L’intensa vita di Adriano Sansa (già presidente del Tribunale dei Minori, già sindaco di Genova nella stagione di Mani pulite, già giovane pretore d’assalto negli anni ’70, da poco in pensione) è scandita dalle poesie che riflettono in gran parte un mondo di affetti e dolente della realtà dell’esule: esule da Pola. Ora è appena uscito il suo nuovo libro dal titolo “Rime per niente” edito dall’associazione culturale “La Luna”, la società marchigiana diretta da Eugenio De Signoribus famosa per le edizioni d’arte, rigorosamente a tiratura limitata, realizzate con sistemi di stampa tipografica, con caratteri mobili rilegate a mano. Il libro, dunque, quale oggetto prezioso, scrigno di emozioni profonde, capace di toccare corde inaspettate o sepolte nei ricordi (“La nuova luce che ti prende gli occhi se ti porto alla casa di bambina e tu di dentro canti”).
Sansa, dalla collina di Nervi che gli permette di scrutare il Mar Ligure del Golfo di Genova, si dedica alla poesia da oltre quarant’anni, benignamente contagiato dall’amicizia con Biagio Marin, e le sue pubblicazioni hanno ricevuto ottime critiche fin dagli esordi, negli anni Sessanta. Nasce a Pola nel 1940, esule dall’Istria con la famiglia, ha cambiato varie residenze: Polcenigo, Aviano, San Giovanni, Grado, Agordo dove ha trascorso l’infanzia, Conegliano, Varazze. A Savona ha studiato e vissuto l’adolescenza e la giovinezza. A Genova si è laureato in giurisprudenza, ha lavorato come magistrato ed è stato sindaco della città, eletto con il 59,2% come indipendente nella lista di centrosinistra Ha pubblicato, in poesia, Vigilia (Sabatelli, Savona 1967), La casa a Sant’Ilario (Resine, Genova 1977), Notti di Guardia (Sabatelli, 1982), Dimore (Ibiskos, Empoli 1993), Affetti e indignazione (Scheiwiller, Milano 1995), sempre nel 1995 ha dedicato ai giudici Falcone e Borsellino il poemetto Onore di pianti (Scheiwiller), Il dono dell’inquietudine (Il Melangolo, Genova 2003), La speranza del testimone (Il Melangolo, Genova 2010).
Editorialista di Famiglia Cristiana, ha collaborato ad Airone, a Persona e Mal’Aria di Arrigo Bugiani ed è stato condirettore di Resine, quaderni liguri di cultura.
Voce libera in magistratura e uomo di alta cultura, Sansa ama ricordare la nascita del suo desiderio di scrivere: “Se fossi nato in una famiglia con passioni musicali forse avrei suonato il pianoforte”, ha dichiarato in una intervista rilasciata allo scrittore e poeta Vittorio Cozzoli. “La mia, invece era una famiglia in cui si leggeva molto, mio padre amava i classici russi e Giacomo Leopardi, mia mamma spesso mi leggeva, o recitava, a memoria delle poesie, anche le sue. Tutti e due avevano la passione per Dante. In famiglia c’era un amore per la poesia altisonante, ai limiti della retorica, ma era pur sempre in relazione alla vita, alla forma della vita. Così è stato naturale nella mia adolescenza ritrovarmi col desiderio di dire, di essere presente con la poesia”.
Ma Adriano Sansa cita anche “il poeta”, così era soprannominato un suo compagno di liceo, che ha poi fatto carriera nell’editoria, un incontro importante che gli ha fatto maturare il pensiero di quella che sarebbe stata, nella vita, la sua espressione artistica. “Ricordo un mio compagno di scuola che mi faceva vedere le sue poesie e leggendole ho incominciato a pensare di scrivere qualcosa anche io. Lui, pur essendo coetaneo, ma più anziano per pratica di scrittura, mi dava i suoi giudizi, fermi, severi. Poi un giorno mi fece conoscere Angelo Barile, uno dei più famosi poeti liguri, e ho incominciato a portare qualche testo, di quelli che andavo scrivendo dietro ai fogli del calendario. Barile li teneva per tutto un periodo, taceva, dopo qualche mese diceva: ‘Puoi venire’. Allora vedevo i suoi segni, leggeri, qualche righetta sopra i miei versi. Poi un giorno mi disse: ‘Puoi dire qualcosa’. Non era molto, ma era il mio primo riconoscimento, una bussola per il mio fare poetico. Lui identificava la mia come una poesia degli affetti, e diceva bene. Però, quando ne accennava come a un possibile limite, la sua osservazione mi era ugualmente utile, perché in un certo senso confermava la direzione del mio sentire”.
Un sentire che si è alimentato di parole mandate a memoria a scuola o dopo, involontariamente: “Parole in lingua o in dialetto. Dei poeti letti nei libri o visti nei segreti del loro umano volto. Degli amici che anch’essi resistono scrivendo. Che leggono. Nel giro della lampada serale o nello splendore del mezzogiorno. Quelli che, come me, stanno per un mese, un mese, un anno, senza avere più la forza di aprire la pagina dopo la morte di un loro caro, poi d’improvviso s’accorgono di poter prendere in mano il libro di scuola, la Commedia, il Paradiso. O il libretto di Virgilio Giotti e le sue parole per i figli perduti. O ancora Leopardi. Credo di aver scritto per un simile impulso, per una precoce sofferenza fisica dell’infanzia, per la ferita dell’esilio dall’Istria della mia famiglia, per l’inquietudine della ricerca e il legame di una nuova terra, per l’intensità dell’amore e del dolore, per la meraviglia della luce, per il vento della Liguria e per altro che davvero non so”. Una miscela che ha generato una delle voci più alte e mature della poesia italiana.
A PROPOSITO
Sette poesie di Adriano Sansa
tratte da Rime per niente
Sono uno che naviga di notte
con il favore del vento d’autunno
che mitiga le terre e schiara il cielo.
Arrivare lassù, soli, in silenzio
prima d’abbandonare la giornata
al suo corso fatale. Anche le cose
rispettano così quest’ora estrema
del pensiero che vaga e forse intende
senza poterlo dire il tutto, il niente.
In me la vita inclina, ma resisto
in un luogo remoto posseduto
come in tempo lontano, l’uno e l’altro
da sempre vero eppure inesistente
dove mi son trovato adolescente
venuto su dal nulla verso il niente.
I luoghi sono tempi, ne è la prova
la nuova luce che ti prende gli occhi
se ti porto alla casa di bambina
e tu di dentro canti, sto in silenzio
vedendo l’orto di tanti racconti
favolosi e sinceri. Là tuo padre
appena ieri volava in discesa
per raggiungere il treno e poi sospeso
a filo della rena salutava
agitando la mano, grande gesto
pur se meno di niente dentro il tempo.
Il gioco, per Adriano
Che silenzio stupendo questa notte
di luci tra le foglie dei giardini
e passaggi divini tra le stelle
di fonti luminose come d’aria
dentro il buio dell’aria. Si avvicina
il bambino e capisce in un baleno
la grandezza dell’anima che osserva
e la condanna imminente proterva
sulla mano che indica nel cielo
leggera come un velo, carne, schiuma
che si scioglie in due giorni nella terra.
Così mi afferra dicendomi piano
‘c’è poco tempo, vieni, giochiamo’.
Esuli
C’era prima un albergo, al corridoio
si versavano stanze messe in fila
e le infiammava al tramonto la cima
rosata e d’oro del San Sebastiano.
Di notte esploravamo con la pila
un mobile a cassetti a noi vietato
con minaccia di botte. Poi scoprimmo
da un foro laterale che l’editto
proteggeva una traccia dell’infanzia
d’uno della famiglia, soldatini
di piombo e qualche biglia colorata
nascosta in un sacchetto, deprivata
del sole che nell’Istria l’accendeva.
(Zio Luciano, quel dei soldatini)
Morir come un soldà, solo, rimasto
fora de la bataglia, che no’l ciama
che’l ga pecà de quei che va davanti
e drio xè i morti butadi per tera
ma lui sta fermo, no’l trema no’l pianzi.
Scherzo, poi serio.
Le cicale confondono, è vacanza
come al tempo di scuola la stagione
senza nessun pensiero se non fosse
per la domanda che ieri, scherzando
immersi nel battesimo del mare
ti feci. Perché esistere, ti dissi
e chi ha deciso e perché non andare
direttamente al fine in paradiso
senza passare qui dove la guerra
mentre ti bagni decapita e strazia.
La croce fu un annuncio, ma non basta
a chi domanda: avanti l’esistenza
come fu non esistere, e poi quanti
si godettero il caos dell’esplosione?
Batte su in alto solo un colpo lieve
la campana consueta, una famiglia
si muove tra posate e porcellane
rispondendo a quel suono, nella cena
sono presenti con i vivi i morti
nell’aria mitigata del tramonto.
Scegli dove ti metti, dove l’uomo
s’acqueta dell’argento di stoviglie
e sa godere il pane giustamente
o con l’iniquo affanno, con il male
della domanda inquieta e l’arroganza
di chi non si rassegna, questi t’offre
la sconfitta sicura. L’ora incalza.
Quasi dovuto addio
Ora mi lasci andare, una promessa
che avevi in serbo tu forse da sempre
confidando in te stessa e in me sperando
un uomo forte tanto da tornare
incolume al pensiero dell’infanzia.
Anch’io ti lascio, d’improvviso, aprendo
la porta verso il nulla ma serbando
uno spiraglio al raggio luminoso
del vero paradiso dove ancora
ci sfiori la freschezza della carne.
Di te mi fido, ma lasciami al bosco
che adesso mi richiama più del mare
per camminare a maggio tra gli uccelli
e l’odore dei fiori e dei germogli
dove respiro meglio e dove meglio
si muore tra la morte delle foglie.
Cimiteri sotto la luna
C’era un bisogno d’essere nell’essere
se ha fatto tutto questo pur potendo
rimanere nel sogno di se stesso.
La scia di luna oscilla per il vento
e disegna cammini sulle acque.
Ma la diva d’argento non discende
a toccarmi sul viso come un tempo,
son io che pendo verso il paradiso.
Non c’è nulla di eterno, solo muffa
per tutto il muro esterno che costeggia
la strada ove s’abbuffa tutto il giorno
la vita di se stessa. Umido letto
di poco desiderio dove si usa
stare senza lamento. Passo, calmo
ma dentro aspetto il vento, aiuto, il vento.
Primo maggio
Hai fatto caso alle sedie in soggiorno
del tinello dei nonni, il primo maggio
si guardavano intorno nel tranello
della pausa festiva. Un breve raggio
di sole le colpiva. Verrà il giorno
che a causa del progresso della scienza
si saprà che vedevano, in memoria
insieme alla credenza tratterranno
la storia delle guerre, da un esame
del dna del legno verrà un segno
delle giornate grame di mio nonno
colto da infarto tra foibe e granate
giusto la sera prima dell’esilio.
Molto più avanti in piena primavera
entravi in scena tu, l’ora di cena,
la luce blu dal mare, il gelsomino:
tutto saprà narrare il tavolino.
Leggi anche:
- Poeti Fuori Strada: “eravamo un anziano, un bambino, un carcerato malato e tu ci hai insegnato a fare poesia”. Riprendendo i versi di Ernesto Cardenal una tenace scrittrice e un illustre medico ci indicano da Monza uno dei sentieri possibili per ricominciare dopo questo periodo triste. Forti di un’esperienza (da elogiare e da imitare) che Claudio Magris ha definito “una bella storia italiana”
- Romagna e Chiloè, parole e mondi tornano a unirsi su Giannella Channel. La mia intervista al Corriere di Romagna su Tonino Guerra e Sepùlveda ha innescato un incrocio meraviglioso di storie personali e collettive. In principio fu un marinaio riminese naufrago in quell’isola della Patagonia a 12.513 chilometri di distanza…
- Facciamo rivivere la poesia, soffocata nel Nicaragua dalla libertà perduta. (02/2019) Da quindici anni ogni febbraio in questo paese del Centro America si svolgeva uno dei Festival di poesia più importanti del mondo, con molte centinaia di poeti che arrivavano da ogni parte del pianeta. Quest’anno la Festa è stata sospesa. Troppa violenza contro un popolo di ragazzi che chiede libertà. Un giornalista ci scrive: “Facciamo rivivere il Festival sul blog!” (testo di Andrea Semplici per Giannella Channel)
- Da Rimini a Pennabilli sulle tracce di Fellini e di Tonino Guerra: paesaggio con poeta. Tra i grandi personaggi che hanno reso famosa l’Emilia Romagna nel mondo spiccano Fellini, uno dei maggiori registi del cinema italiano, e Guerra (poeta, sceneggiatore, pittore e scrittore), creatore dei Luoghi dell’Anima a Pennabilli e nella Valmarecchia, “la valle più bella d’Italia”, © Antonio Paolucci. Entrambi intensi, emozionanti, dallo sguardo poetico e profondo, collaborarono nella scrittura di diverse sceneggiature: la loro opera comune più famosa è sicuramente Amarcord, l’indimenticabile film che racconta i luoghi, lo spirito e il carattere della Romagna e della sua gente. Questo è un invito alla visita nelle terre che hanno alimentato la loro creatività poetica
- Addio a Sepùlveda, il celebre scrittore cileno, con il racconto che mi consegnò ad Airone. Accompagno l’estremo saluto al cantastorie degli ultimi ripescando una sua straordinaria testimonianza: L’occhio della balena, un testo che fa riflettere sull’eterna storia di amore e di odio tra l’uomo e i giganti marini
- Gianni Fucci, l’ultimo degli Omeri cresciuti in terra di Romagna. A Santarcangelo, specie di Parigi padana, hanno dato l’ultimo saluto a uno dei maggiori poeti del ‘900. Pubblichiamo l’orazione civile con cui a metà febbraio il sindaco Alice Parma ha ricordato “l’interprete di un sapere profondo e gentile”, seguita dalla lettura poetiche a cura di Attilia Pagliarani e Annalisa Teodorani
- Marzo 2020: il dono di una poetessa, le lacrime di un sindaco, l’augurio di Einstein. Una riflessione sulla fragilità della condizione umana, sui ritmi innaturali che adesso siamo obbligati a rivedere. La poetessa cesenate Mariangela Gualtieri, fondatrice del Teatro Valdoca, ha regalato al pubblico un componimento ispirato all’emergenza. Lo associamo agli auguri del sindaco di Bari, Antonio Decaro, e a una riflessione del grande scienziato
- La poesia che Nelson Mandela lesse ogni giorno nella sua cella. Ciao Nelson Mandela, il mondo perde un suo eroe. E noi illuminiamo le parole poetiche che tu leggesti ogni giorno dei tuoi 27 anni di prigionia a Robben Island.
- Le parole e gli occhi: le Isole Azzorre di Antonio Tabucchi Prima tappa del lungo viaggio che facciamo in compagnia di mio fratello Vittorio Giannella, fotoreporter di natura e viaggi, alla continua ricerca di paesaggi eccellenti, cioé quelli che hanno ispiratole parole più belle di scrittori, poeti e artisti
- Dal Gargano a Manhattan: Joseph Tusiani, emigrante diventato poeta di due terre. Ci ha lasciato uno scrittore a noi caro che ha dato lustro alla cultura italiana oltreoceano. Lo avevamo incontrato per un suo recente compleanno. Amava ricordare un verso di grande incoraggiamento a tutti noi oggi: “Una sola lucciola può far guerra alla notte e sconfiggerla”
- Il cerchio della vita: la nascita. Nascita, pubertà, matrimonio e morte: viaggio intorno ai riti dell’uomo, tra misteri, sacro e favola, nel mondo e nel mio Tavoliere pugliese. Ci guidano un famoso psichiatra-scrittore e una buona maestra e poetessa (testi di Vittorino Andreoli e di Grazia Stella Elia)
Il mare di fronte e Genova si chiama Mar Ligure
Grazie Franco. Ci piace avere lettori attenti come lei: un saggio diceva che “è nei dettagli che si nasconde l’eccellenza”.