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Il biologo Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 1809 – Londra, 1882), celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione delle specie.

C’è ancora tempo per visitare una importante mostra dal titolo: “Darwin. L’universo impossibile narrato da Dario Fo con dipinti e pupazzi” a Cesenatico, nel Palazzo del Turismo di via Roma 114 intitolato all’ambasciatore del turismo romagnolo Primo Grassi (scomparso tre anni fa di questi giorni: vedi testo a seguire, Ndr). Si tratta di dipinti, opere grafiche, bassorilievi e sculture/pupazzi, creati da Dario Fo, supportato dal suo staff, accompagnati da testi in relazione con la sua pubblicazione “Darwin. Ma siamo scimmie da parte di madre o di padre?” (in arrivo nelle librerie dall’editore Chiarelettere), o tratti direttamente dalle opere del grande naturalista inglese. Quale motivazione ha spinto un Nobel per la Letteratura a occuparsi di questo scienziato? Queste le sue parole: “Ho voluto raccontare la storia delle scoperte che il più grande scienziato ha assicurato al mondo intero. Perché? Perché siamo ignoranti. Siamo in troppi a non sapere da dove veniamo e perché. Troppi hanno contrastato le teorie darwiniane per motivi religiosi, e tuttora ciò avviene. Darwin fa ancora andar fuori dai gangheri chi non crede nella scienza e si rifugia nell’oscurantismo”.

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Dario Fo, con a fianco il sindaco Matteo Gozzoli, intrattiene i visitatori con la rappresentazione ideata appositamente per la mostra su Darwin nel Palazzo del Turismo “Primo Grassi” a Cesenatico. In sua assenza, c’è un gruppo di collaboratori della Scuola Teatro Franca Rame che dà vita alla sceneggiatura preparata dal Premio Nobel.

Si potrebbe superficialmente obiettare: chi nutre forti dubbi sul valore conoscitivo della teoria darwiniana, magari per l’adesione a orientamenti di pensiero alternativi alla scienza ”ufficiale”, difficilmente troverà argomentazioni stringenti per ricredersi, all’interno della mostra, in quanto Dario Fo non è uno scienziato, né uno storico, né un filosofo; d’altro canto, chi invece è correttamente informato su tale teoria sa che essa è talmente fondata e corroborata dalle osservazioni naturali e sperimentali, da appartenere senza alcun dubbio al patrimonio scientifico dell’umanità; costui non necessita di orpelli estetici per approfondire le sue conoscenze.

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Erasmus Darwin, nonno di Charles (ritratto di Joseph Wright of Derby).

A nostro parere, invece, riproporre il pensiero evoluzionistico di Darwin, ereditato in parte dal suo super-nonno Erasmus in questa forma divulgativa, pur con qualche inevitabile semplificazione storico-scientifica, ha dei grandi meriti.

Il primo, come la citazione sottolineava, è una chiamata alla consapevolezza che il grande evoluzionista ci ha donato una nuova visione dell’uomo e del mondo, che la nostra civiltà deve ancora in gran parte assimilare. Il manifesto della mostra (dipinto da Fo) ritrae uno scimpanzé che regge teneramente un neonato. È un messaggio sintetico particolarmente efficace: una metafora della fragilità ed immaturità della nostra natura umana, che va sostenuta nella sua crescita culturale, ma anche della coscienza che la bontà umana trae origine dal sentimento delle cure parentali dei nostri antenati animali (che, ovviamente ci hanno anche fornito gli istinti più feroci – ma questo ce lo ricorda già abbastanza la cronaca quotidiana).

Questo richiamo al valore della scienza è tanto più pregevole in un contesto turistico che spesso si vuole improntato al divertimento più spensierato.
Ma proprio qui la sfida di Dario Fo risalta nella sua artistica vitalità.

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Dario Fo al lavoro sulle opere per “Darwin. L’universo impossibile”. In primo piano, il manifesto della mostra su Darwin.

Infatti il secondo pregio dell’iniziativa è riscontrabile nel taglio da “turista in vacanza nel mondo” con cui Dario Fo privilegia il delinearsi del pensiero di Darwin.
Qui con un sol colpo si conseguono due risultati.
Da un lato la scienza può essere un bellissimo viaggio. “L’universo impossibile” narrato da Dario Fo svela come il fantastico e l’immaginario possano essere trovati nei luoghi più inaspettati. Come insomma la realtà, descritta da uno scienziato sensibile, superi la stessa fantasia.
Dall’altro, come la scienza stessa possa nascere dall’attenzione e dallo stupore per le svariatissime forme che la natura esprime. L’approccio interdisciplinare al tema evoluzionistico, grazie all’intelligenza e all’intuito artistico di Fo (e, prima ancora, di Darwin) ha il pregio di mostrare come una idea scientifica possa essere colta nelle sue molteplici dimensioni e conseguenze socio-politiche, etico-religiose, estetiche, e dei sentimenti personali, oltre che nella specificità del suo contesto storico disciplinare.

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Dario Fo, “Autoritratto”, 2014. Fo ha incontrato Cesenatico a 6 anni alla Colonia dei Ferrovieri e non ha mai smesso di frequentarla. “È una città di campagna che si affaccia sul mare: i suoi pescatori, le sue vele colorate trasmettono energia”.
Altre opere del pittore Dario Fo nell’articolo: Dario Fo elogia il Ruzzante: “Fu un vero rivoluzionario, l’unico che, in forma satirica, ha parlato del suo tempo” (con intervista e immagini).

Entrambi i risultati finiscono così per attrarre un pubblico con motivazioni e sensibilità variegate, e indurre tutti ad una maggiore profondità e a un sentimento di vicinanza col grande naturalista del secolo XIX.
L’esposizione è fisicamente introdotta da 4-5 riproduzioni scultoree a grandezza naturale di dinosauri o mostri di fantasia inventati dal maestro, allestite nell’androne esterno del Palazzo. Ma mentre altrove, di fronte a simili spettacoli, il pubblico, specialmente giovanile, non va oltre una evanescente emozione, in questa mostra sviluppa una dimensione riflessiva, articolata materialmente nelle scale e nei saloni del palazzo, fino alla grande scenografia del “paradiso terrestre” ospitata nella Sala iniziale del percorso “a ritroso” verso le origini.

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Un’opera della mostra “Darwin. L’universo impossibile” a Cesenatico.

Il segno pittorico di Dario Fo è in effetti un derivato della sua arte teatrale: come la sua mimica scolpisce oggetti, evoca scenari, interazioni umane, nelle loro mille sfumature e combinazioni, così il gesto disegnativo di Fo muove le fronde di un giardino attorno al giovane Darwin innamorato, scaglia le onde oceaniche attorno allo scafo della “Beagle”, fa brulicare le formiche attese alla loro attività. E come la voce e i suoni prodotti nel “grammelot” di una piazza o di un teatro producono la magia di comunicare emozioni e pensieri al di là, e anche al posto, delle parole, così i colori spesso squillanti delle sue composizioni destano l’attenzione del visitatore, risuonano, invitandolo a fermarsi, vibrano nei mille cromatismi del pensiero. La presenza di “pupazzi/sculture” svolge un ruolo di coinvolgimento tridimensionale e tattile del pubblico, non conseguibile con la pittura bidimensionale, e lo trascina nel grande Teatro della Vita.
I testi didascalici posti accanto alle opere diventano così il mezzo non opprimente per sviluppare la riflessione, e la conoscenza non viene più vissuta come un obbligo morale, ma come un’attraente e dosabile libera scelta.

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Cesenatico, Palazzo del turismo “Primo Grassi”: Dario Fo con Salvatore Giannella e il nipote del giornalista, Leo Pillot, otto anni, dopo la visita alla mostra su Darwin. Il piccolo Leo, che abita da tre anni a Hong Kong, ha incontrato per la seconda volta il premio Nobel. La prima volta lo ha incontrato 24 ore prima di nascere all’ospedale Morgagni di Forlì: mamma Valentina passeggiava sul lungomare di Cesenatico e incrociò il grande attore. Lo salutò raccontandogli che il giorno dopo sarebbe nato il piccolo Leonardo. E lui replicò, posando la sua mano sulla pancia: “Che nome importante! Gli auguro di essere felice e creativo”.

Questa modalità è un prezioso paradigma per chi oggi voglia fare divulgazione scientifica, schiacciato tra un accademismo inaccessibile alla gente comune e le volgarizzazioni snaturanti di certi programmi televisivi (e non ci riferiamo certo ad Alberto Angela).
L’unica conclusione di quanto detto non può che essere una raccomandazione a non perdere questa mostra curata da Fo con i suoi collaboratori più fidati (Enrico Bartolini in arte Berico; Vittorio Toffolon; Sara Bellodi; Jessica Borroni; Michela Casiere; Margherita Pigliapochi; Jacopo Zerbo). Già programmata fino al 6 novembre, la scadenza è stata anticipata, perché nel frattempo è stata richiesta a Edimburgo. Per star sul sicuro, è consigliabile visitarla entro il 10 settembre.

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Cesenatico, 2015. Dario Fo in visita al ciclo pittorico “Tende al Mare” di Enrico Bartolini, in arte Berico, che lo accompagna.

Dalla Romagna nella culla di Venezia. Poi i fan di Dario potranno arricchire la loro conoscenza spostandosi ad Altino, città culla di Venezia, dalle parti di Jesolo. Qui fino al 30 settembre è visitabile la mostra a tema Johan Padan, con tele realizzate da 15 ragazzi di bottega con l’aiuto di Dario Fo e del suo stretto collaboratore di Cesenatico Enrico Bartolini in arte Berico. Trenta grandi tele che vi faranno viaggiare da Venezia nella prima America. Il ricavato della mostra e della vendita dei gadget andrà alla Fondazione Nobel dei disabili (FB Altino e Venezia sotto il segno di Dario Fo). Tre quadri della mostra sono stati donati da Dario Fo all’amministrazione di Altino e dei comuni patrocinanti per scopi benefici del territorio. Ma su questo evento, curato dalla dottoressa Marina Salvato (mail: altinodariofo@gmail.com, tel. 345.5804078) daremo un approfondimento, anche fotografico, nei prossimi giorni.

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* Ferdinando Cavaliere, progettista di Med-plus, l’Ecomuseo dell’Adriatico (link) è nato, vissuto e residente a Cesenatico. Laureato in Filosofia, per due anni documentarista-bibliografo al Museo di Antropologia dell’Università di Bologna, è infine approdato, dopo brevi esperienze come insegnante a un incarico comunale: “L’esperienza di assistente sociale (per 14 anni) e di addetto all’Ufficio relazioni con il Pubblico (da 11 anni a oggi) mi ha insegnato fra l’altro a capire, sul campo, l’importanza delle varie forme di comunicazione nella divulgazione della conoscenza e dell’informazione. E ha rafforzato in me la convinzione che quando la cultura si sposa a un’adeguata impresa spettacolare e divulgativa diventa anche una risorsa economica”.

A PROPOSITO

Primo Grassi, l’ambasciatore della Riviera di Romagna che coltivò l’arte degli incontri a casa sua, a Cesenatico

testo di Dario Fo, introduzione di Salvatore Giannella

Tre anni fa, in una rovente giornata post-Ferragosto, Cesenatico dava l’ultimo saluto a Primo Grassi, l’ambasciatore dell’Adriatico romagnolo, l’uomo che, come recita il titolo del libro curato dal figlio Fabio, “inventò il futuro”. Nella prefazione del libro, edito da Minerva di Bologna, proprio Dario Fo illumina quel personaggio straordinario che fu sindaco di Cesenatico, poi direttore dell’Azienda di Soggiorno e via via fino alla guida dell’Agenzia regionale del turismo. Tra le sue innumerevoli intuizioni, aver capito prima di altri la potenza mediatica della televisione, aver riconosciuto alla cultura il ruolo di traino del turismo (sotto la sua amministrazione Cesenatico divenne un “cenacolo” di artisti, pittori e intellettuali, da Dario Fo a Gianni Brera, da Lina Volonghi a Caldari, Sughi e Sassu). E ancora, aver sempre gestito in prima persona la comunicazione (celebri le storie del delfinario “inventato” in una derivazione del porto canale leonardesco e del bicchiere di acqua di mare bevuto davanti alle telecamere per tranquillizzare i bagnanti in occasione dell’emergenza mucillagini), anche attraverso la creazione della prima Sala Stampa del Turismo, e (forse il suo più grande merito) aver fortemente favorito quel fitto dialogo tra pubblico e privato che oggi è la “firma” della promozione turistica regionale e fa dell’Emilia Romagna del turismo una case history internazionale. Grazie, Primo: la Romagna ti deve molto. (s. gian.)

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Dario Fo con Primo Grassi in una foto tratta dall’album di famiglia dello storico sindaco di Cesenatico ed ex manager pubblico del turismo romagnolo.

Primo Grassi era uno che aveva delle idee. Era stato sindaco di Cesenatico, si era comportato con correttezza e slancio, ma non era il suo giusto ruolo. Quindi lasciò la politica diretta e si buttò nell’organizzazione della macchina del turismo. La situazione era del tutto positiva, ma le numerose città che si affacciavano una appresso all’altra lungo il litorale romagnolo, attraverso i propri albergatori, locali notturni, trattorie e stabilimenti balneari, erano pronti come una mandria di cavalli che devono partire di gran carriera per trovarsi in testa al gruppo. Ma per muovere i villeggianti, coinvolgerli e fare in modo che scegliessero Cesenatico invece che solo Bellaria, Milano Marittima, Cervia o Gatteo a mare, bisognava escogitare qualcosa di completamente nuovo e diverso.

Abbiamo bisogno di pubblicità. E qual è il mezzo migliore per far pubblicità? La televisione. E allora bisogna fare in modo che la televisione venga qui, sul Porto canale. Non basta più offrire pesce fritto in memoria dello sbarco di Garibaldi che portava con sé la sua Anita morente, e nemmeno evocare la figura di Leonardo, che osservando il canale cinquecentesco che sfocia nel porto esclama: “Bisogna deviare i canali a monte e costringerli a scendere direttamente qui sulla spiaggia” e poi riesce ad avere l’incarico di realizzarli, quei canali dritti. E allora si va al quartier generale della Rai (allora c’era solo quella) e si fa la proposta: “Venite da noi con quattro telecamere immediatamente qui, sulla banchisa! Siamo pronti a dare ospitalità ai tecnici, ai presentatori, alle ragazze del coro e alle ballerine. Vi annegheremo di cozze, vongole e calamari e vi ubriacheremo di sangiovese! Noi vi procureremo un pubblico mai visto in televisione, e anche personaggi famosi, uno dietro l’altro come in un programma americano!’”.

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“Primo Grassi, l’uomo che inventò il futuro” (Minerva edizioni), di Fabio Grassi, 184 pagine, 15 euro.

Detto, fatto, proposto e accettato. La serata dello spettacolo in riva al mare coi pescherecci, le vele spalancate e la gente che applaude e ride, funziona a meraviglia. Ma non si può risolvere un battage solo con una botta e via, bisogna che i villeggianti incontrino ogni giorno qualche faccia nota e intelligente, pittori, registi, scrittori, attori, attrici, e si allestiscano mostre, convegni dove gli autori leggono le proprie storie, spettacoli lungo il canale, e soprattutto fare in modo che questi pezzi da novanta non vadano via il giorno appresso ma rimangano lì, insieme ad altri invitati delle stesse professioni. Ed ecco che arrivare a Cesenatico è come ritrovarsi in Via Veneto a Roma, con in più un sacco di ristoranti che non trovi in nessun altra parte.

Ma come ci riuscì, Primo? L’idea di trasformare un paesotto di mare in un luogo di eventi era intelligente ma la realizzazione fu geniale. Ed era basata innanzi tutto sul carattere di Primo, sul suo modo di comunicare e la sua passione per lo spettacolo che lo portò a conoscere e a diventare amico mio, di Franca, di Lina Volonghi, Sandra Mondaini, Arigliano, Calindri, Sellani e tanti altri. La sua casa di Cesenatico divenne un punto di incontro. Si andava a dormire lì, nella camera della nonna… E durante il giorno era un viavai di gente, si discuteva, si mangiava il pesce, poi arrivavano Jannacci o Cochi e Renato o Fiorenzo Carpi. Si scrivevano canzoni, si raccontavano storie. Quella di Primo non fu un’operazione di marketing, fu la sua vita; fu la sua arte dell’incontro a trasformare Cesenatico nel posto dove a lui sarebbe piaciuto vivere e che ancora non esisteva…

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