…fa sì che le piccole differenze tra i vestiti
che coprono i nostri deboli corpi,
tra tutte le nostre lingue inadeguate,
tra tutte le nostre usanze ridicole,
tra tutte le nostre leggi imperfette,
tra tutte le nostre opinioni insensate,
tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,
insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati uomini non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli
Voltaire, “Preghiera a Dio”
Dio non ha dato ascolto a Voltaire.
Il libero arbitrio concesso agli atomi chiamati uomini ha fatto tutto da solo.
Sospingendoci gli uni contro gli altri.
Per cupidigia, ignoranza, ogni sorta di futile impulso.
Celato sotto la maschera dell’identità.
Etnica, religiosa, politica, nazionale, locale, qualunque.
Pronta a trasfigurarsi da coscienza di se’ in demonizzazione dell’altro, da principio di relazione a pretesto di contrapposizione.
Perché mi uccidete?
Come! Non abitate sull’altra sponda del fiume? ironizza Pascal.
La storia è un mattatoio, ha scritto Engels, che non aveva visto il peggio.
Che le nazioni europee avrebbero mostrato di lì a poco.
Per qualche tempo, dopo la grande mattanza, abbiamo pensato che fosse giunto il momento di non infliggerci più lutti ma di cercare assieme soluzioni.
Riconoscendoci in un’identità nuova, capace di contenere le altre, senza annullarle, per preservarle, e metterle in valore.
Quello europeo non è mai stato un sogno ma un lungimirante disegno razionale.
Siamo una comunità di destino, prima che l’amore ci unisce la convenienza.
Guai a smarrire questa consapevolezza.
Diradato l’alone retorico dell’Europa dei popoli si vedrebbe che la necessità è la forza che muove l’idea dell’Europa unita.
L’adesione si è allentata perché è in crisi il progetto politico.
Che, a differenza dei sogni, non si avvera da solo.
Realizzarlo dipende da noi, Stati e cittadini.
È come se, nell’oceano della globalizzazione, intimiditi dalla crisi, annichiliti dalla portata sovversiva di eventi che cambiano gli equilibri del mondo, avessimo perso la bussola che ha orientato il nostro cammino per mezzo secolo e confidassimo di uscire dal bosco oscuro in cui ci siamo smarriti tornando indietro.
Al culto di identità chiuse, all’Europa degli egoismi nazionali.
Un suicidio collettivo, come lemming che annaspano nelle acque del mare del nord ignari della loro sorte.
Dio fa perdere la ragione a coloro che vuole abbandonare.
Nessuno si considera causa dei propri mali.
Chiamato a risponderne è sempre qualcun altro.
Da qualche tempo tocca all’Europa, entità metafisica, sorgente di tutti i problemi, lavacro dei nostri vizi.
Ci chiediamo cos’è l’Europa.
Dovremmo domandarci chi è l’Europa.
Chi decide quali poteri dare a Bruxelles?
Chi non ama i tedeschi, mal sopporta i francesi, ignora i lituani, detesta gli italiani?
Chi è responsabile dell’orrore dei muri, della deportazione dei profughi a pagamento?
Con gli armeni i turchi lo facevano gratis.
Chi impedisce alle intelligence di collaborare?
Che adesso tutta la colpa sembra dei nipotini di Poirot, di un Paese che è il paradigma di quel che ci avviamo a diventare: una disgregazione di genti, padrone in caso loro e straniere in tutto il mondo.
Fiamminghi e valloni.
Padani.
A Firenze solo cibo toscano.
A Faenza prima di tutto i faentini.
Ovunque prima noi.
Prima io.
Dove egoismi antichi si saldano con l’individualismo moderno.
E un po’ d’olio tunisino, che importiamo da duemila anni, diventa motivo di rivolta.
Oli e buoi dei Paesi tuoi.
Il cerchio si chiude.
E ci soffoca.
Che Europa vogliamo?
Davvero desideriamo l’Europa dei popoli?
Cosa ci impedisce di diventarlo?
Attribuire la responsabilità alla burocrazia è un inganno.
Che oscura le responsabilità degli Stati, e frastorna i cittadini.
Siamo entrati in un labirinto.
I partiti anti europei si proclamano i veri europei.
Vogliamo un’Europa vicina alla gente, gridano mentre propongono di uscirne.
La retorica dell’Europa che non c’è fa sembrare dannosa quella che c’è .
Pervade incontrastata popoli e forze politiche.
Spaventati dal populismo ci pieghiamo alle medesime categorie culturali e non facciamo la sola cosa che c’è da fare per dare un futuro ai nostri nipoti: mettere le macchine avanti tutta per costruirla davvero la casa comune.
In questo modo gli euroscettici crescono.
Una spirale tragica.
E venne il cane che morse il gatto che si mangiò il topo… che al disastro totale portò.
Con (quasi) tutta la buona volontà, è difficile dire in cosa consista il “nuovo europeismo” di cui parla Renzi.
Quello che si vede è un più energico rivendicazionismo nazionale e la richiesta di una politica economica orientata allo sviluppo.
Cose apprezzabili, allorquando sono ispirate da retto senno, ma che non hanno nulla a che vedere col funzionamento delle istituzioni europee, che è il vero punto critico del processo incagliato.
L’Europa non è strutturata per funzionare bene.
Sono i Governi nazionali a non volerlo.
In Italia quando il premier ha voluto cambiare l’assetto istituzionale per migliorarne, a suo giudizio, l’efficacia operativa, lo ha fatto.
In Europa no.
Ne’ la retorica anti europeista ne’ quella europeista indicano un percorso e delle soluzioni.
Quel che resta, a parte al Consiglio dei Ministri, somiglia a un suk arabo dove le nazioni discutono all’infinito sul prezzo.
Abbiamo davanti due strade.
Quella di un’Europea federale.
Quella che ci riporta indietro.
Ognuno nella propria tana.
Come conigli.
Intimoriti dal mondo.
A rincorrere i nostri fantasmi.
Mai come ora noi cittadini europei siamo stati arbitri del nostro destino. •
Dalla collana “La meglio Europa”:
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Il primo problema è culturale: il concetto di frontiera che l’ Europa deve abbandonare. Fino a quando non si vorrà accettare questa naturale condivisione tutto il resto sarà inevitabilmente distorto in una supremazia del potere che è sempre di qualcuno (città, regione, stato).