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Nell’era sfuggente e mutevole dei rapporti virtuali e delle riproduzioni perfette delle stampanti 3D, sono gli incontri con le persone, in particolare con artisti e artigiani dalle mani sapienti, abili a creare dalla materia informe qualcosa di unico, ad arricchirci con storie nuove che suscitano emozioni primordiali. Generalmente questo si verifica in contesti più raccolti, meno metropolitani e più a “dimensione uomo”, in special modo in regioni uniche come la Sardegna, dove l’artigianato ha superato in fatturato l’industria (link), e dove ricercatori e studiosi da tutto il mondo si arrovellano per definire quali siano gli ingredienti per una lunga vita (tema che approfondiremo in una prossima inchiesta di Salvatore Giannella, Ndr).
In questa terra misteriosa dalle numerose storie, l’incontro con Paolo Concu, artista di San Sperate (Cagliari), è stato un dono sorprendente, in un luogo che già si differenzia per la sua chiara identità di paese museo. Non solo un borgo, come altri della Sardegna, dove è viva la tradizione del muralismo, e dove il colore, oltre a raccontare storie sulle pareti, rende più amabile l’architettura urbana, con serrande, segnali, marciapiedi dipinti. Ma un paese che ha scelto di adottare, e non semplicemente di ereditare, questa precisa identità, fidandosi dell’intuizione e delle visioni del maestro Pinuccio Sciola, l’artista che ha portato la sua San Sperate “città sonora” nel mondo facendo suonare le pietre, spentosi qui il 13 maggio 2016 a 74 anni.
Percorrendo la via d’accesso a San Sperate, quella staccionata in pietra così colorata, con forme totemiche, risveglia il ricordo di quell’amato Messico da me studiato e percorso, intorno a una casa altrettanto singolare, con facciate bianche decorate da maschere e disegni che incorniciano le portefinestre come gli accessi di antichi templi. Inevitabile, avvicinandosi al cancelletto giallo d’entrata rinforzato da pietre multicolori, sorridere ed essere incuriositi dalla scultura di un uomo dalla barba canuta e col berretto in testa, nelle mani delle pesche, frutto simbolo del paese che ne ospita dagli anni Sessanta la sagra, producendone la maggior quantità in tutta la Sardegna. Ed ecco che quell’opera si anima, e dal cancello ad accogliermi si presenta proprio Paolo Concu, un uomo dallo sguardo vispo e profondo, la pelle scura segnata dal sole, la barba canuta e il copricapo, che con un’ospitalità consueta in Sardegna, mi invita a oltrepassare la soglia del cancello, aprendo al mondo esterno un inaspettato mondo interiore che ha preso la forma di un giardino delle meraviglie.
Anfore con conchiglie, maschere etniche e totem, pietre colorate con simboli e disegni, campanacci allestiti come acchiappasogni, fontane decorate da facce antropomorfe, pezzi di legno multicolore, materiali di recupero che han ripreso vita incarnandosi in nuove sculture, convivono con una vegetazione di fiori e foglie che ben si sposa con i toni naturali della pietra e della terra sarda. Un lavoro frutto di una mente artistica profonda e vivace, di un uomo che artista non si riesce a definire. «Non so, non mi chiami artista, lei dice così, molti dicono così, ma io non lo so se sono un artista. Io non ho studiato, sono una persona semplice, a me queste cose vengono così, da dentro», dice umilmente Paolo, reso inquieto da un’energia interiore che si trasforma in potenza creatrice e generatrice di bellezza.
Paolo ha compiuto 67 anni lo scorso luglio, è originario di San Gavino Monreale, paese a 40 chilometri da San Sperate, dove vive da quando ha sposato Patrizia, nel 1975. Ha lavorato sempre a Cagliari, come manutentore, imbianchino, decoratore di ospedali, luoghi dove la sofferenza è a portata di mano. Dagli anni ’80 ha cominciato a costruire la casa dei suoi sogni col recupero di materiali raccolti, e dopo un forte dispiacere personale ha iniziato a realizzare questo giardino in continua evoluzione, un’oasi che è un inno alla gioia. «Non mi capacito di come queste mani abbiano potuto fare tutto ciò», dice Paolo, «io ho fatto quel che vede perché ho sentito di doverlo fare. Lo faccio per la comunità. Non esiste un progetto predefinito, io comincio, e mentre creo, vedo quel che devo fare».
La prima domanda, alla vista di quelle forme etniche, è stata a quale popolazione si fosse ispirato, quali fossero stati i viaggi che così tanto avevano influenzato le sue creazioni. Ma ancora una volta Paolo mi stupisce con la semplicità: «Viaggi esotici? Sono stato qualche volta a Roma, e a Torino dove ho dei parenti. Ma per il resto sono sempre rimasto tra Cagliari, San Sperate e dintorni. Negli ultimi anni, grazie all’antropologo visuale Giovanni Spissu, che insegna all’Università di Manchester, e con cui sto realizzando una mappa visuale che verrà esposta a Montreal, sto scoprendo altri volti della Sardegna».
Ma la storia di Paolo Concu non finisce qui: nel suo giardino ospita dei cavalli di legno scolpiti da Pinuccio Sciola, suo maestro con cui ha da sempre collaborato fianco a fianco, decorando i muri di San Sperate, sviluppando idee creative e portando l’arte e la bellezza tra la gente: «Mi manca troppo Pinuccio, il mio Maestro. La sua scomparsa mi paralizza, ma so che lui non vorrebbe mai e poi mai che io smettessi», ammette Paolo con occhi lucidi. «Però non mi posso fermare, devo andare avanti per lui». E così, dopo avermi offerto delle deliziose pesche, mi mostra il paese che assieme a Pinuccio e altri artisti, col calore dei sansperatesi, ha amorevolmente contribuito ad abbellire e rendere unico. Mi accompagna anche nel Giardino Sonoro, il parco con gli enormi monoliti che Sciola faceva “parlare”. Anche Paolo sa suonare le pietre, ha imparato ad accarezzarle con dolcezza, stando col suo maestro. E rimango immersa in quel paesaggio musicale senza tempo, che in pochissimi ormai, dopo la dipartita di Pinuccio Sciola, sanno far vivere.
Raccontando di sé, l’artista Paolo Concu mi saluta con una lezione di umiltà e autenticità: «Nelle cerimonie pubbliche, io non ho mai parlato a lungo, non mi piace espormi. Alla presentazione di un gran progetto con Sciola, ho solo voluto dire grazie a chi era presente. E Pinuccio mi disse che erano state le parole migliori, le mie. Forse mi sbaglio, sono diverso dagli altri, ma io sono così, semplice. Io sono quello che sono». •
A PROPOSITO/ Chi era il profeta della “città sonora”
Pinuccio Sciola,
il maestro che da San Sperate
stupiva il mondo
facendo cantare le pietre
L’incontro con Pinuccio Sciola è stato certamente determinante nella vita dell’artista Paolo Concu (non me ne voglia se continuo a definirlo artista, perché chi ha quel dono raro di poter creare bellezza dal nulla, mettendola alla portata di tutti, non riesco a chiamarlo in altra maniera), che ha ricordato con immensa stima e sentita commozione il maestro scomparso solo pochi mesi fa.
Paolo, come ha incontrato Pinuccio Sciola? E com’era il vostro rapporto?
«Sciola era già un personaggio molto conosciuto nel paese e anche in Italia (un giorno, a metà anni Settanta, venne a intervistarlo, quando tornò dal Messico dove aveva lavorato con Siqueiros, anche Salvatore Giannella, per L’Europeo, tornato a trovarlo l’estate scorsa), anche per i modi di fare singolari. Inizialmente, negli anni Sessanta, aveva fatto dipingere di bianco tutte le pareti di San Sperate. Col suo carisma aveva raccolto intorno a sé una cerchia di artisti e collaboratori, assieme ai quali, a partire dal decennio successivo, ha restituito un volto diverso al borgo. Quando sono arrivato a San Sperate, l’incontro con Pinuccio è stato inevitabile. Lui mi ha voluto subito al suo fianco, perché io so usare il colore, diceva a chiunque avesse bisogno di ricreare una tonalità particolare che “Paoletto batte il tintometro”, mentre qualcun altro mi chiamava “il piccolo Gaudì”. Pinuccio sapeva questo di me, e inoltre era affascinato dal lavoro che stavo facendo sulla casa e nel mio giardino, così abbiamo cominciato a lavorare insieme, sempre, fino all’ultimo, per più di trent’anni. C’era un profondo rapporto di stima reciproca, di rispetto e totale fiducia. Prima di andarsene mi ha fatto per la prima volta a parole i complimenti per il mio lavoro, spronandomi a continuare, dicendo che San Sperate, di sicuro, sarebbe diventato come la mia casa».
Come riusciva il suo maestro a far “parlare” le pietre?
«Io da sempre colleziono tutto quel trovo, raccolgo rami per terra, sassi, materiali naturali, e li trasformo in qualcos’altro. Anche Pinuccio era un grande osservatore della realtà, e aveva capito che ogni pietra aveva una voce diversa, quindi ha cominciato a sperimentare. Nel Giardino Sonoro ci sono pietre di vari materiali, che emettono suoni diversi. Sciola aveva notato che a seconda del taglio, a seconda di come venivano scolpite, le pietre producevano determinate tonalità, se accarezzate con delicatezza. Addirittura se lavorate in un certo modo, potevano diventare elastiche e creare delle vibrazioni, proprio come delle corde di un’arpa, di uno strumento. È incredibile quello che ha fatto, e quel che si può tutt’ora ammirare in questo giardino, dove la varietà di monoliti corrisponde a una varietà musicale».
In che modo San Sperate e la Sardegna sono più povere senza il maestro Sciola?
«Pinuccio ha trasformato questo posto, gli ha regalato un’identità, una motivazione. Era come un collante tra noi artisti, ci teneva tutti insieme ed eravamo motivati a collaborare, c’era un clima di entusiasmo quando c’era lui. Amava i colori, amava le feste. Pinuccio Sciola manca a tutti, manca in tutto. Ma a dire il vero, tutti lo sanno, tutti lo sentono ancora, che Pinuccio c’è. C’è sempre in tutto quello che stiamo facendo a San Sperate, la sua “città sonora”. Lui voleva solo che continuassimo, me lo ha detto più volte. E noi non ci fermeremo, andremo avanti. Io devo andare avanti, non posso deluderlo». •
Associazione Culturale Secondo Maggio
A proposito del vostro testo su Pinuccio Sciola, la nostra Associazione (direzione artistica di Giuseppe Garbarino e Maurizio Franco) invita i lettori di Giannella Channel all’apertura della nuova stagione dell’Atelier musicale “Tempo e controtempo” sabato 1 ottobre, alle ore 17,30, presso l’Auditorium Giuseppe Di Vittorio della Camera del Lavoro di Milano, corso di Porta Vittoria 43. La stagione riparte proprio con un omaggio all’artista delle pietre sonore Pinuccio Sciola, e nel concerto d’apertura (“Le pietre sonanti”) a suonare ci sarà Maria, la figlia di quel gigante sardo che ha trasformato il suo paese natale (San Sperate, in provincia di Cagliari) in un vero e proprio paese-museo.
Per informazioni:
- mob: 348-3591215; tel: 02-5455428;
- email: secondomaggio@alice.it eury@iol.it;
- web: www.secondomaggio.it