CASTELMASSA (Rovigo)

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Nino Vincenzi (Castelnuovo Bariano, Rovigo, 1947).

Torno nel mio paese sulle rive del Po e il mio pensiero va al compagno di banco che, da allievo, aveva scalato i gradini gerarchici fino a dirigere l’Istituto d’arte che frequentavamo: Nino Vincenzi, classe 1947, originario di Castelnuovo Bariano, del quale nel corso degli anni mi arrivavano periodicamente notizie di creazioni e di mostre come quella nella galleria Dosso Dossi, a Ferrara, che ci ha fatto ritrovare.

Come promesso, Nino mi apre la porta del suo studio, nel sottotetto di una vecchia casa di campagna protetta dall’Argine Vegri e circondata dalla passione per i giardini della moglie Clelia. Sulla porta colpisce la scritta: “Qui vive e prospera un pensiero differente”. La vista dei suoi dipinti e delle sue sculture (pietre, creature in volo, l’immensità dei deserti, il rumore del mare, lune calanti o crescenti moltiplicate nel cielo, antichi templi in rovina, scale interrotte, corpi che sono abiti, abiti che sono nature vive, scrigni, grembi, incantevoli donne-enigma), come un nastro del tempo, mi ricollega al nostro presente.

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Alterità: il tronco è stato svuotato con maestria arrivando a generare il semplice contorno di un corpo femminile.

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Nino Vincenzi, Donna tagliere

Nell’odore dell’aria si stemperano i colori, sulle tavole di legno e sulle tele prendono forma cielo, mare e santi ieratici: San Francesco, San Sebastiano, San Rocco (il cui profilo dai capelli e dalla barba candida sembra trovare forma nel profilo dell’artista): un tema caro, quello del sacro, alla fortunata ricerca di Nino, partita nel segno del padre, Bruno, il quale gestiva una bottega di scultore ligneo e credeva molto nella cultura come arma di riscatto sociale.

L’amore per la pittura e per la scultura (“la prima è fatta di materia da aggiungere, la seconda è materia da togliere”) è maturato prima nell’istituto di Castelmassa e poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove la direzione del viaggio artistico del giovane Nino che aspirava a diventare attore fu favorita dal maestro Gustavo Giulietti con un categorico imperativo: “Basta modelle, vi metto a disposizione uno scantinato per far crescere la vostra ricerca”.

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Nino Vincenzi, Isola

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Nino Vincenzi, L’attesa

Nello studio oggi i pennelli, sospesi in ordine degradante, si agganciano a piccoli chiodi, disegnano nelle due cornici quadrate poste ad angolo la forma di uno strumento musicale. Corde in attesa di parole inquiete: “C’è stato un periodo in cui amavo disegnare parole, e queste dovevano collocarsi in particolari atmosfere”. Sono parole capaci di metamorfosi, fino al silenzio. La stessa disciplina si ritrova nell’ordine delle ‘sgorbie’ segnate dai mille movimenti sul legno, difficili da governare se manca l’intesa tra mano e strumento. A volte la parola “si spezza” e tradisce la forma.

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Nino Vincenzi, San Francesco con occhi

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Nino Vincenzi, San Rocco

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Nino Vincenzi, San Sebastiano

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Nino Vincenzi, Terracotta

Colpiscono le sculture dedicate all’altro tema chiave della sua ricerca, la sessualità. “Il demone Eros accende la mano e non dà tregua. Siamo nel viluppo del sacro, in un dialogo e perfino in una immersione continua con l’immanenza di Dio”, ha scritto il critico Marco Munaro. Accanto a una donna tagliere e a una scultura lignea il cui tronco è stato svuotato con maestria arrivando a generare il semplice contorno di un corpo femminile, Nino ricostruisce le tappe della avventura professionale partita con la rivista “Erba d’Arno”, di Fucecchio (Firenze), con cui avviò una lunga collaborazione sui temi della scultura pittura e grafica, fino alle altre riviste: “La corte di Mantova” e “Lo sperone” di Rovigo. Le sue mostre in Italia (piace ricordare, oltre quella ferrarese, quelle di Felonica di Mantova, Bondeno e Carrara, anche la chiamata a Mosca nel 1990 con altri artisti toscani ed emiliani). Diede vita al circolo degli artisti di Castelmassa che fino al 2010 discusse di arte e organizzò esposizioni come la Mostra e convegno sul sacro, e le mostre legate al concorso letterario “Città di Castelmassa”.

Le parole che cucivano sogni sui banchi di scuola, nel tempo sono diventate materia, forme e opere. Lunga vita all’arte, Nino.

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Nino Vincenzi, Trittico

Contatto:

NINO VINCENZI

Via Argine Vegri 18
45035 Castelmassa (Rovigo)
tel: 349.4391032
mail: clelia@boraso.net

* Manuela Cuoghi ha insegnato per 35 anni educazione artistica nelle scuole italiane. Alla passione per l’arte associa quella dei viaggi.

A PROPOSITO

L’artista come educatore:

attiviamo meccanismi virtuosi

capaci di produrre felicità

La doppia figura di Nino Vincenzi come artista e come educatore (è stato docente e anche direttore dell’Istituto d’arte di Castelmassa) ci collega a questa interessante lettera-manifesto scritta a luglio 2016 da ALA (Accademia Libera delle Arti) e indirizzata agli artisti che hanno a cuore l’educazione.

testo di Maria Rosa Sossai* / Artribune

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Richard Demarco e Joseph Beuys alla Free International University nel 1980.

Cari artisti,

è giunto il momento di riscoprire il piacere di incontrarsi e di mettere in moto meccanismi virtuosi di riconoscimento delle potenzialità creative, in grado di produrre felicità. È importante riconoscere il valore del contesto e sentire la propria responsabilità di fronte all’attuale crisi dello stato sociale e culturale. Ecco perché, in un momento in cui sembra non esserci una rete di salvataggio, gli artisti svolgono il ruolo di cittadini dando ai loro progetti un’aura di necessità e autenticità. Rifiutiamo la strumentalizzazione del lavoro artistico in funzione di logiche estranee alla creazione e finalizzate esclusivamente al profitto. Appoggiamo la realizzazione di prototipi educativi alternativi che possano essere condivisi e sperimentati da più soggetti. Chiediamo alle istituzioni private e pubbliche (fondazioni, dipartimenti di didattica dei musei, associazioni, centri sociali, ecc.) di promuovere modelli democratici di diffusione e divulgazione dell’arte contemporanea.

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Heinrich Böll (Colonia, 1917 – Langenbroich, 1985), scrittore tedesco premiato con il Nobel per la letteratura nel 1972.

L’obiettivo è produrre immaginari sociali alternativi, attivando un cambio di prospettiva che permetta all’artista, insieme alla comunità, di guardare al di là e al di fuori dell’ordine prestabilito. Per riappropriarsi della produzione culturale, rivediamo i meccanismi che sottendono l’ideazione, la divulgazione, la realizzazione dell’opera d’arte.

Fare arte significa attivare senso civico e senso di responsabilità critica con progetti che stimolano una consapevolezza reale nella collettività. Prendiamo posizione contro una politica che relega la cultura a un ruolo marginale e sussidiario su cui non vale la pena investire energie e incapace di produrre occupazione e contro un modello di lezione frontale dichiarata obsoleta da studi pedagogici recenti e inadeguata ad affrontare la complessità della comunicazione multimediale della Rete. La progressiva riduzione degli spazi di libera sperimentazione condizionano l’arte nei modi più diversi e la dirigono verso forme espressive appetibili, capaci di intercettare il gusto estetico di un’utenza per la quale l’opera è sovente uno status symbol da esibire, alla stregua di altra merce di lusso presente sul mercato.

Alcune esperienze storiche e recenti hanno dimostrato che le azioni educative ed espressive sono parte integrante dello stesso processo creativo; ricordiamo tra le altre il Free International College creato da Joseph Beuys a cui fece seguito la Free International University for Creativity and Interdisciplinary Research insieme allo scrittore Heinrich Böll); la didattica del desiderio sviluppata da Gina Pane durante gli anni di insegnamento; The Theater of the Oppressed di Augusto Boal, Curating and the Educational Turn, Night School, Sixteen Beaver Group, MoMA Trade School.

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The Theater of the Oppressed fu creato dal grande Augusto Boal, brasiliano, scomparso nel 2009 a 78 anni.

Anche se non è realisticamente ragionevole sottrarsi ai meccanismi del sistema dell’arte, rivendichiamo per l’artista momenti e occasioni di sperimentazione e ricerca il più possibile autonome. Il contesto appropriato per esercitare tale diritto è l’ambito educativo, inteso nella sua accezione esistenziale, che permette una rinascita del sapere su basi più eque e creative.

nino-vincenzi* Fonte: condensato da un articolo pubblicato su Artribune Magazine n.7/2016. Maria Rosa Sossai è critica d’arte e curatrice. Insegna Storia dell’arte in un liceo romano. Nel 2009 ha fondato l’associazione esterno22, che promuove l’educazione attraverso l’arte contemporanea, confluita nel 2012 in ALAgroup (Accademia libera dell’arte, www.alagroup.org). Dal 2005 al 2008 ha curato progetti site specifici per il museo d’arte contemporanea MAN di Nuoro. Tiene regolarmente conferenze e seminari in istituzioni pubbliche e private. Ha pubblicato i libri Artevideo, storie e culture del video d’artista in Italia, (2002) e Film d’artista, percorsi e confronti tra arte e cinema (2008, Silvana Editoriale).