In edicola Bell’Italia mi cattura con il suo numero speciale sulla Puglia, affermatasi ormai internazionalmente come regina delle vacanze (“è stata votata come la regione più bella del mondo da National Geographic, Lonely Planet e New York Times per motivazioni architettoniche e naturalistiche, oltre che per il buon cibo”, Repubblica, 8 luglio 2019), e la lettura di quei borghi, mari e sapori della mia infanzia viene rinforzata, per singolare coincidenza, dalla telefonata della “poetessa degli ulivi” Grazia Stella Elia, che i lettori di Giannella Channel hanno conosciuto e imparato ad apprezzare. Grazia mi segnala di aver trovato, in un antico libro locale (La terra del sale. Sottotitolo: Progetti e proposte per rinnovare l’area delle più grandi saline d’Europa, Associazione Cultura e ambiente, Margherita di Savoia, 1988) copia di una sua lettera a me destinata, datata 1° febbraio 2015 e mai consegnatami. È una lettera che mi rimanda a un periodo felice della mia attività di divulgatore (correva l’anno 1987, avevo già diretto il mensile scientifico dell’Espresso Genius e il settimanale L’Europeo e da due anni ero direttore responsabile di Airone, allora la prima e più diffusa rivista di natura e civiltà). Mi ha fatto piacere leggerla e, subito dopo, andare a ripescare quel libro con il mio intervento, per molti versi attuale e utile, in quel convegno tenutosi a Margherita 32 anni fa in cui delineavo idee e stimoli per imprenditori ed enti locali, nel segno di Federico II e del grande architetto Giovanni Michelucci, e lanciavo un appello a superare le divisioni campanilistiche tra i comuni della fascia costiera (Barletta, Margherita di Savoia, Trinitapoli, San Ferdinando, Zapponeta e Cerignola) in modo da fare rete come “Area delle Saline”, un vasto territorio dotato di grandi risorse e di importanti potenzialità di sviluppo. Ecco la lettera di Grazia, seguita dal testo di quel mio “visionario” intervento. Ripescare dalla memoria è più che ricordare: è rivivere. (s.g.)
Caro Salvatore, ti dissi, parlandoti per telefono, che potevi sembrare un visionario quando, qualche decennio fa, pubblicamente parlavi della necessità di valorizzare quanto Dio e uomini hanno elargito alla nostra terra di Puglia.
Era il 1988 e tu, giovane giornalista già ricco di cultura e di entusiasmo, direttore di Airone, da accattivante conferenziere parlavi degli innumerevoli beni culturali dell’Italia e, nella fattispecie, della nostra zona, di questo dorato territorio, dove persino volatili meravigliosi fanno nidi e cantano, forse ancora francescanamente, a ricordarci quella “bellezza” su cui tanto puntava il tuo grande amato amico Tonino Guerra.
Dicevi, fin d’allora che, quanto a flusso di turisti, l’Europa poteva accaparrarsi la maggior parte di quei viaggiatori curiosi perché i motivi principali delle visite sarebbero stati “di cultura e di piacere e l’Italia, con le sue risorse”, era ed “è tra le favorite di questo scenario”.
Spiegavi chiaramente che nel nostro caso “risorse vuol dire cattedrali e statue, disegni e paesaggi, parchi e lagune, addirittura edifici in rovina”.
Bisognava, bisogna ispirarsi agli entusiasmi di quell’intramontabile imperatore svevo, di quel Federico II stupor mundi che si lasciò stupire dagli uccelli e dalle meraviglie di questa terra di Puglia, di cui disse luce dei miei occhi.
Toccavi incisivamente e pionieristicamente il problema dello sviluppo in senso più ecologico e del dissesto idrogeologico, proponendo la nascita di “una rete di geologi condotti”.
Richiamavi alla memoria di tutti il grande programma ecologico pensato nel 1932 dal Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, piccolo su una carrozzina (lui poliomielitico) ma con lo sguardo verso “grandi orizzonti”.
Come attuali e ancora stimolanti suonano oggi le tue parole: “Bisogna che l’Italia vigile e attenta, l’Italia capace di reagire, si faccia sentire di più; con il voto, con interventi, con segnalazioni precise e dettagliate di abusi”.
Poi il pensiero agli animali. Se si estinguono, sarà un guaio anche per l’uomo. Belli o brutti, gli animali hanno una loro vita ricca di fascino: gli amori, la continuazione della specie, la solidarietà… e dunque vanno rispettati.
Un inno, un giusto canto per quegli esseri viventi abitatori dei nostri cieli, dei nostri campi, del nostro ambiente.
L’avvento invocavi di una sana convivenza di natura e cultura, cultura e immaginazione, professionalità ed emotività, fantasia e tecnologia.
Additavi la Puglia, la nostra regione, come un territorio con “spazi, natura, mare, condizioni ideali per farne una nuova frontiera dello sviluppo economico italiano”.
In definitiva la Puglia che stupì Federico può stupire ancora, solo che si mettano in luce le sue infinite peculiarità: “le zone umide, i castelli, le cattedrali, il paesaggio agrario con ulivi antichi e vigne ubertose, i parchi archeologici e le ville ridenti diventino fari di una civiltà ancora viva e avvincente”. (Da Trinitapoli, Grazia Stella Elia, 1° febbraio 2015)
“Nel passato il futuro dell’area delle saline a sud del Gargano: da Federico II a Giovanni Michelucci mettendo su tutto il governo dell’ambiente”
Il mio intervento (1988)
All’ingresso della Biblioteca del Congresso a Washington una scritta accoglie i visitatori:
È possibile che Margherita di Savoia, Trinitapoli, Barletta e l’area delle Saline a sud del Gargano possano trovare nel passato una molla importante per il loro domani? Io credo di sì e cercherò di spiegarvi su che cosa si basa questa mia convinzione. È una convinzione che poggia su diversi scenari: da quello locale a quello nazionale, da quello culturale a quello economico.
Da poco abbiamo celebrato i 40 anni della nostra Repubblica. È stata l’occasione per tracciare un bilancio del cammino della nostra Italia nel dopoguerra. In queste celebrazioni non è stata dedicata l’attenzione che merita a una delle voci più importanti dell’azienda Italia: i suoi beni ambientali, i suoi irripetibili beni culturali (oltre il 60% delle ricchezze di questo genere dell’intero pianeta sono concentrate nei nostri confini secondo una stima dell’UNESCO, tanto che Gianni Agnelli nell’ultimo incontro a Venezia con il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, scherzosamente ma non troppo, ha affermato che “per entrare in Italia bisognerebbe far pagare alle frontiere un biglietto come in un museo”).
È un silenzio eloquente, perché il bilancio di questi 40 anni, per altri versi esaltante, su questo fronte è a dir poco sconsolante. È dilagata un’incultura del paesaggio, sono stati commessi parecchi errori, spesso si è assistito (senza reagire) agli scempi e ai reati che, a opera di pochi e in nome del profitto, sono stati compiuti sulla testa e sulla pelle di molti, della collettività.
Questi scempi si chiamano speculazione edilizia, privatizzazione delle spiagge, distruzione dei boschi e delle acque, produzione di merci inquinanti con processi inquinanti, degradazione dei parchi e delle riserve naturali, erosione del suolo con conseguenti frane e alluvioni, distruzione di prodotti agricoli e alimentari (nel 1988 saranno circa 850 mila le tonnellate di agrumi destinate al macero). Una realtà di sprechi, di sofferenza e di morte che, dapprima poco curata sui giornali, si presenta con cadenze drammaticamente regolari da almeno un decennio, dal dramma di Seveso fino a toccare punte di emergenza inaudita con l’allarme nucleare di Chernobyl e l’inquinamento delle acque da bere a Casale, Bergamo e nel Ferrarese.
Ci sono due immagini di ieri e di oggi che fotografano la filosofia politica nel campo ambientale e che spiegano la noncuranza da parte di molti politici che ha portato al progressivo collasso della città, al dissesto idrogeologico, all’inquinamento generalizzato, alla degradazione di un paese che una volta era il giardino d’Europa.
Ieri, 1946: il famoso naturalista, Renzo Videsott, commissario per il Parco nazionale del Gran Paradiso, va a Roma dal ministro dell’Agricoltura, Antonio Segni, per ottenere un finanziamento con il quale risollevare le sorti di quel Parco meraviglioso (il primo istituito in Italia) dopo le devastazioni della guerra. Il ministro mostrò stupore e scandalo: “Ma come, abbiamo un paese ridotto in queste condizioni drammatiche e Lei ci chiede di occuparci di camosci e stambecchi? Spendere oggi per il parco sarebbe come mettere una rosa nell’occhiello di un vestito lacero”.
Oggi, 1987: sono passati più di 40 anni, ma certi politici non hanno fatto passi avanti rispetto alle convinzioni dell’allora ministro Segni. Un grande interesse a parole. Quando si tratta di passare all’azione, invece, i tempi di una classe politica, per altri versi decisionista, si allungano, altri problemi occupano le menti degli eletti del popolo, il denaro pubblico viene dirottato verso altri canali, l’ecologia scompare dalle agende dei parlamentari.
Basti pensare che l’anno scorso il Parco del Gran Paradiso, quello stesso al centro dell’indifferenza nell’immediato dopoguerra, ha vissuto una gravissima crisi: i suoi centri visita per i turisti hanno rischiato di restare chiusi per la mancanza di 60 milioni di lire necessari per assumere 10 giovani e il consiglio d’amministrazione del Parco ha minacciato di dimettersi contro l’indifferenza della Presidenza del Consiglio e del Governo verso il Parco.
È stato necessario assegnare il Fondo Airone per l’ambiente, consistente nella somma mancante (60 milioni, appunto) per far riaprire i centri, assumere i giovani e sventare un pericolo gravissimo per l’economia turistica della zona.
In realtà nessuno dei 72 governi succedutisi in questo secolo, da Giuseppe Zanardelli (che, visitando zone della Basilicata devastate dalle frane, prometteva in Parlamento che di questi mali della terra lucana “dovrà prendersi necessaria e affannosa cura”: era il settembre del lontano 1902) a Giovanni Goria, ha dato ai problemi e alle soluzioni dell’ambiente uno spazio comparabile a quello destinato all’economia, alla finanza o alla politica estera.
Al di là dell’impegno personale dei singoli (che, come gli ambientalisti del Mezzogiorno, essendo pochi sono maggiormente elogiabili) non è stata riconosciuta alla materia quella dignità che invece ha fatto includere altre questioni nella grande politica. Uno dei maggiori problemi del nostro tempo non è stato capito, è mancato e manca la cultura, la presa di coscienza che faccia comprendere l’assoluta necessità del governo dell’ambiente. Un ambiente, come dicevo all’inizio, irripetibile, garanzia per l’economia in ascesa del turismo, della cultura, del tempo libero.
Il turismo è la principale industria del futuro (lo è già attualmente, con un fatturato annuo di 70 mila miliardi, 20 mila dei quali in valuta straniera), lo ha riconosciuto lo stesso presidente della Confindustria, Luigi Lucchini, nell’ultimo convegno di Taormina.
È una previsione sorretta da molti elementi. I ricercatori dell’Organizzazione mondiale del turismo hanno calcolato che nel 1990 ci saranno nel mondo 480 milioni circa di arrivi aerei. E questa cifra, quasi il doppio rispetto al 1980, non include l’alto numero di persone che si spostano per turismo all’interno del proprio Paese. La Società Mondiale per il Futuro di Washington, che raccoglie 30 mila scienziati e cittadini comuni in 80 Paesi del mondo, ritiene attendibile in un recente studio la stima fantastica di ben due miliardi di turisti nel solo anno Duemila. Il boom di questa industria è legato a vari fattori: in primo luogo (insieme all’aumento del tempo libero e della vita media, passato in Italia dai 41 anni dell’inizio del Novecento a oggi), c’è il miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni. Negli anni Cinquanta un italiano raggiungeva New York da Napoli o da Genova dopo dieci giorni di viaggio; oggi occorrono meno di cinque ore di aereo. Per andare da Trinitapoli alla contrada Lupara in biciletta, mio padre Giacomo impiegava il tempo necessario perché io possa arrivare da Milano a Bari in aereo. Viaggi più rapidi, ma anche più economici e più comodi.
Di questo enorme flusso di turisti l’Europa (terrorismo, malavita e tensioni internazionali permettendo) si accaparrerà la fetta più sostanziosa: il 72%, perché i motivi principali delle visite saranno di cultura e di piacere e l’Italia, con le sue risorse, è tra le favorite in questo scenario positivo per l’Europa.
Il termine risorse merita una precisazione: quando pensiamo alle risorse la nostra cultura industriale ci porta a pensare a materiali grezzi da destinare all’industria (petrolio, minerali di ferro, legname, eccetera). Ma risorse può anche voler dire cattedrali e statue, disegni e paesaggi, parchi e lagune, addirittura edifici in rovina.
In termini strettamente economici le Saline di Margherita di Savoia e gli uccelli che stupirono il primo imperatore naturalista, Federico II; gli ipogei e la zona archeologica di Salpi (la Venezia dei Dauni) che stimolò la mente creativa del più celebrato architetto italiano vivente, Giovanni Michelucci; il castello e le stele daunie di Manfredonia o il dolmen di Bisceglie; la cattedrale di Troia o la masseria Cafiero di San Ferdinando; la fortezza sveva di Barletta e la meraviglia ottagonale di Castel del Monte; la Torre di Pietra sul litorale verso Manfredonia o la palude di Frattarolo; i resti di Pompei e le ville venete difese e raccontate da Bepi Mazzotti; il centro storico di Bassano o il Cenacolo leonardesco nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, per citare quattro voci nazionali, rappresentano, oltre alle tracce della nostra storia e dell’arte, autentica cultura e anima di una nazione) una risorsa turistica di valore inestimabile, come milioni di barili di petrolio, montagne di ferro, migliaia di chilometri quadrati di foreste, una dozzina di miniere d’oro e d’argento. Sotto questo profilo siamo il paese più ricco del mondo e se il turismo diventerà davvero il più grande affare mondiale, l’Italia diventerà probabilmente più ricca dell’Arabia Saudita con il suo petrolio.
Non è solo la sensazione di un giornalista, ma la diagnosi di uno che con l’economia ha mostrato di saperci fare: Paolo Baffi, ex governatore della Banca d’Italia, che ha definito i nostri beni culturali e ambientali “la parte più preziosa della nostra economia, perché questi beni sono i soli che non è possibile riprodurre”.
E allora: che cosa può fare l’Italia, che cosa possiamo fare tutti noi a sostegno delle nostre risorse?
Nel passato un discorso ricorrente era questo: affrontare il degrado ecologico, mettere a nuovo il parco Italia è un lusso. È un discorso che non regge. Con il passare del tempo si è dimostrata giusta l’intuizione di chi ha visto nella riforma ambientale e nella valorizzazione del patrimonio culturale una formidabile spinta per lo sviluppo, per la creazione di nuovi posti di lavoro in un momento in cui le nuove tecnologie stanno espellendo dalle fabbriche tradizionali circa 500 mila lavoratori (come in piccolo è avvenuto nelle Saline di Margherita, dove nel giro di un decennio l’occupazione è diminuita del 30%).
Non ha mai avuto risposta dai governi un progetto presentato dall’Associazione dei geologi per creare in tutt’Italia una rete di geologi condotti, in grado di risanare e di tenere sotto controllo il territorio, come ieri fu decisiva una rete di medici condotti per risanare la salute degli italiani.
Questa e altre proposte per una più solida struttura tecnico-scientifica e per una più alta qualità dell’ambiente, rimaste finora nei vari cassetti, fanno riemergere un ricordo storico: l’edificazione delle società socialiste è iniziata, nell’Unione Sovietica degli anni Venti e Trenta e nella Cina degli anni Cinquanta e Sessanta, proprio con una grande opera di riassetto del territorio, di riequilibrio tra città e campagna, di regolazione del corso dei fiumi.
Negli Stati Uniti degli anni Trenta la situazione era per molti versi uguale a quella di oggi in Italia, tanto che un economista del calibro di Giorgio Ruffolo, prima di essere chiamato a ricoprire l’attuale incarico di ministro dell’Ambiente, invitava la sinistra europea, dalla prima pagina del quotidiano la Repubblica, ad andare a rileggersi quelle vicende storiche.
L’assalto al territorio da parte dei “pionieri”, il miracolo economico degli anni ruggenti, erano stati caratterizzati da gravi disastri ambientali. Devastazione della natura, corruzione pubblica, rapina privata, crisi economica, distruzione e adulterazione degli alimenti (ci furono anche allora vittime di avvelenamenti da bevande contenenti un’alta percentuale di alcool metilico). Questo era il paese a pezzi ereditato da Franklin Delano Roosevelt quando fu eletto presidente degli Stati Uniti nel 1932.
Uomo dalle modeste energie fisiche (la poliomielite l’aveva inchiodato alla sedia a rotelle), ma dai grandi orizzonti, Roosevelt affrontò la ricostruzione e l’assetto del territorio attuando un programma gigantesco di opere pubbliche, regolando gli alvei dei fiumi, sistemando le città: dette così il via a un nuovo corso, alla rinascita economica, civile e morale del suo paese (il “new deal”).
Tutti presi da verifiche e da programmi a breve scadenza, pochissimi politici italiani sembrano avere orizzonti culturali e tanto coraggio intellettuale quanto oggi si rende necessario per fermare il degrado.
La mancanza di una presa di coscienza della politica implica però verosimilmente un difetto anche nei cittadini che votano. La cultura della classe dirigente non è sufficientemente stimolata, segnata da quella della popolazione. Bisogna che l’Italia vigile e attenta, l’Italia capace di reagire, si faccia sentire di più: con il voto, con interventi, con segnalazioni precise e dettagliate di abusi.
Salvare l’Italia che frana, che spreca, che vede distrutto il suo ambiente naturale e messa in pericolo la salute dei suoi cittadini (in Lombardia, secondo dati recenti, si registra il maggior incremento e il maggior numero di decessi per tumori e le cause sono, per il 70%, collegate al degrado ambientale) non è un problema finanziario. È un problema di politica (lo stesso Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica, lo ha ricordato recentemente al segretario della DC, Ciriaco De Mita: “Politica è innanzitutto la tutela dell’ambiente, la salvaguardia del paesaggio, la lotta contro l’inquinamento”), è un programma di cultura e di civiltà.
Airone, che vuole essere, come recita il sottotitolo, un mensile di natura, cultura e civiltà, sarà sempre a fianco di coloro che a questo new deal italiano, a questa “nuova primavera” auspicata dal presidente Francesco Cossiga, guardano con fiducia. Sarà a fianco amplificando la loro voce. Sarà a fianco continuando nella sua opera di onesta e chiara divulgazione, caratterizzata da rigore scientifico e insieme dalla suggestione delle immagini.
Mi sia consentito un ultimo accenno: lo offre il monito che Roosevelt aveva inciso alle sue spalle, dietro la scrivania: “Tutti hanno bisogno di tutti”. È un monito per tutti, cittadini e politici. È un monito per la specie umana: un animale che si estingue è un campanello d’allarme anche per l’uomo. Se manca l’ambiente perché l’animale sopravviva, vuol dire che presto mancherà qualcosa anche per noi. Non è il solo insegnamento che ci viene studiando il comportamento animale.
Da quando gli etologi hanno cominciato a studiarli, animali verso i quali la gente prova un istintivo ribrezzo hanno rivelato aspetti insospettabili del loro comportamento che ce li fanno apparire in una luce diversa.
I rospi che i contadini schiacciano irritati con un colpo di vanga; i pipistrelli, i mammiferi volanti dal muso di topo che la gente guarda con superstizioso terrore, sono formidabili mangiatori di insetti, straordinari insetticidi naturali. Un solo pipistrello, nel corso della sua vita che dura vent’anni e più, divora milioni e milioni di insetti dannosi.
Quando il lettore apprende, com’è accaduto con la ricerca finanziata dal fondo Airone, che il pipistrello fecondato in autunno custodisce “sotto chiave” lo sperma maschile fino alla primavera successiva per far sì che i piccoli nascano nel momento giusto (nel caso della ricerca, la sala parto con annesso asilo nido si trovavano nella torre campanaria del Duomo di Cefalù). Quando apprende che anche i rospi hanno una vita sessuale ricca di avventure: si sobbarcano a viaggi di due o tre chilometri per raggiungere i luoghi degli appuntamenti amorosi.
Quando scopre che il serpente è così geloso del suo investimento sessuale che, dopo aver fecondato la femmina, le mette una sorta di cintura di castità sotto forma di un tampone gelatinoso che tiene lontani i rivali, ebbene anche il lettore guarderà a questi animali fastidiosi e rompiscatole con occhio diverso. Incomincerà a prenderli in simpatia. È il primo passo. Dalla simpatia nasce il rispetto. E dal rispetto l’amore.
Se ci pensate bene, è un po’ quello che succede tra gli uomini. Alle volte siamo pieni di pregiudizi nei confronti di persone che non conosciamo, che appartengono magari a gruppi etnici, nazionalità e religioni differenti dai nostri. Il giorno in cui abbiamo occasione di avvicinarle, di frequentarle, di conoscerle, le diffidenze e le ostilità cadono, ci accorgiamo che i nostri preconcetti erano infondati.
L’intolleranza verso gli animali (come quella verso i nostri simili) nasce dall’ignoranza. Ecco perché è così importante l’opera del divulgatore scientifico che informa il pubblico di quanto gli etologi vanno scoprendo, di giorno in giorno, su quell’immenso pianeta ancora in gran parte inesplorato, che è il comportamento degli animali. Ecco perché la sua opera va lodata, non solo perché risponde alle esigenze di conoscenza dell’uomo, ma anche perché contribuisce ad alzare il livello della propensione alla pace di cui il mondo oggi ha più che mai bisogno
Ma la natura non deve aiutarci solo a costruire e a capire. Essa ci è indispensabile anche per sognare. Un pellicano che si estingue, come si è estinto nelle nostre zone umide, è una campana che suona anche per noi, perché un ambiente pericolo per un pellicano, lo è anche per ogni altra specie animale, anche quella più intelligente che è l’uomo. E il pericolo non è solo fisico.
Un pellicano, un fenicottero, un istrice, una lontra in meno sono un danno al nostro immaginario, alla nostra cultura immaginaria a forte contenuto creativo, di diversità, di memoria.
“Immaginate!”: una parola con cui spesso parte Piero Angela, trascinandosi dietro milioni di telespettatori. Il segretario del CENSIS, Giuseppe De Rita, antenna sensibile puntata sull’Italia che cambia, ha rilevato la crescita di una cultura un po’ vagabonda, che chiede di essere aiutata a vagabondare. Una cultura che entri dentro di noi, per arricchire i palazzi delle nostre idee, che rafforzi la nostra dimensione soggettiva in modo creativo e immaginario.
È una cultura in qualche modo artistica, che ci consente di gestire la nostra capacità di immaginazione, non per rintanarci nella messa nera o nelle pratiche occulte (una dimensione che a Torino, la capitale industriale d’Italia, ha già superato come fatturato quello della FIAT, tanto che non sorprende apprendere che il prossimo ottobre in quella città ci si interrogherà con un mese di convegni sull’essenza di Satana), ma per liberare una cultura post-industriale dell’immaginario, una sorta di cornice gialla (scusate se ricorro a un’immagine di Airone, perché è con la cornice gialla che abbiamo voluto corredare la copertina del nostro mensile) che contorni e riscaldi la dimensione tecnica e scientifica, per molti versi fredda e ripetitiva, della civiltà post-industriale che in Italia stiamo faticosamente costruendo.
La professionalità e l’emotività. La fantasia e la tecnologia (una tecnologia amica, che non deve essere strumento di asservimento, ma deve aiutare a liberare dalla paura, dalla malattia, dall’inquinamento, dai bisogni). La scienza e la natura. L’ambiente e uno sviluppo a misura d’uomo. L’airone e lo stagno solare di Porto Canale. Federico II e l’artemia salina, usata per sviluppare l’acquacoltura. Le virtù cristiane (fede, speranza e carità) e gli ideali dei laici (ottimismo della volontà, giustizia sociale e libertà, solidarietà). Perché questa difficile combinazione di fattori diversi dovrebbe sfuggire alle capacità dell’uomo d’oggi, che è riuscito a trasformare il silicio in chip, cioè a trasformare la sabbia (il minerale più diffuso sui nostri arenili e sull’intera crosta terrestre) in serbatoi di intelligenza artificiale?
Io credo che l’Italia potrà continuare a essere protagonista e non spettatrice passiva dello scenario internazionale. A condizione di voler pagare il necessario prezzo di una nuova alfabetizzazione, di una cultura che fonda umanesimo e scienza, di un supplemento in più, necessario per non rimanere escluso dal treno del progresso.
Io credo che la nostra regione, la Puglia, con un ambiente naturale e umano di primo piano, si accinga ad avere un ruolo importante nell’Italia del 21mo secolo. Come poche regioni d’Italia, la Puglia tutta (dal Gargano al Salento) ha spazi, natura, mari, condizioni ideali per farne una nuova frontiera dello sviluppo economico italiano. In un mondo in cui lavoratori, imprenditori e tecnici cercano un ambiente di abitazione e di lavoro di decente qualità, la Puglia offre un clima eccezionalmente favorevole insieme a condizioni di collegamento a livello europeo e internazionale. Dai numerosi aeroporti della regione è possibile arrivare o spedire merci a Berlino o a Londra nello stesso numero di ore che si impiega partendo da Roma o da Milano, come sa bene l’arenaiolo margheritano che invia all’estero i suoi ortaggi. Le università e i centri di ricerca pubblici e privati, specialmente nel campo dell’elettronica, dell’agricoltura e della biologia marina (degnamente rappresentati in questo convegno dagli studiosi del laboratorio di Biologia marina di Lesina) offrono la possibilità di disporre di specialisti e di laureati per la maggior parte delle attività economiche e produttive avanzate. I porti consentono collegamenti con tutto il mondo. Infine, nonostante i vari errori rappresentati da insediamenti speculativi, con i suoi 700 chilometri di costa la Puglia ha uno straordinario potenziale di attività turistiche in grado di fare concorrenza alle altre zone “rampanti” del Mediterraneo.
Per decollare la Puglia ha bisogno di un grande sforzo di fantasia e di idee, di propositività creativa. Su un giornale locale, Qui Foggia, leggo per esempio che la Capitanata “sconta una pericolosa caduta di progettualità, un vuoto di idee e di proposte, alle quali non si è mai data la debita attenzione”. Il docente di merceologia dell’Università di Bari, Giorgio Nebbia, profeta della società neotecnica, sostiene che la Puglia ha bisogno di essere conosciuta meglio, di analizzare se stessa con coraggio e con spregiudicatezza per evitare alcuni errori del passato, ha bisogno di una classe dirigente e di cittadini che credano in se stessi e nella propria terra.
Parlandomi di un suo viaggio e di un suo progetto per l’area delle Saline (progetto rimasto finora nel cassetto), il più celebrato architetto italiano, Giovanni Michelucci, mi diceva qualche anno fa, testualmente:
Io giravo per la zona guardando il lato architettonico delle cose, perché dovevo pensare a un museo, ma subito veniva fuori la necessità di stabilire un rapporto con tutte le altre forme di vita. L’architetto non bastava. Ci voleva la collaborazione di geologi, di archeologi, di ecologi, di urbanisti, di economisti che sapessero integrare la visione culturale con l’utilità economica, i finanziamenti pubblici e privati. Ci volevano infinite persone, non era compito o forza di un solo professionista. Il progetto era una cosa che via via doveva nascere e crescere, a mano a mano che si estendeva il discorso occorreva l’apporto di persone competenti, di ‘intellettuali’, come comunemente si dice, e anche di ‘non intellettuali’, non competenti di discorsi di questo genere, ma con una loro grande professionalità come quelle persone che piantano carciofi e sedano, vigneti e oliveti, mandorli e frutteti, quella solida gente che vive là e che trae sostentamento dall’industria agroalimentare (vedi Franchino Sarcina, scienziato della terra).
C’era da tirare fuori un discorso che coinvolgesse le enormi risorse materiali e umane del luogo, che coinvolgesse tanti interessi e competenze. Avrebbe dovuto essere una scoperta continua, in modo da sollecitare la creatività sempre con il fine di valorizzare quella zona. Valorizzarla non solo economicamente (anche economicamente, si capisce) ma sotto tutti gli aspetti, proprio come interessi particolari, come passeggiata, come studio, come riposo, come sole-sale-salute, lo slogan legato alle terme delle saline.
La Puglia che stupì l’imperatore naturalista Federico II in parte esiste ancora: nella grande cornice dei castelli, c’è – per esempio – la più importante area di svernamento degli uccelli acquatici dell’Italia centro-meridionale. Seimila ettari di canneti e lagune salmastre sul litorale tra Manfredonia e la foce dell’Ofanto, dove svernano 30 mila uccelli l’anno, sono un’eredità naturale che meritano una coscienza e una gestione diversa. È un microcosmo di acquitrini costellati di macchie di tamerici e di ciuffi di giunchi che al visitatore di oggi restituisce intatto il fascino primordiale del mondo palustre e può tornare a far rivivere emozioni intense come quelle vissute da Federico. Ma anche il più appassionato naturalista non potrà rinunciare a una deviazione nelle campagne circostanti: il paesaggio agrario del Basso Tavoliere è infatti tra i più suggestivi e meglio conservati d’Italia. Tra misteriose testimonianze archeologiche (che vanno dai villaggi trincerati neolitici alle stele daunie, affascinanti scenografie in pietra di una civiltà ancora da scoprire, alla florida cultura commerciale di Salpi, l’antica Venezia dei Dauni), ulivi ciclopici si alternano a basse vigne calde di sole; muretti a secco rigano i campi sparsi di fichi d’India dove antiche masserie, simili a fortilizi, si sgretolano nell’abbandono, tranne poche e lodevole eccezioni.
Questa Puglia ha bisogno di essere conosciuta meglio. Ha bisogno di un grande sforzo comune di progettualità e di cooperazione competitiva nel segno di Federico II e di Michelucci: la memoria e il futuro, le due ali necessarie per librarsi e volare alti e sicuri nei cieli. Io credo fermamente all’area delle Saline e alla Puglia, nuova frontiera del ventunesimo secolo. (Salvatore Giannella)
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- I diversamente giovani: Franchino Sarcina, scienziato di campagna, confessa il segreto della sua “vecchiaia felice”. Trascorro idealmente la Giornata della Terra (22 aprile) con una antica figura amica, Franchino Sarcina, uno di quegli agricoltori che con le loro mani sapienti fanno fiorire la terra del Tavoliere pugliese. Tenace, innovatore, voglioso di progresso, Franchino mi ricorda i fratelli Cervi che sull’aggiornamento continuo avevano posto le basi della crescita della loro azienda familiare. Ritratto di una colonna della cattedrale laica della civiltà. A seguire l’intervista che mi rilasciò Ermanno Olmi sulla civiltà della vigna
- Il cerchio della vita: la nascita. Nascita, pubertà, matrimonio e morte: viaggio intorno ai riti dell’uomo, tra misteri, sacro e favola, nel mondo e nel mio Tavoliere pugliese. Ci guidano un famoso psichiatra-scrittore, Vittorino Andreoli, e una buona maestra e poetessa, Grazia Stella Elia
- La prima farina della storia fu prodotta nel Gargano. Gli abitanti del sito di Grotta Paglicci, nel Gargano, producevano farina già 32.000 anni fa, nel Paleolitico superiore, macinando chicchi di avena selvatica. La sofisticata tecnica di lavorazione adottata indica che migliaia di anni prima dell’avvento dell’agricoltura il consumo di questo cereale aveva un ruolo importante nelle strategie di sopravvivenza di quella popolazione
- Quando i contadini pugliesi andavano alla scuola della firma
- Seduce ancora la Puglia che stupì Federico II. “La vera vacanza è cambiare orizzonte storico”, diceva Cesare Zavattini. E la terra intorno a Castel del Monte che vide le soste dell’imperatore svevo, “puer Apuliae”, con i borghi ideali che portano ancora le sue tracce, dalla Daunia antica alla Murgia fino al Salento, in una delle aree castellane più vaste d’Europa, è uno dei libri migliori per viaggiare nella storia, imparare la storia, insegnare la storia, vivere e assaporare a tavola la storia
- Torna a vivere la Torre di Pietra che stimolò la creatività di Tonino Guerra, nomade in Puglia. Sul litorale tra Margherita di Savoia e Manfredonia torna a vivere un gioiello di pietra che aveva ispirato il poeta e sceneggiatore romagnolo per l’ultimo film (mai nato) ambientato su un pianeta fantastico, Verna
- Un augurio in versi per i 93 anni di Joseph Tusiani, poeta garganico che ha conquistato l’America. Testo di Grazia Stella Elia, con un ricordo di Furio Colombo e consigli di viaggio nel Gargano amato da Renzo Arbore: foto di Vittorio Giannella
Un commento che unisce, in una simbiosi poetica, Trinitapoli, l’antico Casale (borghiautenticiditalia.it/borgo/trinitapoli) le piccole e bianche case sdraiate al sole e Tonino Guerra, capitato un giorno in quella città del Tavoliere pugliese che s’incunea tra le Saline e il fiume Ofanto. Autrice: la poetessa degli ulivi Grazia Stella Elia che i naviganti di Giannella Channel hanno imparato a conoscere e apprezzare. (s.g.)
I mignani del Casale