Smantellati i grandi Servizi nazionali, svuotata dai particolarismi comunali e regionali l’ottima legge n. 183 dell’89, nessun piano organico, ci vuole un Salva Italia. I tecnici dei Lincei: “Manca un disegno unitario”.
La tragedia di Genova, la terza in cinque anni, ha fatto emergere crudamente tre dati di fondo:
- dopo anni (gestione Bertolaso) di abbondanza e di espansionismo fino a coprire i centenari dei Santi, oggi la Protezione Civile non ha soldi nemmeno per le urgenze più drammatiche;
- il governo in carica cercherà di trovare 2 miliardi di euro per la difesa del suolo recuperandoli (sarà possibile?) dai fondi impantanati nei meandri burocratici;
- manca un quadro legislativo – e quindi operativo – che connetta strettamente l’azione nazionale e quella regionale e locale oggi disarticolata e inefficiente.
Perché tutto ciò? Per il mai risolto rapporto Stato-Regioni fra il decentramento più spinto e il ritorno ad una catena di comando che ridia un senso “nazionale” ai problemi.
Nel Paese dalle mille frane, aggravate dagli incendi (vedi Liguria) che “cuociono” e indeboliscono decine di migliaia di ettari collinari, dal carattere sismico generale (esclusa la Sardegna), da una speculazione edilizia dissennata dentro e fuori le città (ora in declino, Genova è scesa da oltre 800mila a 600mila residenti), da abusi senza sosta che occupano gli stessi alvei di fiumare, torrenti e fiumi, cementificati, tombati, snaturati. Che poi “si vendicano”.
Dopo l’ennesima alluvione, si possono indennizzare gli abusivi che l’hanno potenziata costruendo di tutto nelle golene, per esempio del Po? Quale rimedio Umberto Bossi proponeva uno spezzatino del bacino padano – allora garantito da una Autorità Nazionale abbastanza efficiente – fra Piemonte, Emilia e Veneto (come i Parchi Nazionali del resto). Una demenza sottoculturale che ha portato – come hanno denunciato nel marzo 2012 i grandi esperti riuniti ai Lincei – ad una Italia “chiusa in una morsa: da un lato l’inadeguatezza delle risorse finanziarie che impedisce di realizzare opere strutturali di difesa e dall’altro un quadro normativo tuttora fondato su Regi Decreti di inizio ‘900, un quadro confuso in cui si intrecciano norme europee, nazionali, regionali che faticano ad integrarsi perché prive di un disegno unitario”. Il nostro Paese si era dotato di un efficiente Servizio Idrografico Nazionale, poi smantellato con la regionalizzazione (per anni la Regione Lazio ha interrotto la secolare preziosa statistica dei livelli del “pazzo” Tevere). Il Servizio Geologico, che ha realizzato “solo per il 40%” la Carta d’Italia, non sta bene. Ancora peggio il Servizio Meteorologico “mai istituito con legge nazionale”, dipendente dall’Aeronautica. Nel “vuoto di competenze”, con Berlusconi, la Protezione Civile è straripata dai suoi già gravosi compiti, inglobando il Servizio Sismico Nazionale da cui era stato cacciato, (ottobre 2002) per ragioni politiche il suo valido direttore Roberto De Marco.
Clamorosa la vicenda della legge nazionale sulla difesa del suolo del 1989, la n. 183, che l’amministrativista Paolo Urbani definisce tuttora “geniale”: istituiva alcune Autorità di Bacino nazionali (dal Po al Volturno), altre Autorità regionali e locali. Dovevano redigere i piani idrogeologici sui cui impostare dettagliati piani di graduale “ricostruzione”, dalla montagna e dalla collina spopolate e abbandonate al dissesto – dove far magari intervenire coop di giovani manutentori ordinari – fino alla pianura invasa dal cemento abusivo, a Olbia, nel Gargano, alla foce del Tevere. Sul modello della Authority del Tamigi che riunisce i poteri di ben 11mila enti o delle Agenzie francesi. Essa nasceva dal piano De Marchi (1970), successivo al tragico 1966, che reclamava 10mila miliardi di lire in un decennio. Inascoltato: così, per inseguire le continue emergenze, abbiamo speso almeno 6-7 volte tanto.
Approvati i primi piani di bacino, è cominciata la lotta di Comuni e Regioni contro di essi. Monterotondo, presso Roma, ha protestato vibratamente: non ci lasciano più costruire in zone alluvionali! Il Triveneto è ricorso contro la 183, di fatto svuotata dai particolarismi. Il colpo di grazia è venuto dal Testo Unico sull’ambiente (2006). Storia parallela a quella della legge Galasso (1985) per i piani paesaggistici ignorati in alcune regioni (Sicilia), tardivi e debolissimi in altre (Lombardia). Sta riaccadendo coi piani previsti dal Codice per il Paesaggio? Sin qui la sola Toscana vi ha ottemperato.
Una mano validissima è venuta dal Titolo V della Costituzione varato nel 2008 per compiacere la Lega e che mette tutti alla pari: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.” Il caos. Il governo Renzi cerca di ripristinare una catena di comando con un nuovo Titolo V. Come questo dissestato, fragilissimo Paese esige. Dovremmo, da anni, istituire le Autorità di Distretto secondo le direttive UE. Ma a questo vero Salva Italia (spesa prevista, 40 miliardi in quindici anni), fonte oltretutto di posti di lavoro certi, chi ci pensa? Quali giornali e tv denunciano tutto ciò? Piangono su morti, sfollati e danni. Fino al prossimo disastro.
Vittorio Emiliani (Predappio, 1935), giornalista e scrittore, presiede il Comitato per la Bellezza. La sua ultima pubblicazione, Romagnoli & Romagnolacci, cento e più ritratti di personaggi della Romagna dell’altro ieri, di ieri e di oggi (Minerva Edizioni) segue quelle di Cronache di piombo e di passione. L’altro «Messaggero». Un giornale laico sulle rive del Tevere (1974-1987) (Donzelli, 2013) e di Belpaese Malpaese. Dai taccuini di un cronista 1959-2012 (Bononia University Press).
Tutti gli articoli di Vittorio Emiliani per Giannella Channel (link).