Ho rivisto a Genova i miei genitori dopo tre mesi. Io e papà Ilario ci scambiavamo telefonate e messaggi su WhatsApp mostrandoci reciprocamente i disegni fatti a casa nei giorni della clausura.
Io pittore e lui scultore, per una strana coincidenza, ci siamo disciplinati e abbiamo redatto due diari per immagini.
Io ho dipinto piccoli acquerelli che sembravano illustrazioni per i sussidiari, Ilario invece ha disegnato, in un viaggio immaginario, i prospetti delle cattedrali romaniche e gotiche di mezza Europa.
Il suo è stato un lavoro davvero rigoroso, perché non si è limitato a copiare semplicemente una facciata, ma l’ha “ricostruita” pezzo per pezzo, fino a ottenere il prospetto, composto seguendo le linee di forza, l’equilibrio tra i pieni e i vuoti e le simmetrie, proprio come avrebbero fatto dei capomastri medioevali.
Quando Ilario decideva di disegnare la facciata di una chiesa, raccoglieva tutte le immagini che poteva relative all’edificio. Non consultava internet, perché l’immagine sullo schermo gli affatica gli occhi, ma ha usato i libri, le guide e le riviste che aveva in casa. Ovviamente le foto erano di piccole dimensioni, prese dal basso, scorciate e deformate dagli obbiettivi fotografici.
I rapporti e le proporzioni venivano indagati, intuiti e dedotti.
Guardare una foto e trarne il maggior numero di informazioni era il viaggio che papà faceva quotidianamente. La sua cattedrale cresceva sulla carta, pezzo per pezzo, in un dipanarsi di linee che assumevano poco a poco le forme dell’edificio.
Con la china e l’acquerello ha attraversato tutta l’Italia, da nord a sud, la Germania, la Spagna e ovviamente la Francia.
Fotogallery
Di facciata in facciata
Ultima tappa è stata la cattedrale di Nantes dove Ilario (foto a destra) ha convertito il rosso dell’incendio che l’ha devastata, un valore simbolico, energetico, come se la forza della fede, non potesse rimanere chiusa e contenuta dentro le mura, ma avesse bisogno di uscire come un fascio di luce nella notte.
Guardare e disegnare per lui sono un po’ la stessa cosa. Ricordo che da bambino, in vacanza, scarrozzava me e i miei fratelli in giro alla ricerca di piccole chiese romaniche in aperta campagna e, una volta trovate, mentre noi ci prendevamo a pugni sul sedile posteriore dell’auto, lui le disegnava per capirne meglio l’architettura.
Oggi, a ottantaquattro anni, disegna ancora a mano libera in silenzio, come se meditasse e traccia segni magici facendo scivolare la mano lungo tutto il foglio.
Non indugia mai e la gomma non sa che cosa sia.
Sul tavolo della sala da pranzo crescono le sue cattedrali che continua a disegnare tutti i giorni.
Mi piacerebbe vederle in piedi, appese, una vicina all’altra in una mostra che diventerebbe anche per noi un viaggio tra carta, luce e pietra.
(Pensa come sarebbe bello, papà e, semmai questo dovesse accadere, ti prometto che non picchierò più i miei fratelli sul sedile posteriore dell’auto.)
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