Se potesse, il 44% degli italiani lascerebbe l’Unione europea. A dirlo è un report pubblicato il 6 settembre 2017 dalla Fondazione Bertelsmann. Siamo il popolo più pessimista tra i Paesi presi in esame. Solo il 13% pensa che la propria situazione economica possa migliorare e solo il 56% vorrebbe restare nell’Ue, la percentuale più bassa di tutte.

Ma è giusto essere così insoddisfatti? Davvero l’Ue non fa niente per noi? Guardando anche solo ai fatti degli ultimi giorni, non si direbbe.

Iniziamo dalla ricostruzione dopo il terremoto del Centro Italia dello scorso anno. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha promesso che l’impegno del Governo sarà “totale”. I soldi però li ha messi e li metterà solo l’Unione europea. Finora la Banca europea per gli investimenti ha concesso 2 miliardi di prestito al ministero dell’Economia per la ricostruzione nelle regioni colpite. Un miliardo per rimettere a posto le case dei terremotati e le aziende delle tante piccole e medie imprese colpite. E un altro miliardo per le scuole, gli ospedali e gli uffici amministrativi danneggiati della zona.

Sempre ieri, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani in visita a Norcia ha annunciato che il 12 settembre l’assemblea di Strasburgo voterà per modificare il bilancio e stanziare altri 1,2 miliardi di euro dal Fondo europeo di solidarietà per la ricostruzione.

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Antonio Tajani (Roma, 1953) è presidente del Parlamento europeo dal 17 gennaio 2017. Dal 2008 al 2014 è stato Commissario europeo, dapprima ai Trasporti e poi, per quasi cinque anni, all’Industria.

Bisognerà ricordarlo al 69% degli italiani che secondo il sondaggio della Bertelsmann si è dichiarato insoddisfatto di come funziona la democrazia nell’Ue. Sarà la cifra più alta mai concessa a uno Stato dell’Unione per far fronte a una calamità. Di tutti e 28 gli Stati membri, l’Italia è già il Paese che ne ha beneficiato di più. E non è la prima volta. Dal terremoto del 2002 in Molise alle alluvioni di ottobre del 2014, l’Italia ha usato in tutto 1,3 miliardi per ricostruire il territorio devastato dall’incuria della propria classe dirigente. La prossima volta che succederà un evento del genere, perché purtroppo succederà, ricordiamocelo prima di dire: “dov’è l’Europa?”.

Non solo freddi finanziamenti, ma anche aiuti umanitari

Da metà agosto a Norcia ci sono 16 giovani del Corpo europeo di solidarietà impegnati a ricostruire della Basilica di S. Benedetto e portare vivacità con seminari e eventi che coinvolgano giovani e anziani. Nei prossimi tre anni arriveranno a 230. Va bene la ricostruzione, ma il problema dell’arrivo dei migranti? È proprio lì che l’Italia si sente abbandonata. Non si contano gli appelli dei politici e giornalisti contro l’Europa, rea di averci abbandonato al nostro destino.

Siamo così sicuri? Proprio ieri la Corte di giustizia dell’Unione europea ha respinto il ricorso di due Stati Ue contro il piano di relocation dei richiedenti asilo presenti in Grecia e in Italia. Slovacchia e Ungheria consideravano la decisione presa in realtà non necessaria. Secondo loro l’Italia può farcela da sola. La Corte ha dato a loro torto con una sentenza fondamentale che non cambierà la situazione nell’immediato, per quello servono sanzioni e procedure di infrazione, ma sarà la base per costringere finalmente tutti gli Stati a collaborare.

Una mano all’Italia l’ha data politicamente anche il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Il 5 settembre ha risposto con una dura lettera al premier ungherese Viktor Orban che pretende dall’Ue 400 milioni per coprire metà delle spese sostenute per costruire il muro anti migranti al confine con Croazia e Serbia:

La solidarietà è una strada a doppio senso. Non un piatto à-la-carte che può essere scelto per la gestione di un muro e rifiutato quando si parla di conformarsi alla scelta presa in comune di ricollocare i migranti.
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Jean-Claude Juncker (Redange-sur-Attert, Lussemburgo, 1954) è presidente della Commissione europea dal 1º novembre 2014.
È stato primo ministro del Lussemburgo dal 20 gennaio 1995 al 10 luglio 2013 e presidente dell’Eurogruppo dal 2005 al gennaio 2013.

Tradotto: no migranti, no finanziamenti. Un messaggio politico forte, tutto a vantaggio dell’Italia e soprattutto il massimo che un presidente della Commissione europea possa fare al momento.

Forse dovremmo smetterla di comportarci come se fosse tutto dovuto e iniziare a guardare all’Unione europea con una prospettiva realistica, per quello che è: un’unione economica e politica fra Stati: imperfetta, ma riformabile. Intanto ci ha regalato 60 anni di pace e benessere. Poi se vogliamo cambiare le cose non possiamo pensare che cadano dal cielo perché noi siamo l’Italia. E non possiamo prendercela sempre con la Germania (il 69% degli italiani giudica negativa la leadership tedesca nell’Ue, sempre secondo il sondaggio Bertelsmann).

Nessuno chiede di osannare il mercato unico, l’Erasmus, l’abbattimento del roaming e l’euro, ma smettiamo di lamentarci e chiedere all’Europa quello che in realtà dovrebbe fare la nostra classe dirigente. Le riforme non fatte in questi anni, l’enorme debito pubblico, le decisioni subite per la nostra incapacità negoziale e poi vendute all’opinione pubblica italiana come un “ce lo chiede l’Europa” non è colpa degli eurocrati. Insomma, diamo a Roma quel che di Roma e a Bruxelles quel che è di Bruxelles.

Senza contare che in un’altra città europea, a Francoforte, c’è un italiano di nome Mario Draghi che a capo della Banca Centrale europea sta attuando una politica aggressiva di acquisto dei titoli di Stato italiani e non, per gli amici quantitative easing, proprio per evitare un collasso della nostra economia, fino a cinque anni fa a rischio default. Un aiuto, sempre dall’Europa, che non stiamo utilizzando appieno. E non è l’unico.

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