Caro Giannella,

Le mando questo urgente appello che stiamo velleitariamente (ma in molti e non senza speranza) mettendo in Rete. La prego, se è d’accordo, di fare lo stesso con la Sua importante rete di contatti e con il blog Giannella Channel. Un abbraccio

Adriano Sansa, Genova

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Adriano Sansa, magistrato da poco in pensione, è stato presidente del Tribunale dei Minori, sindaco di Genova nella stagione di Mani pulite e giovane pretore d’assalto negli anni Settanta.

Mi chiedo stasera se, davanti alla carneficina della Siria, con gli ospedali deliberatamente bombardati-peggio che nel furore della guerra mondiale, non si possa tentare di mobilitare via e-mail e i social i cittadini europei, per esempio con dieci minuti di silenzio in un giorno determinato e rapidamente scelto in Rete: venerdì prossimo dalle 11 in avanti. Potremmo cominciare noi, chiedendo a tutti di raggiungere in una catena ogni amico, conoscente e corrispondente. So che pare un’utopia, ma non si può assistere inerti alla strage. Se lo facessimo già stasera, poi i giornali e le tv ne parlerebbero e potremmo raggiungere migliaia se non milioni di persone. Rompere il silenzio. È un sogno? Proviamo. Venerdì dalle 11 alle 11,10, dovunque, nei luoghi di lavoro, nelle case, nelle scuole, in Europa, ci fermeremo per fermare la strage in Siria. Altrimenti siamo perduti anche noi.


A PROPOSITO/ QUANDO MI ARRIVÒ L’APPELLO DI PAOLO MATTHIAE

Siria: insieme a tante vite innocenti è in grave pericolo un immenso patrimonio culturale

Due anni fa, mentre stava per andare in stampa il mio libro “Operazione Salvataggio” (Chiarelettere editore), dedicato agli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre, mi arrivò l’appello di Paolo Matthiae, scopritore della città di Ebla e decano degli archeologi attivi in Siria, terra devastata dalla guerra civile ancora in corso dove, insieme alla vita dei suoi abitanti, corrono gravi rischi anche inestimabili tesori culturali dell’umanità. Matthiae, insignito del premio Rotondi 2011 ai salvatori dell’arte, sottolineava come per noi contemporanei, eredi di questa civiltà, sia un dovere intervenire. Nel 1998 lui ha fondato, con un gruppo di colleghi delle maggiori università di tutto il mondo, il Congresso internazionale di archeologia del Vicino Oriente (Icaane), di cui è presidente. Questo un condensato dell’appello che pubblicai nel mio libro e che conserva la sua tragica attualità. (s.gian.)

La Siria è dilaniata da un conflitto spietato derivante da contrapposizioni inconciliabili che hanno provocato parecchie decine di migliaia di vittime e molte centinaia di migliaia di profughi. Vite spezzate, speranze distrutte, destini annientati. In questa tragedia umanitaria, la priorità è riservata ai tentativi di alleviare le sofferenze ormai di milioni di donne e di uomini, ma solo un’attenzione distratta ed episodica è rivolta alle distruzioni, ai danneggiamenti e ai pericoli cui sono esposte le opere di un patrimonio culturale tra i più ricchi al mondo.

Eppure in questa terra vittima di una guerra civile terribile, in cui bande armate delle più diverse provenienze si affrontano inspiegabilmente e in cui la popolazione civile cerca disperatamente di sopravvivere, alcuni funzionari dell’amministrazione e alcuni studiosi appassionati delle antichità si battono senza armi sul territorio spesso a costo della vita per difendere le opere e i monumenti del loro paese, perché la gente, il paesaggio e il patrimonio sono una catena inscindibile e l’identità culturale è parte della vita stessa. Tra queste figure, solo per citarne alcune in luogo di molte i cui nomi sono ancora ignoti, un ruolo importante per la difesa del territorio hanno svolto Maamoun Abdulkarim, direttore generale delle Antichità e dei Musei di Damasco, per i suoi appelli continui al rispetto del patrimonio e per l’impegno profuso in ogni parte del territorio; Ahmed Deeb, direttore del Servizio dei musei di Damasco, per l’opera instancabile per la difesa del patrimonio museografico; Fajar al-Abdo, direttore del Museo di Idlib, per il continuo impegno a tutela della regione di Ebla. La Siria è la terra dove una decina di millenni fa, sulle rive dell’Eufrate, si verificarono alcuni tra i più antichi esperimenti di vita sedentaria con i primi villaggi della storia umana e l’addomesticamento delle specie vegetali e animali. È l’area in cui 4500 anni fa emersero le città della seconda urbanizzazione della storia, come Ebla, che permisero l’affermazione del modello urbano quale struttura socioeconomica fondamentale della civiltà. È la regione in cui tredici secoli prima di Cristo per la prima volta una scrittura puramente alfabetica venne impiegata dai burocrati e dai poeti di una città sulle rive del Mediterraneo, Ugarit, per amministrare un piccolo regno e tramandare su tavolette d’argilla poemi e miti affascinanti.

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Il prof. Paolo Matthiae, l’archeologo orientalista scopritore di Ebla, premiato da Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva.
(foto Valerio Ricciardi, Roma)

Già nell’antichità, per essere al centro tra Anatolia, Mesopotamia ed Egitto, la Siria fu il luogo di scontri ripetuti tra gli imperi di Mitanni, degli Hittiti e degli Egizi. Proprio non lontano da una città martire degli scontri di questi mesi, Homs, l’antica Emesa dove nacque Giulia Domna che, moglie dell’africano Settimio Severo, diede origine alla dinastia siriana degli imperatori di Roma agli inizi del III secolo, avvenne a Qadesh, nel XIII secolo a.C., la più antica battaglia, tra Muwatalli di Hatti e Ramses II d’Egitto, di cui si possa ricostruire lo svolgimento per esser stata oggetto di una famosa composizione poetica egiziana. Provincia tra le più ricche dell’Impero romano con centri urbani, come Apamea e Antiochia, che, con Roma e Alessandria, erano tra i più monumentali e popolosi di tutto il Mediterraneo, dopo le devastazioni sasanidi cui il bizantino Eraclio non riuscì a porre rimedio, la Siria, travolti in un’epica battaglia gli eserciti imperiali da Khalid ibn al-Walid, la «spada dell’Islam», divenne presto la sede di quella gloriosa dinastia degli Omayyadi che, in poco più di un secolo, arrivò a dominare dalla Spagna all’Asia centrale. Anche dopo che nel 750 la capitale del califfato si spostò, con l’avvento degli Abbasidi, in Iraq, la Siria conobbe di nuovo, dalla metà del X secolo, periodi di splendore sotto gli Hamdanidi di Aleppo, i Fatimidi d’Egitto, gli Zengidi di Mossul, che con Nur-ad-Din, il Norandino delle cronache occidentali, e la presa di Damasco nel 1154 riunificarono tutta la Siria, gli Ayyubidi, il cui fondatore, Saladino, trionfò sui Crociati nella battaglia di Hattin del 1187 e riconquistò Gerusalemme, e i Mamelucchi d’Egitto: il fondatore di questo nuovo regime di comandanti militari turchi, il sultano Baibars, sepolto a Damasco, nel 1260 nel memorabile scontro di Ayn Jalut fermò i Mongoli di Hulagu, che avevano devastato Baghdad e Aleppo, e, conquistando Antiochia e l’imprendibile Krak dei Cavalieri, tra il 1268 e il 1271 abbatté le ultime resistenze cristiane dei Crociati. Un immenso patrimonio dell’umanità ha già subito danni irreparabili, come la distruzione del minareto medievale della moschea omayyade di Aleppo, i saccheggi degli scavi clandestini a Dura Europos, la città di frontiera tra mondo romano e partico, le ferite alle strutture mirabili dello stesso Krak dei Cavalieri, della Cittadella e del suq di Aleppo, del castello di Sheizar, e bande di scavatori clandestini organizzate si sono accanite su Apamea e su Palmira, mentre perfino Mari ed Ebla corrono rischi. I funzionari della direzione delle Antichità e gli abitanti delle città e dei villaggi, spesso a rischio della vita, cercano disperatamente quanto eroicamente di arginare i danni, invocando il rispetto dei monumenti da parte di tutti i contendenti e tentando di mantenere un controllo difficilissimo dei siti storici. L’Unesco si è attivata con sessioni di lavoro tenute ad Amman e a Bahrein per bloccare i traffici di antichità dalla Siria, con alcuni clamorosi successi, come la restituzione a Damasco di opere bloccate dalla polizia di frontiera del Libano. Ma è tempo ormai che la vittima dimenticata di questa tragedia che è il patrimonio culturale della Siria, sull’orlo di un baratro senza ritorno, divenga oggetto di un’attenzione continua e sistematica. La campagna lanciata nel febbraio del 2014 a Roma per iniziativa di Francesco Rutelli, con adesioni di illustri studiosi di tutta Europa, vuole promuovere una mobilitazione internazionale di contrasto dei traffici illeciti delle antichità, di sostegno al personale di sorveglianza dei siti, di coordinamento a ogni azione di controllo, di progettazione dei restauri e dei ripristini dei siti e dei beni danneggiati. In questo quadro, con un’iniziativa a livello europeo, è stata progettata la mostra dal titolo «Siria: splendore e dramma».

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