Sono passati cent’anni esatti da quando Walter Gropius fondò nel 1919 a Weimar lo “Staatliches Bauhaus”, nato dalla fusione delle due scuole di Arte (1860) e Arti Applicate (1907) del granducato sassone. Bau-Haus, la casa del costruire, laddove si forma il neuer Mensch, cittadino dell’età moderna. La Scuola propugna il ritorno a competenze artigianali col supporto tuttavia delle nuove tecnologie, della conoscenza artistica e di una preparazione onnicomprensiva, al passo coi tempi e libera dalla dittatura degli stili, in un mondo culturalmente dotato per quanto traumatizzato dagli orrori della prima Grande Guerra Mondiale. La Germania festeggia nel 2019 questo anniversario con tanti eventi e sette itinerari specifici (grandtourofmodernism.com), alla scoperta non solo delle grandi opere di Dessau, Berlino e Weimar, ma anche di destinazioni che non sono conosciute per il Bauhaus, come Amburgo per esempio. Lo storico dell’architettura Roland Guenter, che ama l’Italia (ha casa ad Anghiari, in Toscana) e portava i suoi studenti universitari nel Montefeltro storico (a Pennabilli, nell’entroterra di Rimini), da Tonino Guerra, a lezione di architettura poetica rivelatasi importante per la riconversione culturale della Ruhr, sta per pubblicare un libro sul primo secolo di vita di arti e scienze, vero esperimento di uguaglianza fra tutti gli esseri umani, di partecipazione attiva alla politica e di libertà di pensiero (il Movimento fu chiuso per questo dai nazisti di Hitler appena salito al potere, nel 1933).
Il libro di Roland chiude con pagine dedicate, a sorpresa, a una esperienza nata alle porte di Milano da giovani creativi che nel loro fare quotidiano (Fèm è il loro motto e marchio) affondano le radici in quel Movimento tedesco che fu la più grande fucina di talenti del Novecento. Ecco i brani centrali di quel capitolo sulla Bauhaus milanese, nata sulla linea verde della Metropolitana che collega Milano a Cernusco sul Naviglio e Cassina de’ Pecchi. (s.gian.)
L’identità di un luogo è sempre disegnata dall’immaginazione. Nel Nord Europa abbiamo un’immagine di Milano pari a quella di Parigi: elegante, eccellente, splendida, anche storica come anche intensamente presente. È tutto giusto, ma con un’eccezione. È solo una parte della realtà: perché l’ambiente di Milano oggi è disegnato da un problema che tutte le metropoli in tutto il mondo possiedono e contro questo problema, il tessuto disomogeneo delle periferie, non esiste finora una medicina.
Allo splendido centro della Grande Milano corrisponde attorno il grigio delle periferie, quelle che i burocrati chiamano “la Città Metropolitana”, dove esiste un capitalismo che non crea e che magari dopo vent’anni se ne va, dove le autorità locali non hanno idea di cosa fare progettando oltre i propri confini territoriali, dove le strutture non sono adatte per il traffico e dove un po’ di asfalto rifatto non può sostituire la mancanza di connessioni più armoniose.
In questi giorni del 2019 io sto a casa dei Giannella, a Cassina de’ Pecchi, e scrivo da questa casa vicino al Naviglio Martesana. Manuela e Salvatore mi accompagnano in un capannone industriale (al civico 55 della strada più battuta d’Italia, la Statale Padana Superiore, territorio di Cernusco sul Naviglio al confine con Cassina) e lì trovo una dozzina di artisti tutti con orientamenti culturali diversi.
Io studio un po’ la diversità che nasce in questo laboratorio e loro, i giovani chiamati a raccolta da un’idea di Greta Gasparini, milanese, classe 1992, condivisa dalla sua famiglia di creativi (oggi è qui con loro il padre di Greta, Gianantonio, grafico e designer), aspettano il mio commento. Dico loro:
Considerate tre fasi: 1) mettendovi insieme e operando in questo modo voi avete dato inizio a un piccolo Bauhaus; 2) voi potete continuare il Bauhaus; 3) io posso dire perché anche voi potete essere eredi del Bauhaus. Il Bauhaus era una promessa che ha fondato il geniale Walter Gropius cento anni fa, nel 1919, con amici nel leggendario microcosmo di Weimar, mettendo in scena una cosa a cui un filosofo ha dato la formula: “Il mondo nasce prima nelle idee e nelle immagini”.
È stato il Bauhaus una speranza? Sì ma dapprima non precisa e questo Bauhaus è diventata una cultura di questa idea che era in grado, come i virus, di entrare in casa anche se le porte dell’abitazione sono chiuse con muri e barricate. Il Bauhaus non è solo nei risultati, che pure sono in grande quantità, ma è una filosofia e un comportamento. Voi giovani, tra queste mura tra Cassina e Cernusco, avete già cominciato a creare un Bauhaus. È bello vedere che sotto questo tetto lavorano colleghi e amici, scenografi, designer, artigiani, pittori, scultori e visionari che amano fare: Fèm è il vostro lavoro. Insieme progettate, sviluppate e realizzate.
Siete uno spazio dove trovare soluzioni. Le vostre idee, il vostro talento si trasforma in passione e in creatività, che è la capacità cognitiva della mente di creare e inventare, senza limiti in quanto un laboratorio creativo nasce e cresce nel momento in cui la creatività stessa può trovare espressione a 360 gradi.
La ricerca di armonia tra materiali anche apparentemente incompatibili, lo studio delle forme e dei colori, sono le componenti essenziali del vostro modo di essere e concepire.
Questi giovani uomini e donne hanno scelto come motto Fèm, breve parola che nel dialetto milanese significa Facciamo ed è acronimo di Fare è meglio. Questo motto vuole essere un modo di vivere e di agire contro le tantissime chiacchiere che non hanno il lavoro come risultato. Ognuno di loro ha una capacità manuale e spirituale e sviluppa queste capacità. Questi giovani non hanno un programma, nessuna cosa quadrata nella quale si dice che bisogna inserirsi.
Loro sviluppano prodotti con tutto quello che si può utilizzare, con un’attenzione a quello che c’è dentro di loro e a quello che sta fuori da loro. Questa doppia visione non si può dividere. Una è inevitabilmente collegata all’altra. Non parlano di denaro, pur dovendo ogni giorno fare i conti con il denaro: l’affitto dello stabilimento costa mensilmente 1.200 euro ma il pensiero del denaro, dicono, è un veleno per l’arte. Prima bisogna nutrire il pensiero e quello che ci affascina, altrimenti si prenderebbe una professione per il pane: ma uno che è affascinato dall’arte non può anteporre i soldi alla sua creatività.
Questo laboratorio è come una vasta cucina dove ognuno ha una sua grande ciotola e tutti possono vedere a che cosa sta lavorando l’altro. In questo grande spazio le idee convergono verso il centro e costituiscono una mostra permanente, si possono vedere opere già compiute e vedere altre che sono in fase di progetto o di realizzazione.
E nessuno riceve comandi, ognuno con la sua barca a vela va in un’area del futuro, va nell’incertezza, nessuna cosa è certa, si sa vivere con l’incertezza e questa è anche una protesta contro i mondi davanti alla porta nei quali tutto è finalizzato in un modo molto banale, rigido, con le sue norme e comportamenti.
Questo modo di vivere è anche la mia pratica quotidiana e quando telefono a qualcuno, io dico: “Io non voglio avere niente da te, ma solo scambiare quattro pensieri”, e questo fa sì che l’altro si meravigli.
Io nomino Greta Gasparini e i suoi compagni di viaggio eredi del Bauhaus, quinta generazione. Gente che sa vivere alimentandosi con le ottime radici mediterranee: il sole per sorridere ed essere amichevoli, l’ombra per riposarsi. Gente che può contare su amici e sostenitori come Salvatore Giannella, che nei racconti di suo nonno e di quelli che fa ai suoi nipoti, genera parole come fulmini che fanno luce per gli ascoltatori. Narratore capace di tenere insieme scienza ed emozioni, che fa capire che la scienza sbaglia quando lascia fuori i sentimenti. O come Manuela Cuoghi che ritrova qui, dopo decenni, alunni della scuola di un tempo, e che ora si possono abbracciare spontaneamente, la distanza tra docente e allievo non c’è più.
L’ex sindaco di Cassina, Massimo Mandelli viene volentieri a trovarli, lui ha realizzato durante la sua esperienza di primo cittadino ben 64 progetti, un risultato unico in questo campo dove non fare qualcosa è comune. Come lui, altri si affacciano curiosi in questo laboratorio creativo. Perché il Bauhaus non è una porta chiusa: è unico, aperto, infinito e irripetibile. E in questo piccolo Bauhaus nuovo, incontrato alle porte di Milano, ognuno è erede di una cultura e di un’esperienza che, cominciate da Gropius a Weimar, continuano a rigenerarsi senza finire mai. Fèm, fèm, fèm.
Fotogallery
I volti dei Fèm
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