Questa estate non sentiremo in riviera, da Rimini a Ravenna, la radio della spiaggia: Publiphono. Quanti di noi ricordano quella voce rassicurante che, miscelata a canzoni intramontabili delle estati all’italiana, ti raggiungeva sotto l’ombrellone: “È stato smarrito un bambino che indossa un costumino rosso…”, cadenzava la voce rassicurante di Liliana, la mamma-vigile della Riviera. Per più di 130 mila volte questi annunci hanno portato, dal 1947 a oggi, ha fatto ritrovare oltre 130 mila bambini che avevano perso la strada per ritrovare l’ombrellone dei genitori. Quest’anno i 150 megafoni impiantati sui pali che circondano le cabine dei bagnini non sono stati montati: la mancanza di introiti pubblicitari, conseguenza dell’emergenza sanitaria, ha costretto Ugo de Donato, presidente della Publiphono (classe 1946, figlio del fondatore Renato), a prendere l’amara decisione di spegnere la voce e l’occhio vigile sui piccoli in riviera. Speriamo che una colletta che veda albergatori e bagnini in prima fila riporti alla sua funzione questo servizio. amico e indispensabile, concepito nel 1944 e curata dall’allora giovane giornalista Sergio Zavoli: un servizio che i turisti di ritorno ne ricordano l’utile funzione. (s.g.)

Renato de Donato

Renato de Donato, napoletano trapiantato a Rimini, fondatore di Publiphono. È mancato nel 1971, a 61 anni. Lo ha sostituito alla guida di Publiphono il figlio Ugo.

L’americano Lee De Forest (1873-1961) è laureato in fisica, ma sopra ogni cosa, oltre a essere regista e produttore cinematografico, è autore di una raffica di invenzioni che si palesano con particolare felicità creativa nel settore telegrafico, telefonico e radiofonico. È una tersa sera di giugno del 1910. A dispetto dello scetticismo di tutti, De Forest mette in onda il primo programma musicale in radiodiffusione: dal Metropolitan Opera House di New York viene trasmessa in diretta la voce di Enrico Caruso (1873-1921). Gli acuti del tenore napoletano rimarranno incisi per sempre nell’etere americano. Nello stesso anno, nasce a Napoli Renato de Donato. È un chiaro segnale del destino: tra qualche riga, capirete perché.

La famiglia de Donato abita in via Cirillo, strada che prende vita dalla storica via Forìa. Siamo nel centro di Napoli, a un quarto d’ora di cammino dall’importante piazza Garibaldi. Quella di Renato è un’antica casata partenopea, certamente benestante, ma laboriosa, con intricati incroci di parentele che sviluppano un complicato tessuto familiare tipicamente borbonico. Tra le mura domestiche si osservano le regole (piuttosto rigide) che all’epoca attengono alle famiglie di un determinato ceto sociale (c’è notizia di un de Donato marchese, farmacista alla corte di Francesco II). Dopo la morte della madre, la severa esperienza del collegio e poi la morte del padre, Renato si diploma presso l’Istituto Tecnico Industriale Alessandro Volta di Napoli. Diventa perito in elettrotecnica. Sarà la grande passione della sua vita. È poco più che ragazzo quando realizza, servendosi di una calamita, un ingegnoso sistema per riparare le lampadine, all’epoca molto costose. Il Mattino di Napoli gli dedica un articolo per lodarne la sagacia.

Verso i vent’anni se ne va da casa per un istintivo senso di ribellione a tanto rigore dello zio da cui, insieme con i fratelli, è andato a vivere. Dapprima si arruola nell’esercito, ma dopo qualche anno si congeda per pedinare l’ombra ancora indefinita di un sogno che sente, presto o tardi, di poter arpionare. Nel frattempo (siamo negli anni ’30) la sua vita è un vortice di avvenimenti: si innamora di una riminese, arrivano i figli, il primo negozio in centro a Rimini, l’avventura professionale a Tripoli dove la specializzazione in campo elettronico gli porta ottimi guadagni, poi la guerra, le bombe, i morti, il campo di concentramento e finalmente il ritorno in patria. Tra le macerie polverose, annusa la desolazione e la consapevolezza di avere avuto, come molti altri coetanei, buona parte della gioventù irrimediabilmente frantumata.

renato-de-donato-figli-valentina-ugo

Ugo col papà Renato e la sorella Valentina.

I rapidi, ma incisivi cenni biografici di Renato ce li fornisce Ugo, unico figlio dei quattro, rimasto a gestire la Publiphono Rimini; Ugo, il più giovane dei fratelli, nasce nel 1946, data che si rivelerà cruciale per la vita di tutta la famiglia. Gli chiedo: “Signor Ugo de Donato, se non sbaglio, il ’46 non è solo la sua data di nascita…”.

“Ha ragione, nello stesso anno è venuta alla luce la più grande idea di mio padre”, mi risponde e socchiude appena, gli occhi sorridenti. Tra me e lui c’è sempre stata una forte simbiosi intellettuale; ci accomunavano i sogni, la fantasia e anche la passione del cinema. Sa che mi piacerebbe fare?”, continua serio, “Vorrei salire sulla De Lorean di Ritorno al Futuro (1985, Robert Zemekis, ndr) per osservare mia madre, i miei fratelli, papà, in quel primo anno del dopoguerra, per noi assai importante. Se davvero fosse possibile farlo, sono sicuro che vedrei mio padre insieme con un giovane giornalista alle prime armi, un pischello senza nessun futuro professionale, un certo Sergio Zavoli”, mi sorride sornione, “che con materiale di fortuna rimediato qua e là, un gruppo elettrogeno, alcuni altoparlanti, un vecchio microfono e altre minutaglie, inventano “Voci della Città”, un quotidiano radiofonico di informazione e pubblicità con incursioni domenicali negli stadi: le appassionanti radiocronache calcistiche condotte da Zavoli erompono dagli altoparlanti di piazza Cavour. Rete! Mio padre vince la partita che sogna da tempo, per Sergio è un trampolino che lo lancerà con merito verso il grande giornalismo”.

publiphono-strumentazione-rimini

La prima strumentazione della Publiphono di Rimini.

Le cellule cerebrali di de Donato sono in continua ebollizione, ma c’è un punto fermo, inchiodato nella sua volontà che un giorno, come riferisce il figlio Ugo, gli fa dire: “Voglio mettere un altoparlante sulla testa di ogni riminese”. Dalla conversazione con de Donato junior, si deduce che i passi felpati delle buone idee non fanno baccano, ma creano spesso nuove opportunità. Qualis pater

“Voci della Città” trova molto consenso di pubblico, ma intanto gli strumenti si affinano e le ispirazioni, in fermento, si moltiplicano tra uno spostamento di sede e l’altro: prima piazza Cavour, poi via Garibaldi, il sottoscala dell’Embassy come collocazione per gli amplificatori, il secondo piano dello stabilimento Nettuno, l’attico del grattacielo come centrale operativa che ospita anche un comando dei vigili urbani con tanto di telecamera che monitora il traffico, per finire con il Centro Direzionale di piazza Pascoli. A ogni bagnino viene dato un telefono per collegarsi con il Centro Direzionale. De Donato completa la tessitura della tela: coinvolge l’Azienda di Soggiorno che consente l’infissione dei pali di cemento per gli altoparlanti. La Creatura prende definitivamente corpo: la chiamano Publiphono. L’idea del nome, un copyright targato Sergio Zavoli.

sergio-zavoli

(Qui e in apertura) Sergio Zavoli in una foto dei primi anni 60: suo il copyright della Publiphono..

È il 1952. Si intravvedono le prime tremule luci del boom economico italiano. Da quell’anno fino a oggi non c’è stata una sola interruzione del servizio fornito. Le famiglie di villeggianti ne hanno guadagnato in serenità. Bimbi e anziani ritrovati? Circa 130 mila, ma la stima è per difetto. Un record.
La consuetudine vede Rimini alla perenne ricerca di novità e attenta alle piccole rivoluzioni di costume, ma nello stesso tempo, gelosa delle tradizioni da cui non ama troppo distaccarsi.
La città non rinuncerebbe più al consueto appuntamento estivo con la Publiphono Rimini. È un’istituzione. Ugo de Donato la dirige da quando il padre è venuto a mancare, appena sessantunenne, nel 1971. Gli preme fare una precisazione. Questa: “Checché ne pensi l’avvocato che ha recentemente raccolto una cinquantina di firme per far cessare la mezz’ora di annunci pubblicitari e varietà (due volte al dì, come sulle ricette), a fronte di una manciata di minuti di reclame, noi garantiamo l’attività di ricerca dei bambini smarriti, le comunicazioni istituzionali, quelle specifiche della Capitaneria di Porto e tante informazioni utili per i turisti. Questa è una forma di servizio pubblico a beneficio e tutela degli ospiti da oltre settant’anni, ma anche fonte di legittimi proventi che derivano unicamente dalla raccolta pubblicitaria. Mi sembra un equanime rapporto regolato dal “do ut des”, retaggio del Diritto Romano. Se però qualcuno è disposto a pagarci il servizio che forniamo, sono disponibile a rinunciare alla pubblicità già da domani mattina”, conclude.

Non vi è dubbio che gli altoparlanti dislocati lungo 15 km di spiaggia rappresentino una prestazione di pubblico beneficio. Un esempio? Il più eclatante evoca un ricordo terribile.
Il giorno della strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980, 85 morti, più di 200 feriti) dai megafoni della Publiphono l’Avis chiede ripetutamente e disperatamente aiuto: serve sangue. Riminesi e turisti rispondono. Vengono raccolti molti litri di plasma grazie all’appello fluttuato per tutto il giorno lungo la spiaggia.

federico-fellini-anita-ekberg

Federico Fellini con la sua dolce musa, Anita Ekberg, protagonista della “Dolce vita”.

Esiste una copiosa aneddotica in merito alle emergenze risolte grazie agli annunci, ma talvolta i comunicati hanno riguardato eventi piacevoli. Nel 1993 il riminese più celebre e famoso del mondo, manda una lettera al sindaco Giuseppe Chicchi. Cosa scrive Federico Fellini (nella foto sopra, in treno con l’attrice Anita Ekberg, Ndr) al primo cittadino? Lo ringrazia per le premurose attenzioni ricevute durante il ricovero (causa ictus) presso l’Ospedale degli Infermi. Nell’occasione non dimentica un tributo di riconoscenza alla Publiphono che nel giorno del cessato pericolo per la vita del regista, dà la buona novella “urbi et orbi” attraverso i suoi altoparlanti. Nella missiva, Federico descrive e fantastica da par suo su quella scena, con l’ironia e la fantasia di sempre, immaginando i bagnanti che nell’atto di tuffarsi, rimangono sospesi a mezz’aria per ascoltare la felice notizia diffusa a tutta voce. Anche solo questo gustoso episodio è sufficiente per consegnare il “Servizio di Spiaggia” al forziere della memoria di Rimini.

publiphono-lettera-fellini

La lettera di Fellini al sindaco Giuseppe Chicchi: “…quando gli altoparlanti della Publiphono hanno annunciato sul litorale che i medici avevano sciolto la prognosi, molta gente in procinto di tuffarsi dai trampolini si è fermata a mezz’aria”. (Credit: Rimini 2.0, cortesia dell’ex sindaco di Rimini e di Ugo de Donato).

Accantonata la vicenda dell’improbabile raccolta di firme, l’ultima considerazione sul geniale imprenditore riguarda quale sia stato il suo maggior merito. Sostanzialmente, di credere nel proprio sogno-progetto fondato sull’etere, elemento apparentemente astratto e inconsistente (per i più), di certo il meno tangibile che si possa immaginare, ma a disposizione di chiunque. Ebbene, a Rimini Renato de Donato arriva prima di tutti a inventarsi un sistema di comunicazione immediato ed efficace, dai risultati fulminei. A buon titolo, può dirsi di essere stato parte del “Miracolo Italiano” che in quegli anni felici ha messo i razzi ai piedi dello sviluppo economico.
Per definire con una fugace pennellata la personalità di Renato de Donato, scippiamo una delle frasi con cui Ennio Flaiano, con due parole ben piazzate, imprigionava l’essenza degli uomini. Questa, crediamo che vesta alla perfezione il carattere del nostro personaggio, ma anche quello del figlio: “Il sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”.

bussola-punto-fine-articolo

¹ Nato a Rimini nel 1955, Lussi Pagammo ha tentato di marinare la scuola per tutto il periodo degli studi. A volte c’è riuscito con profitto. Si interessa di archeologia e lo affascina ogni forma d’arte “Sono appassionato di pittura e preferisco le cose belle a quelle orrende: praticamente sono il nipote dell’indimenticato Catalano”, uno dei protagonisti dell’arboriano “Quelli della notte”.

² Rimini 2.0 è un quotidiano online (di approfondimento, inchiesta e news originali) della provincia di Rimini e di San Marino. Fondato nel 2013, dal 2017 ha una nuova veste grafica e la proprietà editoriale di Romagna On Line srl. Contatti: redazione@riminiduepuntozero.it

Su Sergio Zavoli:

Leggi anche:

  • Dall’aeroplanino Tinin Mantegazza, papà creativo di Dodò e del presepe sulle barche a Cesenatico, saluta per l’ultima volta la sua gente e la riviera. Giornalista e versatile artista milanese, collaboratore di Enzo Biagi e inventore del popolare pupazzo di Albero azzurro e di teatri, è volato come in un suo racconto regalandoci attraverso le mani di Velia l’ultimo “divertimento”: Restituiamo Roma al Vaticano (con tante scuse), 26 racconti da lui scritti e disegnati
  • Terenzio Medri, che portò in Romagna i libri da amare e gli autori dal mare. A metà maggio di due anni fa, con la colonna sonora dei Nomadi (Io vagabondo), la sposa Luciana, amici e colleghi salutavano per l’ultima volta il saggio pioniere dell’economia turistica e culturale della riviera. Un uomo, le sue idee, la sua “guerra all’ignoranza” sono da riscoprire in tempi di crisi
  • Gianni, grazie per il tempo della tua vita dedicato a custodire e creare bellezza. Nella quinta puntata della biografia in gocce di Gianni Giannini, l’uomo che è stato guida e braccio operativo di Tonino Guerra, raccontiamo come la sua collaborazione per un quarto di secolo con il grande poeta e sceneggiatore di Amarcord ha acceso luci sul fascino unico di Pennabilli e della Valmarecchia, nella cornice del Montefeltro
  • Un secolo fa amici di buona penna componevano una geografia letteraria in casa di Marino Moretti. Giugno 1914, porto canale di Cesenatico: nella casa di Marino Moretti, poeta e scrittore romagnolo allora 29enne, che ha appena pubblicato a puntate sul Giornale d’Italia il suo primo romanzo Il sole del sabato, si compone una mosaico geo-culturale d’eccezione (Alfredo Panzini, Renato Serra e Grazia Deledda) così ricostruito da Medardo Vincenzi in un fascicolo edito per il centenario della nascita di Moretti
  • Amarcord l’infanzia tra i burattini di Federico, il regista Fellini. Il regalo di un teatrino di burattini generò il rapporto, dapprima inconsapevole poi via via più profondo, tra fantasia e rappresentazione. Il ruolo decisivo della casa (oggi cadente) dei nonni a Gambettola, a due passi da Rimini
  • Pinin, maestra di restauro che ci ha restituito il Cenacolo di Leonardo. “Certe volte non lo sopporto più, non lo reggo più, lo odio (…) Leonardo è una creatura difficile. È chiuso, non si lascia scoprire. Io all’inizio faticavo a capirlo, mi risultava estraneo. Poi, lentamente, ho imparato a guardarlo nel modo giusto. Ora non potrei mai confondere la mano di Leonardo con una ridipintura. Lui è inconfondibile, unico” (da “La mia vita con Leonardo” di Pinin Brambilla Barcilon)
  • Da Rimini a Pennabilli sulle tracce di Fellini e di Tonino Guerra: paesaggio con poeta. Tra i grandi personaggi che hanno reso famosa l’Emilia Romagna nel mondo spiccano Fellini, uno dei maggiori registi del cinema italiano, e Guerra (poeta, sceneggiatore, pittore e scrittore), creatore dei Luoghi dell’Anima a Pennabilli e nella Valmarecchia, “la valle più bella d’Italia”, © Antonio Paolucci. Entrambi intensi, emozionanti, dallo sguardo poetico e profondo, collaborarono nella scrittura di diverse sceneggiature: la loro opera comune più famosa è sicuramente Amarcord, l’indimenticabile film che racconta i luoghi, lo spirito e il carattere della Romagna e della sua gente. Questo è un invito alla visita nelle terre che hanno alimentato la loro creatività poetica
  • Gianni Fucci, l’ultimo degli Omeri cresciuti in terra di Romagna. A Santarcangelo, specie di Parigi padana, hanno dato l’ultimo saluto a uno dei maggiori poeti del ‘900. Pubblichiamo l’orazione civile con cui a metà febbraio il sindaco Alice Parma ha ricordato “l’interprete di un sapere profondo e gentile”, seguita dalla lettura poetiche a cura di Attilia Pagliarani e Annalisa Teodorani. E rileggiamo il testo con cui Giannella Channel illuminava il custode dell’irripetibile patrimonio culturale dei geni strambi del “Circal de’ giudéizi”: Tonino Guerra, Raffaello Baldini, Nino Pedretti, affiancati dai pittori Giulio Turci, Lucio Bernardi e Federico Moroni
  • Giovanni Succi, il digiunatore di Cesenatico che ispirò Kafka. Il romagnolo colpì l’immaginazione del famoso scrittore di lingua tedesca che compose nel 1922 la sua novella “Ein Hungerkünstler” (letteralmente “Un artista della fame”)