alla donna spetta il compito di avere cura dei figli e il governo della casa. La caparbia Isotta crede in quello che fa e dimostra di essere non solo molto capace nell’esercizio della professione ma scopre di avere una dote di sensibilità fuori dal comune. Per tutti Isotta diviene “la dottoressa dei poveri” o “l’angelo in bicicletta”.
Per molti anni la Gervasi macina, instancabile, chilometri e chilometri in bicicletta per raggiungere i suoi pazienti. La sua è una vera e propria passione che la spinge ad aiutare gli altri. È solita iniziare il giro di visite dalle persone più facoltose, accettando doni che poi ridistribuisce ai pazienti più poveri che visitava dopo.
Alla fine degli anni Venti, Isotta acquista una macchina, la Fiat 509, diventando una delle primissime donne alla guida di un’auto, un altro primato.
Durante la Seconda guerra mondiale però ritorna alla bicicletta. È questo il periodo in cui, instancabile, opera a ridosso della zona gotica, a Savio. Isotta non si risparmia, fedele a quel giuramento fatto il giorno della laurea, cura tutti, soldati di ogni nazionalità, sfollati e civili in difficoltà, tutto senza pretendere nulla in cambio. Così racconta una sua amica, Lina Sacchetti:
Finita la guerra, nonostante gli acciacchi dovute alle privazioni subite e al carico di lavoro si facciano sentire, continua a lavorare dimostrando disponibilità e professionalità. Gira ancora in bici, sul cui manubrio tiene due sporte di paglia, una contenente gli strumenti professionali, l’altra i compensi delle visite. Al cancello della sua abitazione in Viale Colombo, si trova sempre appesa una borsa per raccogliere in qualsiasi momento della giornata le chiamate dei suoi pazienti, quasi sempre gente umile.
Isotta è ricordata anche per la sua passione per lo sport, in particolare i motori. Nonostante sia stata un’abile schermitrice in gioventù, tanto da vincere alcune competizioni regionali, Isotta è spesso menzionata per la sua passione per le due e quattro ruote e non solo. Nel 1918, l’11 marzo, l’aviatore triestino Giovanni Widemer atterra a Ravenna con il suo piccolo aereo. Isotta ha l’ardire di chiedere all’uomo di avere la possibilità di provare l’emozione del volo, stabilendo un altro primato, la prima donna ravennate a volare.
Ma la straordinarietà di Isotta sta nell’essere semplice e umile con gli umili e, nello stesso tempo, sapersi distinguere per la sua cultura. È ospite abituale in casa del giornalista Antonio Beltramelli, frequenta l’artista Arnaldo Ginna e lo scrittore cesenate Renato Serra, il poeta e medico Aldo Spallicci, il musicista Francesco Balilla Pratella e il pittore Boris Georgiev che gli dedica anche un ritratto. Ma forse l’amicizia più importante è quella con la vincitrice del Premio Nobel per la letteratura del 1926, Grazia Deledda. Le due si incontrano alle Terme della Fratta dove la Deledda si portava da Cervia, sede dei suoi soggiorni estivi dal 1920 al 1935. Tra le due donne nasce un legame di profondo rispetto.
Nella novella “Agosto felice” apparsa per la prima volta sul Corriere della Sera il 30 agosto 1935, e poi, pubblicata nella raccolta postuma “Il cedro del Libano”, la scrittrice delinea uno dei più bei ritratti della “dottoressa dei poveri”:
Anche nelle lettere ai familiari la Deledda parla spesso di Isotta con toni tra l’affettuoso e l’incuriosito, facendo riferimento alle gite sul porto canale di Cesenatico per far visita a Marino Moretti, o a Bellaria, da Alfredo Panzini, autori con cui la Gervasi familiarizzò grazie alla mediazione della scrittrice sarda.
Nel 1963 la città di Cervia assegna a Isotta il “premio della bontà. Notte di Natale”. Nel 1965 le viene conferito il premio Missione del medico della fondazione “Carlo Erba”. Nella motivazione è scritto:
Nel 1965 la copertina firmata da Guido Crepax del numero 37 della rivista “Tempo medico” è dedicata a lei. Adesso tutta Italia sa, grazie anche agli studi su di lei (in particolare della cesenate Elena Gagliardi) che dal 1919 in Romagna lavora una donna medico condotto sin dal 1919.
Isotta muore per una crisi cardiaca nell’inverno del 1967 in casa della sorella a Modena, a 78 anni. Lì da pensionata usava trascorrere gli inverni, mentre d’estate continuava ad abitare e a dare consigli utili a Cervia, dove risiedeva in viale Colombo, poco distante dal palazzetto rosa dove abitava Grazia Deledda. Cervia negli anni Settanta le ha dedicato una via vicino al porto e una scuola media e nel 2001 l’ha insignita del titolo di “Cervese del secolo” in modo che non sia più dimenticata.
Perché Isotta
Nell’antico e originario “giuramento di Ippocrate” (vedi testo su Wikipedia.org) l’aspirante medico giura di custodire “con innocenza e purezza la mia vita e la mia arte”. La vita di Isotta, donna non comune, è stata caratterizzata soprattutto dall’innocenza e dalla purezza. Questo le ha consentito di rendere un lavoro, una missione; di portare sollievo prima ancora di cure, senza clamori, senza riflettori. Abbiamo scoperto Isotta solo nel 1965, due anni prima della sua morte. E lei? Lei ha reagito quasi con fastidio, non era fatta per i riflettori, non era fatta per il clamore. Era solo una donna! La potenza della figura di Isotta Gervasi è proprio questa, essere solo una donna, solo un medico! Ma la sua biografia ci racconta un’altra cosa. Isotta è una donna colta, una donna curiosa, una donna che ha saputo accarezzare mani, incontrare occhi, alleviare dolori. Quando leggiamo la vita di Isotta Gervasi non possiamo non pensare a una frase contenuta nella canzone “Smisurata preghiera” di Fabrizio De Andrè:
A volte per fare la storia con la S maiuscola, non serve fare la rivoluzione, non serve essere alla ribalta, non serve urlare, basta versare la nostra piccola goccia di solidarietà nell’oceano della vita, e magari mirando ad assomigliare a lei, a Isotta; questa piccola donna fuori dal comune, che a bordo della sua bicicletta, con quel viso rassicurante, macinava chilometri, solo per dire al termine della visita: “stai tranquillo, ci sono io adesso…”.
Ecco, i medici, gli infermieri, non sono eroi, sono solo uomini e donne che nel nome e nell’esempio anche di donne come Isotta, in quelle tute bianche da marziani, si muovono nel silenzio dei reparti di terapia intensiva, dove il tempo è regolato dal ticchettio dei respiratori, portando sollievo, una mano da accarezzare, due occhi da guardare, per condividere quell’angoscia, quel dolore. Quando finirà questo periodo cupo di paure e di morte non dovremmo dimenticare la straordinaria quotidianità di tutto il personale sanitario dell’Italia e del mondo intero, come non dobbiamo mai dimenticare la figura di Isotta, “la dottoressa dei poveri” e lasciare che la sua vita sia la nostra guida nella semplicità di fare con amore il proprio dovere.
Dalla collana Storie di Donne non comuni,
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