Caro Romano, in un incontro di Bookcity dedicato agli eroi che riportarono a casa i tesori d’arte di Milano, è stato evocato un suo prezioso libretto (L’arte in guerra) che fa capire perché l’arte possa essere amata, ma anche odiata, conquistata…

“Per le opere d’arte italiane va distinto il periodo pre e post-armistizio. Nel ’37 arrivò a Roma, per fare acquisti, Filippo d’Assia. La prima richiesta fu quella del Discobolo di Mirone, proprietà del principe Lancellotti, opera di alto interesse nazionale e quindi non esportabile. Nel ’38 Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri, scrisse a Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, che il Discobolo, per interessamento di Hitler, doveva partire entro una settimana. Bottai cercò di limitare i danni con una legge sulla tutela del patrimonio culturale della Nazione. A rafforzarne la tutela, con una circolare vietò ogni esportazione, in guerra, di opere d’arte”.

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Sergio Romano (Vicenza, 1929) è uno storico, scrittore ed ex ambasciatore. I suoi ultimi libri sono: L’arte in guerra (Skira) e Il declino dell’Impero americano (Longanesi). Risponde ai lettori sul Corriere della Sera.

Tutto cambiò dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43.
“L’ipocrisia degli acquisti fu inutile e l’intero patrimonio artistico italiano nelle regioni occupate dai tedeschi fu affidato dalla Germania alla ‘cura’ di un ente, il Kunstschutz, che provvide a svuotare musei e collezioni private per trasportarle in Germania, dove avrebbero corso, secondo i tedeschi, rischi minori. Ma non tutto, verosimilmente, se la Germania avesse vinto la guerra, sarebbe tornato al suo posto. Perciò è lodevole il Bottai che fa dare ricovero e salvezza ai nostri capolavori”.

I nostri Soprintendenti salvarono gran parte del patrimonio. Ma dopo 70 anni 1.652 opere razziate sono ancora prigioniere di guerra, parte in Germania e parte nei musei russi. Io ne parlo in un mio recente libro (Operazione Salvataggio, Chiarelettere) e le sto mostrando anche in foto sul web (Giannella Channel), traendo spunto da una lista dello 007 dell’arte Rodolfo Siviero.
“La recente scoperta della collezione Gurlitt a Monaco di Baviera, proveniente da confische a musei e a famiglie ebree, potrebbe dare qualche risposta a molti dubbi sulle opere ‘prigioniere’. La riluttanza dei russi a parlare dei pezzi in loro possesso fa parte di una sospettosa indole nazionale, ma forse anche per l’amministrazione sovietica non era facile catalogare il patrimonio disperso”.

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Giuseppe Bottai (Roma, 1895-1959) fu governatore di Roma e di Addis Abeba, poi ministro delle Corporazioni e dell’Educazione nazionale.

Una lettera del presidente Eisenhower agli ufficiali operanti in Italia delinea l’Italia come prima potenza culturale del pianeta…
“Non siamo mai stati potenza culturale nel senso compiuto e attivo della parola. Siamo stati piuttosto una potenza culturale passiva, amata, ammirata, visitata. Abbiamo accumulato un ricco patrimonio dal passato, ma non abbiamo mai fatto una incisiva politica culturale. Ci provò a suo modo proprio Bottai servendosi anche di collaboratori antifascisti. Era un nazionalista, convinto che la cultura fosse la prova dell’esistenza di una nazione italiana”.

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* pubblicato sul n. 49/2014. Per i prossimi appuntamenti della rubrica “Il mio eroe”, ogni venerdì in edicola su Sette, storico magazine del Corriere della Sera diretto dai Pier Luigi Vercesi.

A PROPOSITO / UN RICORDO E UN AGGIORNAMENTO

Ministro Franceschini, mandi un esperto a Monaco di Baviera per visionare i capolavori della collezione Gurlitt razziati anche in Italia

testo di Salvatore Giannella

Della collezione Gurlitt, evocata dall’ambasciatore Sergio Romano, parlo nel mio recente libro “Operazione Salvataggio” (Le storie degli eroi che hanno salvato l’arte dalle guerre, editore Chiarelettere), nel capitolo dedicato ai capolavori italiani ancora prigionieri di guerra.

IL RICORDO

“La guerra per l’arte continua ed è una guerra spesso combattuta nel silenzio, interrotto solo di tanto in tanto da notizie che lasciano ben sperare…

 

Nel novembre del 2013 arriva la notizia di un nuovo ritrovamento. In un appartamento di Monaco di Baviera è stato scovato un tesoro di 1500 opere d’arte, per un valore stimato di oltre un miliardo di euro, che erano state confiscate dai nazisti durante il Terzo Reich e che si credevano ormai perdute. Fra i dipinti riportati alla luce, capolavori di Chagall, Klee e Matisse accatastati in un ripostiglio, tra cassette di frutta e barattoli di fagioli, della polverosa casa dell’ormai ottantenne Cornelius Gurlitt, figlio dello storico mercante d’arte Hildebrand Gurlitt, consulente di Hitler che aveva sostenuto di aver perso la collezione sotto il bombardamento di Dresda.

 

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Il presidente del Museo d’Arte di Berna, Christoph Schaublin, mentre annuncia che accetta la collezione Gurlitt. © RONNY HARTMANN / AFP

 

La polizia è arrivata alla scoperta di Monaco (che era il “collection point” della raccolta ordinata da Hitler) dopo che nel settembre del 2010 Cornelius era stato fermato su un treno di ritorno dalla Svizzera con 9.000 euro in contanti, in una delle sue sporadiche trasferte per vendere esemplari minori della sua collezione, sempre alla luce del sole e in modo legale: una sorta di rendita del patrimonio paterno che gli aveva permesso di sopravvivere nell’ombra per decenni, senza mai un lavoro, una pensione né un numero di previdenza sociale. La casa di Monaco non era l’unico nascondiglio. In un altro appartamento di Salisburgo le autorità tedesche hanno trovato altre 60 opere della collezione, tra cui dipinti di Picasso, Renoir e Monet. Nonostante i fortunati ritrovamenti di Zurigo, Monaco e Salisburgo e i tanti sforzi eroici di antichi e moderni Monuments men – da quelli delle forze alleate angloamericane, ai salvatori dell’arte italiani, fino agli eroi più recenti –, sono però ancora tante le opere d’arte «prigioniere di guerra» che mancano all’appello.

 

Restando solo ai beni trafugati in Italia durante il fascismo e la Seconda guerra mondiale, l’elenco è lunghissimo. Non sono mai tornati almeno 1653 pezzi: 800 dipinti, decine di sculture, arazzi, tappeti, mobili, strumenti musicali, tra cui violini Stradivari, e centinaia di manoscritti. Le opere trafugate si trovano ancora in Germania e Austria e, in parte, nella ex Unione Sovietica, dove furono portate dall’Armata rossa dopo il crollo del Terzo Reich e l’invasione dei suoi ex territori. Tra queste, capolavori di Michelangelo, del Perugino, di Marco Ricci, oltre a sculture greche e romane e a tavole di primitivi di ottima fattura.

 

Per riavere queste opere, dopo il lodevole impegno del ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero, nel dopoguerra a capo dell’Ufficio interministeriale per il recupero delle opere d’arte, al quale dobbiamo il ritorno in patria di numerosi capolavori e altri beni culturali come libri, biblioteche, documenti e archivi, è necessario un duro lavoro diplomatico e giudiziario, affiancato a quello investigativo dei carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale (trecento uomini articolati in dodici nuclei presenti in tutto il territorio)…

 

Vogliamo augurarci che questo libro faccia crescere quella consapevolezza, oltre che nel pubblico, anche fra i politici ai quali si deve chiedere di sviluppare le iniziative legislative e amministrative nell’unico modo davvero efficace: investigare sui capolavori «ultimi prigionieri di guerra» e, laddove possibile, recuperarli e restituirli ai musei e alle famiglie di legittima appartenenza.”

A questo obiettivo è mirato l’appello lanciato con il mio nuovo libro, con la rubrica sul Corriere.it / Buonenotizie e con il mio blog Giannella Channel, dove ho pubblicato e continuo a pubblicare (regione per regione), in un’ideale “Chi li ha visti?”, le fotografie dei principali capolavori prigionieri (link) e quelli razziati in Romagna (link).

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Opera dalla collezione di Gurlitt © EPA

L’AGGIORNAMENTO

“Il tesoro di Hitler va al Museo di Berna, ma Le opere razziate agli ebrei torneranno agli eredi”: titolava così la principale agenzia di stampa italiana, l’ANSA, un suo dispaccio dalla Germania del 24 novembre scorso. Leggiamolo:

Il museo dell’Arte di Berna accoglierà l’eredità del collezionista Cornelius Gurlitt, trovato in possesso di oltre 1.400 capolavori da Matisse a Picasso. Si tratta del “tesoro di Hitler”, il controverso patrimonio artistico ereditato e tenuto nascosto al mondo da Gurlitt, figlio di Hildebrand, noto commerciante d’arte di Monaco vicino al regime nazista. Dal testamento di Gurlitt, presentato dai legali dopo la sua morte nel maggio scorso, è venuto fuori che l’ottuagenario voleva lasciare la sua collezione al museo di Berna. Il presidente della Fondazione svizzera ha oggi sottolineato che collaborerà con gli inquirenti tedeschi, per restituire ai legittimi proprietari opere di cui si dovesse scoprire che furono razziate dai nazisti.

Fin qui la notizia ANSA. Ricordo che il 17 novembre del 2013 lanciavo dalle colonne del Corriere.it / Buonenotizie (link) un appello all’allora ministro Bray (“Riaffiora parte dell’arte rubata da Hitler. Continui la ricerca, ministro Bray”: vedi copertina al link sopra indicato) dopo il ritrovamento in quei giorni a Monaco di Baviera della collezione Guirlitt. Mi auguro che da Roma il ministro Bray o il suo successore alla guida del Mibac, Enrico Franceschini (altro appello dalle stesse colonne del Corriere.it/Buonenotizie) abbiano fatto partire, come auspicavamo, uno specialista a visionare le opere della collezione Gurlitt per vedere se tra esse ci sono i capolavori “prigionieri di guerra” appartenenti all’Italia. Era ed è un auspicio personale, che vedo rafforzato dalle parole consegnatemi nell’intervista da Sergio Romano: “La recente scoperta della collezione Gurlitt a Monaco, proveniente da confische a musei e a famiglie ebree, potrebbe dare qualche risposta a molti dubbi sulle opere prigioniere”.

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