La Ruhr, regione mineraria tedesca, era tra le zone più industrializzate e inquinate del mondo. Oggi è un’oasi di cultura che produce soldi e benessere. Un progetto finanziato anche con l’aiuto dell’Europa. Mentre nel Sulcis e a Bagnoli…
Essen (Germania)
Vent’anni fa, quando in Italia veniva smantellata l’Italsider di Bagnoli, la Germania diceva addio alle sue miniere della Ruhr, santuario dell’industria pesante tedesca. A distanza di tanto tempo il cronista tornato nei 53 comuni di questa terra, 5 milioni e mezzo di abitanti da Duisburg a Essen e Dortmund, trova miniere di arte e cultura, boschi e piste ciclabili e nuovi posti di lavoro. Quell’area che, con il suo carbone e acciaio, è stata alla base della rivoluzione industriale tedesca, che ha fatto marciare i treni di lusso della Bella époque e che ha reso prospera la borghesia della Mitteleuropa, oggi è un’area trasformata insieme ai suoi gioielli minerari, con in testa la miniera Zollverein, risalente al 1847, oggi patrimonio mondiale dell’Unesco a Essen.
E poi il Parco del Paesaggio a Duisburg e il Gasometro d’acciaio a Oberhausen, 149 metri d’altezza, un museo che (dopo la spesa di 8 milioni di euro, anche con fondi europei) oggi guadagna abbastanza per andare avanti con le proprie gambe. Puoi contare, nei 53 comuni, 1.000 monumenti industriali, sono stati aperti oltre 200 musei e 120 teatri, vengono organizzati 250 festival e si incontrano molte postazioni per il tempo libero come sale da concerti, piscine, persino campi da sci con 640 metri di pista coperta e torri per addestramento di scalatori. Non basta: sembra un paradosso, ma la zona in passato più industrializzata della Germania è diventata oggi una delle più verdi. Le frequentatissime piste ciclabili collegano impianti sportivi, i corsi d’acqua sono stati bonificati, sono nate ovunque attrezzatissime aree di svago per i bambini.
Insomma qui c’è stata una riconversione globale, un luogo dove le arti e la natura (grazie anche ai fondi europei, soldi spesi bene) sono oggi dominanti, tanto che non suscita sorpresa il fatto che la Ruhr sia stata eletta sei anni fa capitale della cultura europea.
È riuscita, dunque, un’operazione di eco-tecnologia per trasformare in area verde e di turismo culturale una delle regioni più industrializzate del mondo.
Operazione Riconversione
Vale la pena di ricostruirla, questa storia e questo modello Ruhr che sembra una favola ma è invece una solida realtà. Ci aiutano in questo percorso due dei protagonisti di questa Operazione Riconversione: un amministratore, Heinz Dieter Klink, 67 anni, governatore della Ruhr dal 2005 al 2011, e uno storico dell’arte, Roland Guenter, 76 anni, docente universitario, innamorato tanto del suo territorio quanto dell’Italia (ha la seconda casa ad Anghiari, in Toscana). Entrambi ricoprono posizioni di vertice del movimento culturale Werkbund Germania, entrambi hanno ottenuto il Premio Rotondi ai salvatori dell’arte a Sassocorvaro, nel Montefeltro marchigiano (www.arcaarte.it).
Nella prima metà del Novecento la Ruhr impiegava nelle miniere e nelle acciaierie oltre 400 mila lavoratori, da sempre aristocrazia e avanguardia del movimento operaio tedesco. Oggi quella classe operaia è lontana leggenda: sono solo quattromila e, non più sostituiti quando andranno in pensione. Chiuderanno definitivamente le miniere di carbone, molte delle quali già dismesse, perché produrre carbone qui costa quasi quattro volte più che per il carbone sudafricano, australiano e cinese, a causa del costo del lavoro, della sicurezza e anche della geologia più complessa.
La prima a chiudere, nel 1986, fu la miniera di Zolverein. Spiega Roland Gunter:
Il Land, cioè la Regione, ha acquistato nel 1989 l’area del bacino minerario con le strutture abbandonate. È sorta una Fondazione, fatta da rappresentanti istituzionali e anche di privati, che ha fatto da cabina di regia della Operazione Riconversione. Sono arrivati i fondi stanziati dalle amministrazioni locali, dalla Regione Nord Reno Westfalia e dallo Stato che si sono aggiunti a contributi delle imprese private. Sono nati nuovi centri di ricerca, ospedali e università, sono state costruite nuove strade. In dieci anni, per riconvertire la sola miniera, sono stati spesi 300 milioni di euro. “Tutti soldi nostri, tedeschi”, aggiunge Klink. “Ma più tardi, a mano a mano che fiorivano i progetti di riqualificazione culturale e ambientale, sono arrivati anche altri finanziamenti, come quelli del Dipartimento europeo per la cultura”.
Fra Europa e investitori privati sono stati raccolti per il progetto Ruhr quasi 600 milioni di euro. Una somma enorme, ma spesa efficacemente: oggi qui, in una terra bonificata dove perfino le colline di detriti sono diventate punti panoramici con attrazioni artistiche, ogni giorno arrivano turisti da tutto il mondo, e sono stati creati oltre 20 mila nuovi posti di lavoro, molti dei quali assegnati a figli e nipoti dei minatori e degli operai.
Nel 2010 sono state contate nella Ruhr 17 milioni di presenze. Nella vecchia miniera è nato un museo dove ora ci sono esposizioni permanenti, mostre, spettacoli teatrali, balletti e concerti. C’è un’offerta culturale degna delle grandi città d’arte. Zollverein e dintorni sono diventati così fonte di cultura e di guadagni, con visitatori che arrivano da tutto il mondo in misura di poco inferiore (2 milioni e 200 mila l’anno) a quelli di un simbolo della storia dell’umanità, la nostra Pompei.
commenta soddisfatto Klink. Lui, da politico (militava nell’SPD, il Partito socialdemocratico, uno dei due maggiori partiti politici tedeschi), spiega: “Su questa strada, pur essendoci piccole differenze tra le visioni di maggioranza e opposizione, c’è sempre stato accordo su quello che doveva essere il futuro della regione”.
Nel viaggio di ritorno a casa, al cronista stupito dal sogno collettivo della Ruhr concretizzatosi a differenza di Bagnoli o del Sulcis, capitano sotto gli occhi, mai così attuali, le parole dell’ex capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano: “Bisogna ripensare profondamente le politiche di sviluppo seguite nel passato in Italia in modo da arrivare a soluzioni sostenibili dalla finanza pubblica e dalla competitività internazionale, in un mondo radicalmente cambiato rispetto a decenni or sono”. È questo che fa anche la differenza tra la Germania e l’Italia d’oggi, incapace di accedere a tutti i 45 miliardi di fondi europei che scadono a dicembre 2013 (dei 45 miliardi del settennato 2004-2013 sono stati usati, al 31/12/2013, il 52,7%, pari a 23,7 miliardi. Fonte: Agenzia per la Coesione Territoriale, Ndr): è questo lo “spread” educativo che ci deve far paura. È anche questo che fa la differenza tra Germania e Italia.
A PROPOSITO
Oberhausen, nella Ruhr, è gemellata con le città sarde di Carbonia e Iglesias, con quel Sulcis che soffre nella regione più povera d’Italia: la Sardegna. Ma il gemellaggio con i tedeschi non ha insegnato niente a noi italiani.
- 1985: il governo investe, direttamente o indirettamente, 712 miliardi di lire (circa 900 milioni di euro del 2012!) affidando la riapertura delle miniere del Sulcis all’Eni.
- 1993: senza risultati, l’Eni abbandona l’impresa.
Lo Stato prima (con 420 miliardi dell’epoca) e la regione Sardegna poi, intervengono, costringendo l’Enel a comprare elettricità da Carbosulcis a un prezzo pari al 22% di quello del mercato, costo riversato in bolletta. Le perdite delle miniere continuano inesorabili: solo nell’ultimo anno 30 milioni, quasi un’inezia rispetto ai 600 milioni che la Regione ha investito dal 1996 (anno in cui è diventata proprietaria dell’impianto) a oggi: e che, attualizzati al 2012, sfiorano gli 800 milioni.
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