"Al di là dell'ombra", il tenero canzoniere d'amore di Adriano Sansa per la moglie Carla, da due anni altrove.
ARTI & CULTURE, IL TEMPO DELLA STORIA
Testo di Grazia Stella Elia* -
A Seguire: Intervista di Salvatore Giannella - Ritratti digitali di Giacomo Giannella/Streamcolors
“Perché iniziai a scrivere?
Per salvare qualcosa del tempo che non tornerà più”
(Annie Ernaux, scrittrice autobiografica, Premio Nobel per la letteratura 2022)
Al primo sguardo rivolto alle pagine di questa silloge dell’ex magistrato ed ex sindsco di Genova Adriano Sansa (da quasi mezzo secolo dedito alla poesia, benignamente contagiato dall’amicizia con Biagio Marin e Angelo Barile) non si penserebbe di cogliere, in ogni testo, perle di poesia. Una poesia di anima ad anima, in una lingua di amore e di dolore.
ADRIANO SANSA (Pola,1949; è stato magistrato, sindaco di Genova, pubblicista, tra i principali collaboratori di Airone e di Famiglia Cristiana. Una prima antologia, Affetti e indignazione, uscì da Scheiwiller (Milano, 1995). Sono seguiti Il dono dell’inquietudine e La speranza del testimone (Il Nuovo Melangolo, 2003 e 2010) e >L’esule felice (Il Canneto, 2020). Tutti i suoi libri sono su Unilibro.it. È stato condirettore di «Resine. Quaderni liguri di cultura». Ha frequentato e ha avuto incarichi in Amnesty International, Terre des hommes, Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, Associazione Gigi Ghirotti
Il peso della perdita della intelligente, ironica e generosa compagna di una vita, Carla Perrone (con lui nella foto di copertina), avvenuta nell’aprile del 2020, appare alleggerito dallo scrivere a un “tu” lontano, che non cessa di esistere attraverso una forza che, come acqua sorgiva, zampilla dal suo “dentro”.
Il tu del dialogo è come fosse un’entità ancora viva a cui rammemorare il bello, l’alto, il sublime che furono. Il pensiero va a Dante quando dice: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice…”
E’ sempre questione di sensibilità. A chi legge (come me) questa silloge, il cuore si stringe per empatia e si apre alla bellezza di tanti versi rugiadosi di poesia. Così si passa, pensosi, da un componimento all’altro, alla scoperta di quanto ancora vivido di luce d’amore sia il dialogo tra un uomo rimasto solo e l’ombra di una donna che a me sembra somigliare alla dantesca Beatrice.
Sulle basi di una solida cultura i versi scorrono e lasciano segni ed emozioni. E’ la poesia che nasce dal cuore, arrivata dal fiume dell’amore. Un fluido di parole native, profumate di memorie che non vogliono morire.
Ritorna tutto il bello del vissuto insieme nel vento dolce – amaro del ricordo, che poeticamente si ravviva. E’ lei , la sua metà del cielo, che arriva e va, ritorna e tocca lui nel profondo…
Quanto potere è nei ricordi! Sono capaci di “ridisegnare impronte”, di riportare immagini come scene filmate, di far rivivere incanti che sembravano perduti per sempre.
Si leggono versi icastici come questi:
Mi piace quella foto dove chini/
leggermente la testa e mi sorridi/
appoggiata sull’erba chi sa dove/
avvolta nella gonna profumata/
e circondata d’aria, i tuoi compagni/
contenti di servirti da corona/
ignara tu com’eri di te stessa./
Siete fermi così, salvi nel tempo/
ma separati da un vetro feroce/
in cieli inaccessibili per sempre.
O come questi altri:
“[…] come fa lo scultore nella creta / ora ti cerco qui accanto …”
“[…] Profumavi / insieme con l’aroma delle erbe.”
“caro fantasma / che resiste alla luce del giorno”.
“il prodigio / che mi donavi della tua scintilla”.
“Io non potrò riaverti: non è questo
che di notte mi chiama nei risvegli
quando il silenzio domina …”
E vi è tanto altro: ambienti densi di malinconia e paesaggi di mare e di terra vibranti di voci e di canti, immagini notturne e solari, solitudini che si riempiono di fotografie evocanti, stati d’animo teneri e strazianti.
Il giorno del matrimonio ritorna vivo in questi versi che traboccano di tenerezza:
Quando apparisti al fondo della chiesa
trapassata dal raggio che ti colse
come la freccia dell’Amore o forse
la corda della vita che ci univa
esitavi al principio tra gli sguardi
affettuosi e indiscreti finché a un tratto
ti fidasti di me laggiù in attesa
e cercasti il mio sguardo che a sua volta
cessò di trepidare e ti raccolse
mite sposa orgogliosa del suo bianco.”
Un lungo, tenero, appassionato canzoniere d’amore per una donna amata in vita e adorata post mortem nella luce dorata e sofferta della poesia.
Un canzoniere d’amore a tutto tondo, da leggere e su cui meditare, vedendo nell’autore l’uomo che ha considerato la moglie una donna concreta e ideale, da rispettare e sublimare sempre.
Ho letto con partecipata commozione tutti i componimenti di questa raccolta e ne consiglio la lettura a chiunque creda nell’amore e nella POESIA.
E chiudo le mie brevi note con questi versi dell’autore:
E di notte precipita, mi tocca
da vicino il tuo volto, il tuo sorriso
bianco contro la tenebra, mi guardi
e ti ricambio ti scavo sprofondo
sulle pupille accese, ti carezzo
sul freddo della foto, non importa
e non basta a dividerci. Domani
sarai di nuovo nel diverso regno
dove invano ritento di afferrarti.
Forse è più bello concludere con una quartina che dice quanto la Signora Carla sia presente nel cuore del marito poeta:
Come sei leggera stasera, nell’aria
che si muove con te sfiorando i vetri
della casa che resta solo tua
quasi ancora di più nella tua assenza.
IL BELLO DELLA MEMORIA/Quando intervistai Sansa per Sette/Corriere della Sera
Il mio spirito guida? Pertini, che invitava
a svuotare gli arsenali e riempire i granai
Sandro Pertini (Stella, Savona 1896 – Roma 1990) ricoprì per due legislature, dal 1968 al 1976, la carica di presidente della Camera. E’ stato poi il settimo presidente della Repubblica, in carica dal 1978 al 1985, unico esponente del Partito socialista a ricoprire la carica di capo dello Stato. E’ nella memoria di tutti l’appello lanciato per la pace e il disarmo: “Svuotate gli arsenali e riempite i granai” (e i potenti del mondo invece hanno riempito gli arsenali e svuotato i granai, offrendo la peggiore delle risposte possibili alla crisi economica e sociale che stiamo vivendo).
Da cinquant’anni Adriano Sansa scrive, lasciando tracce poetiche di sé e della sua vita: era il 1967 quando cominciò a comporre poesie di amore, dolore e giustizia nella Genova dove s’era trasferito profugo dall’Istria passata nel ’47 alla Jugoslavia, e dove stava emergendo come magistrato rigoroso contro corruzioni e inquinamenti. Ci sono stati altri motivi alla base della notorietà di Sansa presso gli italiani: è stato sindaco di Genova nella stagione di Mani pulite; è stato tra i principali collaboratori di periodici come Airone e Famiglia Cristiana; ha lavorato come paladino dei bambini in qualità di presidente del Tribunale dei minori. Io lo intervistai nell’aprile del 2017 nella serie dedicata a “Il mio eroe” per Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera, allora diretto da Pier Luigi Vercesi. Questi i brani centrali.
Dottor Sansa, nel rapporto Transparency 2016 sulla corruzione percepita nel settore pubblico l’Italia migliora di poco, ma resta al 60mo posto su 180 paesi. In Europa siamo in zona retrocessione. (Aggiornamento: nel 2021 L’Italia ha guadagnato posizioni, assestandosi al 42esimo posto nella graduatoria mondiale, al 17esimo posto sui 27 Paesi UE. I risultati migliori sono raggiunti da Danimarca, e Finlandia: 88 punti, Ndr). Che impressione ne ricava, lei che (con Mario Almerighi e Carlo Brusco) fu “pretore d’assalto”?
“La corruzione resta un male della società, da sradicare senza perdere altro tempo, anche per il danno immenso che causa all’economia sana alterando la concorrenza e il mercato e danneggiando i giovani che hanno competenze, con costi alla collettività di decine di miliardi. Contro di essa serve una rivolta morale, rivolta che associo alla figura del presidente Sandro Pertini. Lui ebbe parole coraggiose quando noi tre lo visitammo alla Camera per portargli i documenti dello scandalo petroli. Parole che venivano da un uomo che alla giustizia e alla libertà aveva pagato un prezzo altissimo: lui trentenne, avvocato ligure, aveva deciso di combattere i soprusi della dittatura fascista, anche a costo di trascorrere 16 anni tra esilio, carcere e confino”.
Mi racconti quella pagina poco conosciuta della vostra inchiesta.
“Genova, 1973: scopriamo che i petrolieri pagavano parlamentari e ministri per avere leggi a loro favorevoli. Lo provavano assegni da noi trovati. All’epoca c’era la commissione parlamentare inquirente e per questo contattammo l’allora presidente della Camera Pertini. Lui si raccomandò: ‘Venite, ma entrate da una porta laterale, non dovete essere visti’. A Roma siamo entrati da un ingresso secondario di Montecitorio. Pertini ci accolse così: ‘Non parlate e seguitemi. Ci sono dei cornuti che ci ascoltano’. Ci ha portato in uno sgabuzzino-lavanderia: ‘Qui possiamo parlare anche a voce alta. Dovete sapere che questo palazzo è pieno di microspie. La democrazia sta attraversando un periodo delicatissimo’. Tempo dopo è risultato che le sue intuizioni erano fondate. Gli abbiamo parlato dei petrolieri che si compravano le leggi finanziando partiti e giornali. ‘Presidente, qui c’è l’elenco dei beneficiari: comincia con la A, purtroppo il primo finanziato è l’Avanti…’. Lui, addolorato: ‘Nooo, anche i miei compagni!’. Ha dato un’occhiata alle carte e ci spronò a non fermarci: ‘Dovete andare avanti. Continuate a fare il vostro dovere. Coraggio. Io sarò al vostro fianco, così come nel corso della mia vita sono sempre stato a fianco dei valori della democrazia e della legalità ’. Era l’incoraggiamento limpido, rinnovato il giorno dopo in un telegramma che conservo, a tre giovani magistrati da parte di un uomo che aveva sacrificato la gioventù”.
Come sono finiti quei processi?
“La commissione parlamentare, nonostante le prove evidenti da noi raccolte, archiviò tutto. Alla faccia della verità e della giustizia evocata da Pertini”.
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