Da quando la Gran Bretagna ci ha lasciato, e la Le Pen minaccia di portarsi via la Francia, e anche il Belgio ci sta pensando e qui da noi Salvini vuole uscire anche lui, e forse anche i grillini, provo una strana sensazione. Come un senso di solitudine. Come una paura di rimanere orfano. Orfano di Europa. Non è una bella sensazione, perché va ad accrescere il livello d’ansia fisiologico, già sopra la norma.
Per l’Europa, da ragazzo, ho fatto uno dei due scioperi della mia vita. L’altro, mi vergogno un po’ per quanto è antico, è stato per Trieste italiana. È che io all’Europa mi sono affezionato. In Europa mi sento a casa mia, anche nei paesi che parlano una lingua incomprensibile, ma dove se dico che sono italiano, mi guardano come un amico. E sono fiero che il mio Paese sia stato tra i pochi che ci hanno creduto fin dall’inizio, e mi viene di vantarmi che siamo stati noi i primi a mettere in piedi questa grande famiglia. Sì, avete capito bene: famiglia. Dove ogni tanto si litiga, perché qualcuno dei grandi, o dei piccoli, si sente sottovalutato, o maltrattato, ma comunque è una famiglia civile, dove non si arriva mai a menare le mani.
Non ci sono guerre in Europa: dal 1945 a oggi, fanno quasi settantacinque anni di pace. Sembra niente, ma da Gesù Cristo in poi non era mai successo. E nel resto del mondo non è così, ci si ammazza anche per futili motivi. Adesso tutta questa voglia di lasciare la famiglia e di tornare single io non la capisco e mi fa paura. So poco di economia, ma credo basti il buonsenso per avere paura. Tanto per cominciare, chi va a vivere da solo dovrebbe essere certo di riuscire a mantenersi. I tedeschi sarebbero tra i pochi a cavarsela, ma noi? Abbiamo debiti fino al collo, una cifra che se la scriviamo in lire non basta una pagina di giornale. Finora sono confluiti nel conto di famiglia e gli altri si sono mostrati comprensivi. Ma se la famiglia si sfascia rischiamo grosso. I parenti di oggi possono diventare strozzini, e ridurci in mutande. E poi, a pensarci bene, non è solo una questione di soldi.
C’è una ricchezza più grande
che accomuna i nostri cinquecento milioni
di famigliari: è quel patrimonio
spirituale e morale cui fa esplicito riferimento
la carta dei diritti dell’Unione:
il rispetto della cultura e delle tradizioni dei popoli, la garanzia della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, di espressione, la libertà di circolare e soggiornare liberamente in una grande terra che va dal Mediterraneo al Circolo polare, il divieto di qualsiasi discriminazione, l’esclusione della pena di morte e il divieto di estradizione verso i Paesi che la praticano, e infine quel diritto d’asilo che sembra essere diventato un tarlo disgregatore e invece è un punto di forza e di superiorità sulla povertà e sulla barbarie.
Sì, perché tutti i grandi paesi, a cominciare dagli Stati Uniti che ora fanno muro contro la presunta invasione messicana, sono diventati grandi grazie all’apporto degli emigranti, asiatici, o europei, o sudamericani. E perfino la perfida Inghilterra sarebbe più povera, e probabilmente più stupida, se i suoi purosangue non si fossero mescolati con la plebaglia proveniente dalle colonie. Londra, che ha votato no alla Brexit, ha un sindaco pakistano; la Francia ha avuto per anni un primo ministro di nascita e di nome ungherese, sposato con un’italiana. La Germania s’è trovata una primadonna all’est, al di là di quella che fino a pochi anni fa si chiamava cortina di ferro. In Spagna il re si è trovato la regina in Grecia.
Possibile che vogliamo rinunciare a questo meraviglioso fritto misto per tornare al Medio Evo?
IL BELLO DELLA MEMORIA/ QUANDO LO INCONTRAI PER “SETTE” - CORRIERE DELLA SERA
Nell’Olimpo di Paolo Occhipinti
posto d’onore per Montanelli
colloquio a cura di Salvatore Giannella*
GIANNELLA. Caro Paolo, porto nella mia mente molte parole dei tuoi editoriali in 26 anni di direzione del settimanale Oggi. Per esempio, quando nel 1997 nacque la pecora Dolly per clonazione, ti lanciasti in una proposta scherzosa che coinvolgeva un tuo illustre collaboratore: “Io proporrei di clonare Indro Montanelli. Potrebbe essere un vantaggio per il giornalismo italiano”.
OCCHIPINTI. “Lo penso ancora oggi. Al nostro mestiere, e all’Italia, manca un maestro come Montanelli, con la straordinaria lucidità dei suoi giudizi, la sorprendente lungimiranza delle sue diagnosi, la sapienza dei suoi dubbi, più illuminanti di tante becere certezze”.
Riappropriamoci di alcuni suoi insegnamenti.
“Primo comandamento: ognuno faccia il suo mestiere. Non si chieda ai giornalisti di fare i politici, e ai politici di fare i giornalisti, così come non si chieda a un inesperto di comunicazione di fare un piano marketing per conquistare le folle o a un pensatore di fare l’esperto di finanza. A proposito di pensatori e soldi, l’unica volta in cui ho litigato con Indro, nei suoi quasi trent’anni di rapporto che ha avuto con i lettori di Oggi, fu quando dovetti convincerlo ad accettare un compenso per la sua rubrica”.
Avanti con un’altra sua lezione utile.
“Me l’ha data nei suoi ultimi anni di vita: lui rivendicava il diritto di cambiare idea. Che è diverso dal cambiare casacca, sport in cui eccellono molti italiani. Lui cambiava idea ma ti dimostrava sempre perché aveva cambiato idea, ti dava una spiegazione razionale. Ha cambiato idea politica per tutta la vita, è passato dalla monarchia alla repubblica, dalla destra e dall’anticomunismo alla socialdemocrazia, poi è tornato alla Dc ma turandosi il naso… “.
Insomma neuroni severi e flessibili.
“Esatto. La stessa cosa valeva per gli uomini. Poteva giudicare positivamente un uomo e dopo qualche anno dire ‘quest’uomo mi ha deluso’ e spiegare perché l’aveva deluso. Non voglio presumere quali cambiamenti avrebbe fatto negli ultimi anni, però mi immagino che si sarebbe quasi innamorato politicamente di un uomo come Mario Monti ma che poi sarebbe rimasto deluso quando è sceso nell’agone politico… Sarebbe stato affascinato, lui anarchico libertario, da Grillo ma poi sarebbe rimasto deluso trovandolo poco propositivo e poco libertario. Quanto al suo corregionale Renzi, lo avrebbe visto con invidia ma anche con sospetto”.
Altre sue qualità da riscoprire?
“Non aver paura di schierarsi con i perdenti. E avere il grande dono che io raccomando a tutti, non solo quando si scrive ma anche quando si parla: il dono della concisione, l’essere essenziali e chiari. I suoi editoriali sul Corriere della Sera non giravano mai nelle pagine interne”.
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