Le alte concentrazioni di polveri sottili a febbraio nella Valle del Po potrebbero essere state tra le cause scatenanti del diffondersi rapidissimo e anomalo del Coronavirus verificatosi 15 giorni dopo. Come era successo in Cina. Lo afferma uno studio prodotto dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima) con le Università di Bari e Bologna. E io ripesco nel mio blog la forte denuncia anti-inquinamento di una giornalista cinese

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto sapere che 9 persone su 10 respirano aria contaminata, questo provoca ogni anni più di 6 milioni di vittime. Particolarmente colpita la Cina, con India Medio Oriente e Africa. In Italia l’area più inquinata è la Pianura Padana.
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In parole povere: 1) “Una solida letteratura scientifica descrive il ruolo del particolato atmosferico quale efficace carrier, ovvero vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Il particolato atmosferico, oltre a essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni”. 2) “Maggiore è l’inquinamento e maggiore è la possibilità per il virus di permanere nell’aria”.

È più che un’ipotesi, sostengono gli epidemiologi della Società italiana di medicina ambientale (Sima) con le università di Bari e di Bologna. Loro hanno infatti incrociato i dati raccolti dalle Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa) con il numero dei decessi registrato dalla Protezione civile: “Le analisi – è scritto nelle sei pagine dello studio intitolato Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione – sembrano indicare una relazione diretta tra il numero di casi di Covid-19 e lo stato di inquinamento da Pm10 dei territori, coerentemente con quanto ormai ben descritto dalla più recente letteratura scientifica per altre infezioni virali… la concentrazione dei maggiori focolai si è registrata proprio in Pianura Padana, mentre minori casi di infezione si sono registrati in altre zone d’Italia”.

Il periodo preso in considerazione dallo studio del Sima e delle università è quello che va dal 10 al 29 febbraio, i giorni chiave per l’esplosione dell’epidemia nel Nord Italia: in quelle due settimane si sono registrate “concentrazioni elevate superiori al limite di Pm10 in alcune Province del Nord Italia” che potrebbero aver esercitato nella Pianura Padana “un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia, che non si è osservata in altre zone d’Italia dove si erano verificati casi di contagio nello stesso periodo”.

Già, perché Milano sì e Roma, finora, no?

“La presenza di contagi nella Capitale si era già manifestata negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento”.

Non è la prima volta che emerge un collegamento tra virus e inquinamento. Era già stato osservato nel 2010 per l’influenza aviaria, poi per il virus respiratorio sinciziale e il morbillo che a più riprese tra il 2016 e il 2019 ha colpito diverse regioni cinesi (soprattutto il Lanzhou). “C’è una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico”. Ma perché lo smog aumenta i contagi? “Il particolato – sostiene lo studio – funziona da carrier, cioè da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si ‘attaccano’ (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni e che possono diffondersi ed essere trasportate anche per lunghe distanze”. Non solo: “Il particolato atmosferico fa anche da substrato che permette al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso di diffusione del virus, cioè di virulenza”.

Ma i medici e gli epidemiologi che si sono occupati di inquinamento puntano il dito su un altro fattore scatenante provocato dallo smog: “Non c’è soltanto la funzione di trasportatore. È anche una questione di enhancing, come si dice in inglese, cioè di intensificazione e di aumento degli effetti”, spiega Paolo Crosignani, ex primario di epidemiologia ambientale dell’Istituto Tumori di Milano. Un uomo che ha dedicato la vita a studiare e combattere le conseguenze dell’inquinamento: “I dati dimostrano scientificamente che in condizioni normali, quando la concentrazione di Pm 2,5 supera i 10 milligrammi per metro cubo, anche la mortalità aumenta dello 0,6 per cento per patologie cardiorespiratorie. Non si tratta di anticipazione della morte, l’esposizione agli inquinanti provoca patologie fatali che non ci sarebbero”. Crosignani aggiunge: “Purtroppo i polmoni dei lombardi sono minati da anni di esposizione a un inquinamento intollerabile. Siamo pieni di bronchiti croniche”.

E gli effetti del virus sono più pesanti sugli individui che hanno già un apparato respiratorio compromesso o comunque vulnerabile. Accadeva a Wuhan e in Cina, sembra ripetersi in Lombardia e nella Pianura Padana.

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* Questi i nomi dei ricercatori firmatari dello studio: Leonardo Setti e Fabrizio Passarini (Università di Bologna); Gianluigi de Gennaro, Alessia Di Gilio, Jolanda Palmisani, Paolo Buono, Gianna Fornari (Università di Bari); Maria Grazia Perrone (Università di Milano); Andrea Piazzalunga (esperto Milano); Pierluigi Barbieri (Università di Trieste); Emanuele Rizzo e Alessandro Miani (Società Italiana Medicina Ambientale)

A PROPOSITO/ RIPUBBLICHIAMO UN NOSTRO TESTO DEL 2015

Jing e Jining: la giornalista, il ministro

e la grande sfida per l’ambiente in Cina

testo di Matteo Acmé*

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Chai Jing, ex giornalista della tv di Stato cinese, autrice del documentario sull’inquinamento in Cina.

Lo scorso venerdì una mia collega è arrivata in ufficio con un annuncio: “Ho scoperto che l’aria in Cina è inquinatissima”. Anche lei come milioni di cinesi ha guardato online Under the Dome, il documentario di Chai Jing, una ex giornalista della tv di stato. Dopo che Jing ha scoperto che la figlia che aspettava era malata di tumore ha iniziato a documentarsi sulla situazione ambientale cinese. E ora la sua denuncia sta creando scandalo ed è già stata cancellata da alcuni siti web.

E così anche i cinesi della classe media, con un basso livello di istruzione come la mia collega, hanno scoperto che quella che copre il cielo non è nebbia, che l’acqua dei fiumi è velenosa per ragioni precise e che se non si farà qualcosa subito le conseguenze potrebbero essere fatali.

Non è colpa della censura, o della paura del governo. Queste cose si sanno, gli studi sono accessibili e l’aria e l’acqua vengono respirate e bevute da tutti. In alcune province ci sono già state proteste popolari che hanno bloccato progetti industriali inquinanti. Ma milioni e milioni di cinesi non sono abituati a cercare, non leggono i giornali e nelle serie tv su cui passano ore di certe cose non si è mai parlato.

Ora grazie all’ex giornalista si è squarciato il velo. E una fetta di Cina è un po’ più consapevole di cosa rischia. Un problema in più per Chen Jining, il nuovo ministro dell’ambiente nominato da pochi giorni, ex direttore della Tsinghua University e presentato dai media come un grande esperto di questioni ambientali ma con esperienza di governo quasi nulla. Jining non dovrà solo gestire un’emergenza che, date le dimensioni del paese, si può dire planetaria. Ma dovrà anche convincere e rassicurare la mia collega e la gente come lei, nuovi potenziali arrabbiati.

Il film-documentario di produzione indipendente “Under the dome” (2015). A cura di Chai Jing, è stato visto più di 150 milioni di volte nei 3 giorni successivi alla distribuzione. Per i sottotitoli in italiano: cliccare/toccare l’icona delle impostazioni (rotellina) e impostare i sottotitoli in “Inglese (Stati Uniti)”. Quindi cliccare/toccare nuovamente l’icona delle impostazioni, scegliendo nei sottotitoli “Traduzione automatica” e infine “Italiano”.

Dopotutto non deve essere facile la vita del ministro dell’ambiente cinese. Deve combattere l’inquinamento dell’aria ma la Cina rimane il primo paese per emissioni di C02 e lo rimarrà ancora per molto tempo “a meno che – come si legge in un recente rapporto della Agenzia energetica internazionale, IEA – la crescita economica non sia molto al di sotto delle aspettative”.

Il nuovo ministro dovrà anche assecondare e soddisfare la crescente voglia di cibo biologico e “sano”, ancora miniscula nei numeri ma decisa e avvertibile soprattutto nelle grandi città. Non può scordare però che la maggioranza dei terreni non edificati in Cina è incoltivabile perché irrimediabilmente contaminata dagli scarichi industriali.

Jining e il governo dovranno anche impostare un modello economico che limiti gli sprechi e la produzione di rifiuti. Ma c’è un popolo affamato di consumi, di gadget e di prodotti sempre nuovi. Una massa di persone che può accettare di non prendere parte alla vita politica ma che non vuole rinunciare al benessere del superfluo appena conquistato.

Possiamo forse immaginare il nuovo ministro in mezzo al suo paradosso. Diviso fra le richieste dell’economia, della crescita e del consumo e il nuovo corso dettato dal premier Li Keqiang durante l’ultima sessione annuale del parlamento, con l’annuncio di maggiori sforzi e controlli per limitare l’inquinamento e la minaccia di punizioni severe per chi inquina e per i funzionari di partito che falliscono nell’applicare le norme.

Nella sua posizione il ministro per l’ambiente ha un potere enorme e nello stesso momento potrebbe combinare davvero troppo poco. Milioni di cinesi (e non solo) lo osservano.

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greenews-green-economy-occupazione* Fonte: Greenews.info è il web magazine dedicato all’informazione ambientale e al “green thinking” che nasce per dare visibilità ai progetti di sostenibilità delle imprese operanti in Italia, delle pubbliche amministrazioni, dei centri di ricerca e delle associazioni non-profit e per informare sulle politiche, le best practices, le normative ed i finanziamenti, i prodotti “eco” e “bio” e i nuovi trend mondiali.

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