Quand’ero ragazzo mi colpivano le visite che esperti facevano nelle mie terre in Puglia, in particolare nell’azienda Santa Chiara alle porte di Trinitapoli, per strappare a quei sapienti agricoltori che fanno fiorire il Tavoliere i segreti dell’aridocoltura. E, anni dopo, mi colpì, durante una visita in Israele per motivi professionali, vedere le tecniche di monitoraggio usate per valorizzare la risorsa acqua. Per questo vi invito alla lettura, in tempi di emergenza idrica a Roma e oltre, di questo utile rapporto da Israele. (s.g.)
All’inizio di luglio, in occasione della visita del presidente indiano Narendra Modi in Israele, il quotidiano Haaretz ha ripubblicato un articolo dal titolo: “Il segreto del miracolo dell’acqua di Israele e come questo può aiutare un mondo ‘assetato’”. L’articolo, uscito a gennaio, veniva riproposto anche alla luce del fatto che tra gli accordi di cooperazione siglati da Modi e Netanyahu, oltre a quelli su innovazione, tecnologia, lotta al terrorismo, ce n’era uno specifico sul settore dell’acqua.
Il motivo è semplice. In questi 70 anni Israele è diventato un esempio virtuoso trasformandosi da territorio deserto e arido in quello che il Deuteronomio descrive come “un paese di frumento e orzo e viti e fichi e melograni, un paese di olivi da olio e di miele”. Il segreto di questo miracolo, per dirla con le parole di Haaretz, è proprio nella gestione delle risorse idriche. Che sempre di più sta diventando modello da esportare in altre zone del pianeta.
Il punto, come ci spiega Jonathan Pacifici, venture capitalist nato a Roma e presto emigrato in Israele dove si occupa di startup, è anzitutto culturale:
Per questo il primo, decisivo, momento che Pacifici identifica come inizio del “miracolo” è la costruzione dell’Acquedotto nazionale. Un’opera monumentale (costò il 5% del pil nazionale) inaugurata nel 1964 che servì per portare l’acqua, dal lago di Tiberiade, in tutto il paese. L’Acquedotto, oltre a servire da fonte di ispirazione per lo sviluppo di altre infrastrutture, è la sintesi di un concetto molto semplice: quello del controllo delle risorse idriche e dei flussi dell’acqua.
L’irrigazione a goccia
La questione è, ancora una volta, culturale. Se una risorsa è preziosa, bisogna sapere come viene utilizzata. Cosa va e dove. Nasce da qui la seconda grande innovazione made in Israel: l’irrigazione a goccia. “L’acqua”, spiega Pacifici, “viene portata direttamente alle radici della pianta nella quantità necessaria affinché questa cresca e si sviluppi”. Nessuna irrigazione a pioggia quindi con un risparmio d’acqua che, secondo i dati forniti da Netafim (la società che ha brevettato questa tecnologia), può andare dal 25% al 75% e un incremento delle produzioni del 15%. In realtà c’è chi resta scettico rispetto a questi dati, ma di certo c’è che grazie all’irrigazione a goccia Israele ha trasformato zone aride in zone verdi.
Sistema idrico e monitoraggio delle perdite
L’ultimo elemento, anch’esso decisivo, è quello del monitoraggio. Attraverso la tecnologia Israele è in grado di controllare sia le perdite della rete sia le carenze del sistema. Con tassi di dispersione che si aggirano tra il 9 e il 10%. Impossibile non pensare a cosa succede a Roma dove, secondo i dati Ispra, gli sprechi raggiungono il 42,9%. “Si tratta di perdite che in Israele non verrebbero minimamente tollerate”, sottolinea Pacifici.
Accanto a tutto questo c’è ovviamente l’aspetto economico-occupazionale. Tante le società che sono nate nel settore. Come la SmarTap, una startup che si occupa del monitoraggio e del recupero dell’acqua utilizzata dalle docce. O come la Utilis, azienda che ha messo a punto una sofisticata tecnologia di controllo satellitare e che in questo ambito ha avviato una collaborazione con Hera, multiutility che opera in oltre 250 comuni tra Emilia Romagna, Veneto, Friuli e Marche. Solo nel 2015 questa attività di ricerca delle perdite nella rete ha consentito al gruppo italiano di recuperare oltre 1.500 milioni di litri di acqua. Vuoi vedere che il “miracolo” israeliano funziona anche in Italia?
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