Nei giorni in cui si scopre che mezza Italia s’è bevuta latte tossico a causa del mais contaminato in periodi di grande siccità da una muffa cancerogena, scoperta culminata con l’arresto di otto persone in Friuli, volentieri accogliamo nel nostro appuntamento domenicale questa riflessione di un autorevole storico delle scienze agrarie. Aspettiamo reazioni e commenti. (s.g.).

Per molti uomini politici italiani è vero, sistematicamente, quanto è opportuno: è vero, cioè, quanto assicura consenso, voti, potere. Quanto susciterebbe scetticismo, indifferenza, o, addirittura, avversione, non può essere vero: per un nipote di Machiavelli il vero deve essere, fondamentalmente, utile.

Essendosi, nella vita, occupato sistematicamente di agricoltura chi scrive è stato ripetutamente condotto alle riflessioni che ha enucleato dalla lettura delle impegnative elucubrazioni di uno dei protagonisti della patria agricoltura, l’assessore emiliano Tiberio Rabboni, sull’arduo tema dei danni, negli anni recenti sempre più gravi, alle colture di mais, di una farfalletta nefasta, la Pyrausta nubilalis, che si accontenterebbe, parcamente, di cibarsi delle cariossidi di mais lasciando, al proprietario del campo, quanto non fosse riuscita a devastare. Malauguratamente, però, le feci dell’insetto costituiscono il pabulum prediletto di un’intera famiglia di funghi microscopici, che, a propria volta, rilasciano, tra i cataboliti, alcune delle molecole naturali dotate, nell’infinita gamma dei composti vegetali, del più virulento potere tossico. Basti ricordare che le fumonisine, una delle classi dei tossici in questione, sarebbero responsabili della mancata trasmissione dell’acido folico dalla gestante al feto, la ragione della tragica frequenza, trai figli delle donne messicane, che non conoscono il pane, e ci cibano di tortillas di mais, di casi di deformazione irreparabile del sistema nervoso, causa non curabile di alterazione dell’intero meccanismo di percezione-reazione di un essere vivente.

Uno splendido esemplare di Pyrausta Purpuralis

Un esemplare di Pyrausta

Etica dell’informazione, farfalle e micromiceti patogeni

Al di là della curiosità personale chi, mi chiedo, occupandosi di cose agresti, potrà dimenticare le ardimentose evoluzioni in cui il signor Rabboni si esibì, sul numero di marzo del 2007 della rivista di cui è, formalmente, direttore, Agricoltura, in un articolo dall’eloquente titolo “Energie pulite per l’informazione agraria”? Senza menzionare quali fossero i rei dell’alterazione della verità dell’informazione rurale, l’Assessore si profondeva, riferendo della propria intervista alla devota associazione dei giornalisti campestri della regione, nell’appassionata dimostrazione di quale dovesse essere il tenore di un’informazione che, in sintonia con il verbo dell’Ufficio stampa regionale, pretendesse la qualifica di obiettiva, attendibile, illuminante. Dopo tanto impegnativa premessa affrontava, con collaboratori illustri, il tema della difesa dal mais dalla farfalla importuna e dalla corte di patogeni che le fanno corona.

Chiave logica dell’articolo, l’asserzione, premessa di quanto sarebbe seguito, che “Non esistendo mais immuni” la lotta alla farfalla dovesse essere condotta mediante “i mezzi agronomici tradizionali”. Ma è a tutti noto che mais immuni agli attacchi della piralide sono diffusi in tutto il mondo: essendo, purtroppo, mais b.t. cioè o.g.m., la verità doveva essere cancellata: nello spirito della diffusione di energie pulite per l’agroinformazione era necessario, infatti “al villan non far sapere”. Siccome i villani non sono, generalmente, stupidi avrebbero potuto chiedere, candidamente: ma perché allora, non ce li lasciate coltivare?

Seguiva la dimostrazione, che impegnava pagine intere, di quali fossero i “mezzi agronomici tradizionali” con cui affrontare la nefasta farfalla: un’intera gamma di accorte pratiche agronomiche, di cui veniva riconosciuta (un rilievo veridico si può reperire, con qualche fortuna, anche negli scritti di un assessore regionale) la scarsa efficacia, riconoscendo, con qualche espressione ermetica, che l’inefficacia imponeva l’uso degli insetticidi. Prescrivere l’uso di insetticidi sulle pagine di un periodico in cui tutto deve costituire inno alle benefiche forze “biologiche” spontanee (che producono veleni più potenti dei distillati dei più infernali laboratori chimici: si può scegliere tra il morso del cobra e l’ammanita in barbecue) avrebbe procurato qualche senso di colpa agli estensori, che non proponevano alcuna lista degli antiparassitari impiegabili, evitando, non senza furbizia, un onere gravoso, siccome quasi tutti gli insetticidi autorizzati per colture che potevano finire in una mangiatoia erano reputati, dopo innumerabili delusioni, del tutto inefficaci, ed era alquanto diffusa, nelle campagne emiliane, la sensazione che gli agricoltori “si arrangiassero” con princìpi attivi assolutamente proibiti, una notizia che, nello spirito delle “energie pulite per l’informazione agraria”, poteva essere opportunamente ignorata.

Le conseguenze nefaste di un’estate torrida

Qualunque filosofia della verità, da Machiavelli a Tiberio Rabboni, deve avere la propria coerenza. Propone la prova della ferrea coerenza ai princìpi sanciti dalla Magna Charta delle “energie pulite” l’articolo con cui, sul numero di aprile (2013) della propria prestigiosa rivista, l’assessore Rabboni diffondeva la gioiosa notizia che “il mais colpito dalla siccità servirà a produrre energia” un articolo atteso dal mondo agricolo padano, che nell’estate 2012 ha assistito a un’invasione senza precedenti, favorita dalla siccità, di Pyrausta, che nei mais stremati dall’assenza di acqua si è moltiplicata prodigiosamente inducendo una proliferazione altrettanto incontenibile dei patogeni che si nutrono degli escrementi.

Chi scrive, potendo contare sull’antica, reciproca stima, dei titolari di uno dei più moderni laboratori per le analisi agrarie operante in Valle Padana, era informato, in novembre, che il 30% dei campioni esaminati nella provincia ove opera il laboratorio doveva considerarsi irreparabilmente contaminato, e per legge destinato all’eliminazione. Un calcolo alquanto semplice dimostrava che se la media di quella provincia fosse stata rappresentativa di quella padana, reputando improbabile che tutto quel mais sarebbe stato distrutto, per “tagliare” il mais italiano inquinato (e abbassarne il contenuto patogeno) sarebbero stati necessari 100 bulkers da 80.000 tonnellate, valore di ogni carico, dopo che gli Stati Uniti hanno triplicato, in quattro anni, il prezzo del mais, 8 milioni di dollari. L’elemento incredibile, autentico arcano della ragione di Stato del signor Rabboni, era che tutto il mais importato dagli Usa sarebbe stato mais o.g.m., che avremmo potuto produrre sui nostri campi non solo evitando i danni della farfalletta e dei suoi commensali, ma producendo una quantità di mais assai più prossima ai bisogni nazionali di quella trebbiata sui campi riarsi.

Nei più recenti mais o.g.m. prodotti dall’industria sementiera Usa sono stati inseriti i primi geni per la resistenza alla siccità: in agosto la stampa internazionale annunciava la catastrofe produttiva del Corn Belt, l’ultima settimana di agosto le nuvole dell’Atlantico, attraversato il Continente, riversavano su Iowa, Illinois, Indiana e Minnesota piogge ristoratrici: i nuovi mais o.g.m. non erano morti per la siccità, avevano chiuso gli stomi e interrotto, come un cactus del deserto della California, ogni scambio biologico con l’ambiente: imbibito, di nuovo, il terreno di acqua, avevano riaperto gli stomi, e ogni acro di mais aveva ripreso a produrre, ogni giorno quintali di carboidrati con cui ricolmare le cariossidi. Il raccolto record previsto in primavera non si sarebbe realizzato, ma gli Usa avrebbero prodotto tanto da soddisfare la domanda interna e quella internazionale (quella, quantomeno, di chi fosse in grado di pagare i nuovi prezzi).
L’aspetto incredibile della vicenda non era tanto, quindi, nella necessità di acquistare mais dagli Usa (abbiamo sempre integrato la produzione insufficiente con acquisti a Chicago) consisteva nella necessità, per consentire al signor Rabboni di appagare l’odio per la scienza di un mondo “ambientalista” talora ignorante (o mendace), di importare 3-4 volte i volumi tradizionali, acquistando mais o.g.m. (in Iowa e Indiana non si producono più gli antichi ibridi a fecondazione naturale) pagando il triplo del prezzo tradizionale per quanto avremmo potuto produrre, in quantità maggiore e senza i danni di farfalle e micromiceti, sui nostri campi.

Coerenza etica e prezzo della menzogna

Raccolto il mais dai campi padani, verificata la quantità che per legge avrebbe dovuto essere distrutta, l’esistenza, nei magazzini di privati e cooperative, di centinaia di migliaia di quintali di mais inquinato è stata inclusa, dalla “cupola” che decide quale sia la verità da propinare alla plebe italica, tra gli arcana del potere di cui nessun cronista avrebbe avuto facoltà di dare notizia. Un perfetto sistema di omertà ha conservato, fino ad aprile, sul contenuto di quei magazzini, il riserbo più inviolabile. Chi scrive ha maturato un’antica esperienza di cosa avvenga al cronista che non rispetti le regole del potere: riceverà da tutti gli interlocutori (quali il gerente della rivista del signor Rabboni) una breve comunicazione che lo informa che qualunque forma di collaborazione, è, da qualche data antecedente (tanto da evitare ogni equivoco), definitivamente interrotta.
Si può immaginare quali siano state, in sei mesi, le pressioni dei detentori per una soluzione che consentisse di eliminare giacenze del tutto inopportune e, in qualche misura, illegali, siccome gli esami erano stati eseguiti, ma i risultati “protetti” dal segreto di Stato (o di Regione). E si può immaginare il respiro dei medesimi detentori quando, sfogliando il numero di aprile del mensile del signor Rabboni, hanno letto il titolo consolante verosimilmente distillato dall’Assessore: “Il mais colpito dalla siccità servirà a produrre energia”.

Ho già dichiarato la personale ammirazione per la coerenza della filosofia dell’Assessore, che, quando sia utile, è pronto a negare l’esistenza di mais inattaccabili dalla farfalletta, e, quando muti l’opportunità, è altrettanto pronto a negare la stessa esistenza dell’infausto lepidottero. Riflettete sull’espressione “il mais colpito dalla siccità”: qualunque mais “colpito dalla siccità” presenterà, infatti, cariossidi avvizzite, povere, quindi di amido, ma qualunque animale, bovino suino, volatile, le potrà consumare senza alcun danno per la salute propria e quella di chi, successivamente, ne mangerà braciole, lombi o cotolette. Ciò che non si può somministrare agli animali è il mais inquinato dalle micotossine. Siccome peraltro, il mais padano è inutilizzabile perché inquinato dalle micotossine, e l’evento avrebbe potuto essere evitato coltivando mais o.g.m, che dovremo importare in quantità astronomiche per “tagliare” quello prodotto sui campi padani, l’argomento è incluso tra quelli che potrebbero “inquinare” le felici sicurezze dell’italica plebe.

Tanto più che la notizia, in sé inquietante, può addirittura, secondo il principio delle “energie pulite”, essere convertita in notizia felice: il mais inquinato sarà proficuamente convertito in energia elettrica. Molti critici hanno eccepito l’insensatezza, in un Pianeta in cui si sta imponendo la penuria, di devolvere, in un paese che ha già coperto di cemento metà della pianura nel secolo scorso ancora inclusa tra più fertili del Globo, spazi irriproducibili alla produzione di elettricità. Fisso al bene futuro della società, incurante delle riserve dei nemici del progresso, il signor Rabboni ha attivamente operato per moltiplicare i grandi impianti per la conversione dei prodotti dei campi in energia elettrica: a umiliazione dei critici ignoranti o malevoli può proclamare, così, che, grazie agli impianti favoriti dalla preveggenza regionale la sciagura si converte in beneficio, il mais “colpito dalla siccità” si trasformerà in energia per un paese costretto ad acquistare energia da tutti i paesi confinanti. Il costo di quell’energia rispetto a quelle concorrenti resta, comunque, prudentemente, conservato nello scrigno dei misteri della ragione di Stato: ai cittadini si deve sempre dire la verità, ma, abbiamo verificato, quanto è inopportuno perde, irreparabilmente, i caratteri di verità, diviene eticamente doveroso, quindi, negarlo, dissimularlo, alterarlo.

La quantità di mais destinata ai bruciatori, secondo la lungimirante convenzione interregionale promossa dal signor Rabboni consisterebbe, dichiara l’articolo di Agricoltura, in 350.000 tonnellate. 3,5 milioni di quintali. Il calcolo tratteggiato da chi scrive in autunno portava a una cifra dieci volte maggiore: non ho alcuna difficoltà a riconoscerla errata in eccesso. Debbo esprimere, peraltro il dubbio che la cifra dell’Assessore non corrisponda all’entità complessiva del mais da distruggere nella Pianura Padana. Ma, fosse anche vera, la cifra proposta da Rabboni pone un problema che un barlume di onestà politica (la dote degradata da Machiavelli a pura dabbenaggine) imporrebbe quantomeno di enunciare: i mais coltivati in Italia, oramai anticaglie genetiche, non solo hanno favorito la proliferazione dell’insetto, non hanno opposto alla siccità alcuna resistenza. Sottraiamo a una produzione carente anche solo 3,5 milioni di quintali: cosa mangeranno, da giugno al prossimo raccolto, in settembre, vacche e maiali di una grande area zootecnica? Quanto dovremo importare per non dover macellare metà degli animali allevati nella Pianura Padana?

Nello spirito dell’integrale informazione dei lettori, che può non coincidere con la filosofia delle energie pulite, ma che reputa elemento chiave di ogni convivenza democratica, questo foglio chiede all’assessore Rabboni quanto mais dovrà importare, quest’anno la patria agricoltura, come può l’Assessore garantire che, siccome a Chicago si vende solo mais o.g.m., quanto importeremo sarà mais esente da manipolazioni al Dna, e se, come pare inevitabile, le importazioni saranno di mais o.g.m, quanti milioni di dollari ci sarà costato non produrre il medesimo mais sui campi della fertile Pianura Padana. Sfidando l’eventualità di essere considerati (con quanti non hanno mai fatto delle massime di Machiavelli regola di vita) impenitenti sognatori, contiamo su una risposta di Tiberio Rabboni.

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Antonio Saltini (Brioni, 1943) è uno storico delle scienze agrarie, divulgatore e docente universitario a Milano. Come scrittore ha prodotto diverse pubblicazioni fra le quali una monumentale Storia delle scienze agrarie sull’agronomia degli ultimi due millenni. Come giornalista ha collaborato a diversi periodici, ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio rurale ed è stato vicedirettore del settimanale Terra e vita.

A PROPOSITO

Caro Salvatore, il mio intervento su Giannella Channel sopra riprodotto ha provocato numerose reazioni del mondo scientifico, anche d’oltreoceano. In molti mi hanno chiesto una versione con il più consueto, per la comunità scientifica, inglese. Per questo ti invio la traduzione dell’articolo fatta dal mio straordinario collaboratore Jeremy Scott, laureato in filosofia e matematica in un prestigioso ateneo e docente di lingua inglese all’università di Padova. Lo sapevo maestro a tradurre in tema di storia della scienza ma il testo che ne è venuto fuori, mi dicono i lettori competenti, è un piccolo capolavoro del più ineffabilmente sarcastico giornalismo politico britannico. (A.S.)

An Italian story

Many politicians in Italy (and perhaps elsewhere) take it as a rule that convenience determines truth: that is true which guarantees consensus, votes and power, whilst something which might be received with scepticism, indifference or even aversion cannot possibly be true. For any true son of Machiavelli, what is true must be useful. Having covered matters relating to agriculture throughout my life, I have often had to ponder upon the notions and ideas put forward by one of the powers-that-be in Italian agriculture – Tiberio Rabboni, the Chairman of the Agricultural Department in the region of Emilia – whose mind has recently been exercised by the increasing damage that the moth Pyrausta nubilalis causes to maize crops. Unfortunately, not only does that creature feed upon the plant’s caryopses, but its droppings provide nutrition for a whole family of microscopic fungi which, in their turn, through catabolism release some of the most virulent natural poisons we know amongst vegetable substances (for example, fumonisins, which can interrupt the transmission of folic acid between pregnant mother and foetus, causing irreparable neurological damage in the new-born infant – a phenomenon which is tragically common in Mexico, where maize tortillas are often eaten in place of bread).

Ethical Journalism, Moths and Microfungal Pathogens

Who can forget the twists and turns in the logic of the comments Tiberio Rabboni published in the March 2007 edition of “Agriculture”, a periodical of which he is, technically, the editor? The piece went under the high-sounding title of “Clean-Fuelled Agricultural Journalism” – though it failed to identify those sources of information which were belching out less desirable emissions – and in it Rabboni dwells upon an interview he had given to the suitably deferential Association of Agricultural Journalists in his own region. The aim of the piece was to demonstrate what objective, reliable and illuminating journalism should look like. And in pursuit of this worthy task, Rabboni illustrated how, together with his illustrious journalistic colleagues, he had tackled the theme of how to protect maize crops from the above-mentioned parasitic moth and the host of pathogens it brought with it. Unfortunately, the premise on which the whole discussion hinged was the claim that “there are no types of maize immune to the action of the moth”, hence the battle against the parasite had to be fought using “traditional agricultural methods”. But everyone knows that there are types of maize immune to attack from such pyralides. The difficulty arises from the fact that they are genetically modified, and thus one has to repress all mention of them; “clean-fuelled agricultural journalism” seems to require that one “doesn’t let the simple farmer know” certain things. After all, the “simple farmer” is not so simple that the following thought might not occur to him: “If such types of maize exist, why don’t you let us grow them?” ​Having made the claim that only traditional means were available to fight the moth, the article then dedicates entire pages to illustrating what such means might be. Fortunately, even in an article written by the chairman of a Regional Agricultural Department there are some shreds of truth, and in outlining this range of agricultural practices, Rabboni admits their scant efficacy. With more than a little linguistic obfuscation, this recognised inefficiency then leads to an apparent acceptance of the use of insecticides. But how can one make such a recommendation in the pages of a periodical which is intended as a hymn to “natural” biological forces? Setting aside the fact that those same “natural forces” can produce poisons more powerful than any concocted in a chemical laboratory – think of cobra venom or amanita toadstools – such heresy is a cause of no little difficulty for the writers of the article.

Hence, with great cunning, they simply neglect to draw up a list of the various anti-parasite preparations that might be used. The fact is that nearly all the insecticides authorised for use on crops which might end up being fed to livestock are, after repeated disappointments, recognised as being ineffective. Hence, the unspoken recommendation seems to be that the farmers in Emilia should get on and “do what they have to”, using prohibited substances where need be. So much for “clean-fuelled agricultural journalism”!

The Grim Consequences of a Torrid Summer

From Machiavelli to Tiberio Rabboni, anyone with his own philosophy of truth must apply that philosophy with a certain coherence. The acid proof of the coherence of the principles outlined in the proclamation of “clean-fuelled agricultural journalism” is to be found in a 2013 article in the same periodical, where Agriculture Department Chairman Rabboni proclaims the joyful news that “the maize affected by the drought can be used to produce energy”. It was an article that had been eagerly awaited by the entire farming community of the Po valley, which – due to the long hot summer of 2012 – had seen infestation by Pyrausta nubilalis reach unprecedented levels: in the maize that was already struggling due to the lack of water, the moths multiplied prodigiously, leading to an equally prodigious proliferation of the pathogens that feed upon their droppings. ​My own contacts with one of the most modern agricultural testing laboratories in the Po Valley had, in November 2012, enabled me to discover that a good 30% of the samples submitted for examination were irreparably contaminated and thus, by law, had to be destroyed. Assuming it to be unlikely that such a mass of maize should simply be destroyed, a straightforward calculation showed that if the figure for this laboratory’s catchment area were repeated throughout the Po Valley, then one would need 100 bulkers – each of a capacity of 80,000 tons – to “cut” the infected maize (and thus lower its pathogen levels); the cost of each such load – given that the United States has tripled the price of maize over just four years – would be around 8 million dollars. ​The truly mysterious thing in the reasoning put forward by Signor Rabboni was that all the maize to be imported from the USA would itself be GMO. Hence, we could have grown it in our own fields – not only avoiding the damage caused by the moth and its attendant parasites, but also producing a quantity of maize much closer to our national needs. Indeed, the most recent GMO maize produced by the American grain industry actually contains genes that make it resistant to drought, so even the effects of the torrid summer would have been obviated. In early August 2012, for example, the world’s press had announced the disastrous effects of the hot summer on productivity levels in the Corn Belt. But then, in the last week of that month, clouds from the Atlantic brought rain to Iowa, Illinois, Indiana and Minnesota, where the new GMO maize had not withered and died but simply closed its stomata (rather like cacti in the Californian desert) in order to block all biological exchange with its surrounding; once the ground became soaked with rainwater, those stomata opened up again and each acre of maize began to produce the quintals of carbohydrates necessary to fill its caryopses. True, there would no longer be the record crop that had been forecast that spring, but the USA would produce enough to satisfy domestic requirements and to supply foreign buyers (that is, those who could afford the new prices). ​The incredible aspect of the whole story was not that we had to buy maize from the USA (Italy has always made up its shortfalls in production through purchases in Chicago). It was that, as a result of the loathing for science shown by the often ignorant (even mendacious) environmentalist lobby, Italy was importing 3-4 times the amount it usually did; was forced to buy GMO maize (none of the maize now cultivated in Iowa and Indiana is the old natural-fecundation hybrids) and pay three times the usual price for the privilege. All this while Italian fields could have produced such maize themselves – in even greater quantities and at no risk of damage from moths and micromycetes.

Ethical Coherence and the Cost of Lies

Once the maize in the Po valley had been harvested, it was established just how much would, by law, have to be destroyed because infected. However, thereafter, the hundreds of thousands of quintals stored in the hoppers of private farms and cooperatives became a sort of state secret; the “cupola” that decides on such matters considered that this was something that did not concern the Italian public, and no journalist should report on the issue. The veil of secrecy thrown over information regarding the contents of these hoppers remained intact right up until April this year (2013). One can only imagine how, during those six months, increasing pressure for some sort of solution had been exerted by all those who were holding stores of maize that were not only unwanted but also illegal (the tests to verify the state of that maize had been carried out, even if the results had been “protected” as a state secret). And thus one has some idea of the relief those self-same people must have felt when, in the April issue of Sig. Rabboni’s magazine, they read the reassuring headline: “The Maize affected by the Drought Will be Used to Produce Energy”. It is a comment that reveals the full versatility of his approach to the facts: when it suits he will deny the existence of maize that is immune to Pyrausta nubilalis, when it suits he will deny the very existence of that pernicious moth. Just look at that expression “Maize affected by the Drought”. The fact is that any such maize would simply have withered caryopses that were low in starch content; nevertheless, it could be fed to any form of livestock without posing a threat to the animals themselves or to anyone who ate their meat. The same, of course, was not true of maize that had been infected with microtoxins. There is the rub: that the Po valley maize was unusable because infected – and that the whole thing could have been avoided by cultivating GMO maize (the same maize Italy was now importing to make good the shortfall in home-gown maize) – was considered a a subject that could “pollute” the happy tranquillity of the Italian public. Lo and behold, the disturbing information could – in line with the spirit informing “clean-fuelled agricultural journalism” – be spun in a totally different manner: the infected maize had become a profitable source of fuel for the generation of electricity. ​In the twentieth century still one of the most fertile regions in the world, the Po Valley has been cannibalised by sprawling development, with some parts even becoming sites for power stations. Whilst the senselessness of such decisions has often been criticised, Sig. Rabboni here stands as the stalwart champion of society’s future well-being, dismissing those who are the “enemies of progress” and eagerly promoting the creation of large plants to convert agricultural produce into electricity. Thus, he could now turn on ignorant and ill-intentioned critics, pointing out how the foresight shown by his region meant that this particular cloud would have a silver lining: in Italy – a nation that is forced to acquire abroad a large part of the power it consumes – the maize “affected by the draught” would become a source of precious electricity. What remains a very well-kept state secret, however, is the cost of this electricity when compared with that from other sources. A nation’s citizens must always be told the truth but, as we have seen, when that truth becomes awkward and inconvenient, it loses its claims to veracity; at that point one has an ethical duty to deny and dissimulate. In line with the far-sighted inter-regional agreement promoted by Sig. Rabboni, the amount of maize destined for the generators was – according to the article in “Agriculture” – 350,000 tonnes; the amount I had calculated in autumn was ten times higher – perhaps I over-estimated, but I doubt that the figure cited in the article really corresponds to the amount of Po valley maize that has to be destroyed. Furthermore, even if it were close to the truth, the figure proposed raises a problem that even those with a glimmer of political honesty must address. An antique in terms of genetic development, the maize cultivated in Italy not only provides favourable conditions for the proliferation of such parasites as the Pyrausta nubilalis, it also shows no resistance to drought conditions. Allowing that the amount to be incinerated is “just” 3.5 million quintals, when we look at our poor overall production we have to ask ourselves: from June to the next harvest (in September) what are we going to feed the pigs and cattle in this major area of livestock production? How much maize will we be obliged to import solely in order to avoid having to slaughter a good half of the livestock raised in the Po Valley? The right to full and complete information may not coincide with the spirit of “clean-fuelled agricultural journalism” but it is definitely an essential component in any true democracy. And it is in pursuit of such complete information that we would like to pose the Chairman of the Regional Agricultural Department a few questions.

How much maize will Italy have to import this year? Given that Chicago now sells only GMO maize, how can Sig. Rabboni guarantee that the DNA of the maize we import will not have undergone manipulation? And if, as seems inevitable, the imports will actually be GMO maize, how many millions of dollars will it have cost us not to produce that self-same maize in the fertile fields of the Po valley? At the risk of appearing to lack clear-sighted – Machiavellian – realism, we not only ask those questions but also expect Tiberio Rabboni to answer them.

Antonio Saltini