La forza del Made in Italy:
un Paese come brand
testo di Veronica Pasini* - introduzione di Salvatore Giannella
Il brand Made in Italy identifica imprese di un’Italia attiva, produttiva, capace di futuro. Un soft power da valorizzare. Tenendo ben a mente la lezione di Franco Modigliani, premio Nobel per l’Economia nel 1985: “Le capacità degli italiani sono uniche. Se avesse un sistema politico, amministrativo, sociale serio, l’Italia sarebbe il primo Paese al mondo. Davanti a tutti. Anche agli Stati Uniti” (cito dal recente volume Il quid imprenditoriale, di Severino Salvemini, ed. Egea: 53 storie di aziende orgogliose, che creano valore, benessere, innovazione, lavoro).
Un sistema capace di bloccare anche quel virus per l’economia legale che si chiama contraffazione, causa di perdite multimiliardarie come denuncia da vent’anni Daniela Mainini la storica presidente del Centro Studi Grande Milano (suo è il libro-progetto educativo Virus Contraffazione). I settori colpiti sono molti, dall’agroalimentare alla moda, dai farmaci ai giocattoli… Per citare solo uno di essi, l’agroalimentare, quello per intenderci delle imitazioni Parmesan & Co. : “Se i prodotti Made in Italy comprati nel mondo fossero davvero tutti di provenienza italiana l’export alimentare passerebbe dagli attuali 50,1 miliardi di euro a quasi 130. Se poi si riuscisse a sostituire anche i prodotti contraffatti si supererebbero i 150 miliardi. In pratica l’export agroalimentare si potrebbe moltiplicare per tre, con vantaggi enormi per i nostri agricoltori, le industrie di trasformazione e l’economia italiana nel suo complesso” (da uno studio di The European House – Ambrosetti, 2022).
Una strategia per favorire la svolta culturale necessaria e valorizzare un patrimonio calcolato in oltre 135 miliardi di euro a favore della quasi totalità delle imprese italiane è al centro della ricerca di Veronica Pasini, dottoranda iscritta al progetto Storytelling dell’Università di Bologna con Ugis (Unione giornalisti scientifici italiani). Qui di seguito il suo report. (s.g.)
Parola chiave: digitalizzare. Un’attenzione particolare merita il contesto prettamente italiano, in cui le Piccole Medie Imprese (PMI) rappresentano il 41% del fatturato nazionale caratterizzando questo settore, il quale è in grado di muovere più di 135 miliardi di euro nel mondo: secondo un’analisi di Confindustria del 2021, digitalizzare questo comparto significa contribuire in maniera significativa allo sviluppo economico dell’intero sistema Paese.
Da anni il settore del Made in Italy è alle prese con la svolta 4.0, la sfida dell’intelligenza artificiale e dei big data e, ora, di transizione ecologica, per vincere quella che viene considerata la più grande crisi climatica di tutti i tempi. Ne spingono il processo anche gli sfidanti obiettivi europei da raggiungere in tema ambientale e i rincari dei costi dell’energia causati, in primis, dalla guerra scatenata dalla Russia all’Ucraina. Sarebbe così necessario cercare di creare insieme una vera e propria catena del valore: Made in Italy non solo come concetto, ma anche come approccio culturale e progettuale. Perché non trasformarlo in un vero e proprio modello di consumo sostenibile?
In questa ottica si muovono diverse start up, società e aziende che negli ultimi anni si occupano di supportare le aziende in questo match tra brand e fornitori, come Wastly, Cyrkl e Sfridoo, famose a livello europeo per collegare tra loro le industrie trasformando materie di scarto in materie prime seconde, offrendo anche servizi di consulenza, alcuni in ottica di misurazione degli impatti ambientali aziendali e dei singoli prodotti.
Piattaforma ponte tra imprese. La creazione di una piattaforma ponte tra le varie imprese e PMI, partendo da quelle del Made in Italy, può concedere l’opportunità di creare un vero e proprio network in modo da generare un circolo virtuoso, che possa anche aumentare il valore intrinseco del marchio, sin dalle radici dei suoi prodotti.
Gli attori su cui si focalizzerà questa piattaforma sono però i fornitori, spesso le piccole o medie imprese appena citate. Essi possono essere considerati elementi di collegamento tra le varie filiere interessate creando, quindi, una rete di interazioni e scambi di materiali e di risorse. Così facendo, è possibile non solo ottimizzare i cicli di lavorazione e produzione, ma anche proporre attivamente partnerships o soluzioni valide per il reinvestimento dei materiali di scarto e dei sottoprodotti, mettendo gli attori anche in contatto con le amministrazioni pubbliche, e mantenendo, così, sempre alto il livello di aggiornamento di quelli che sono i criteri ambientali necessari per aiutare l’eco progettazione. In particolare, questa piattaforma ha lo scopo di abilitare tutti gli stakeholders [i soggetti, individui od organizzazioni, attivamente coinvolti in un’iniziativa economica, Ndr] e guidarli verso l’innovazione, durante questo momento di transizione, verde e tecnologica.
Per fare ciò e creare un circolo virtuoso fin dalle radici, è necessario formare i settori coinvolti, in modo da lavorare sulla transizione di questo processo e non sul risultato finale. Per abbracciare in maniera graduale questa evoluzione verso l’innovazione, è necessario agire con un modello design driven, in modo tale da mediare e, di conseguenza, abilitare gli attori verso la progettazione di un business circolare.
Tre filiere. Non si tratterà solo di un “marketplace” di risorse che mette in comunicazione tra loro domanda e offerta, facilitando i rapporti tra aziende e PMI, ma si spingerà verso un coordinamento in maniera più trasversale attraverso tre filiere di riferimento del settore, arredo, moda e automazione, le cui materie prime sono spesso comuni. Per guidare le aziende durante questo percorso di transizione, da semplici accortezze operate a vere e proprie realtà green, si promuovono iniziative di formazione che permettano agli operatori di imparare come progettare in ottica di sostenibilità e in maniera più consapevole. Sarà anche possibile avere accesso a pacchetti ready-made in grado di proporre azioni e iniziative ad hoc in modo da ottimizzare e agevolare i loro movimenti all’interno delle differenti filiere.
Altro aspetto fondamentale è quello di tenere monitorati i rifiuti facilitandone la gestione, cercando di unire quelle che sono le esigenze dei vari attori e quelle legislative, rimanendo aggiornati in ambito normativo, anche grazie a un copioso e costante scambio di informazioni con partnerships a livello amministrativo.
Come si evince dalla necessità di controllare i vari flussi di materiali, tutte le nuove azioni, in ottica di quello che dovrà essere il miglioramento alla tendenza a ”impatto zero”, richiedono uno strumento per valutare, o, ancora meglio, misurare e quantificare l’evoluzione. Uno degli strumenti a oggi più conosciuto e utilizzato è l’analisi LCA (Life Cycle Assesment Analysis), un approccio molto utile in ambito ingegneristico, ma il cui risultato dipende per lo più dai fattori presi in considerazione per la valutazione stessa, infatti spesso è basato sul prodotto specifico. Con la piattaforma protagonista di questo progetto si vorrebbero supportare le aziende a concentrarsi su tutto il processo e non solo sul singolo pezzo prodotto, tenendo in considerazione per la valutazione anche dati di tipo qualitativo, ad esempio in ambito sociale ed economico.
Un poker di benefici. Il progetto mira dunque alla creazione di un dialogo tra le diverse filiere del Made in Italy, durante il percorso di trasformazione in imprese sostenibili. In conclusione, rafforzando comunicazione e progettazione, grazie a servizi di formazione prima citati e agevolando i rapporti tra le PMI e le amministrazioni relative, ci si aspetta che gli attori traggano i seguenti benefici da questa piattaforma:
- Incentivare le competenze trasversali dei vari attori, rendendoli sempre più partecipi in questi “spostamenti” da una filiera all’altra, ottimizzando progressivamente i processi e riducendo i costi in termini di rifiuti e sottoprodotti, allungando, inoltre, la vita degli stessi.
- Promuovere il ruolo dei fornitori come “prosumer”, consumatori consapevoli e partecipanti attivi nella ricerca di soluzioni innovative, responsabili, inclusive, rendendo più solida la catena del valore del prodotto finale.
- Favorire lo scambio tra imprese e amministrazioni, agevolando interventi più mirati ed efficaci in termini di innovazione.
- Facilitare l’inserimento all’interno di questo processo di figure competenti che potranno supportare in maniera mirata i singoli casi, rendendolo, quindi, sempre più efficiente. ()
Prossimamente: Questo articolo è il terzo della serie dedicata a dottorandi del progetto Storytelling dell’Università di Bologna in collaborazione con Ugis (Unione giornalisti italiani scientifici). Più info a corredo del primo intervento, di Gregorio Pisaneschi (“Homo sapiens faber: imparare oggi riscoprendo l’arte del fare per un Rinascimento artigianale“): lo trovate cliccando sul nome. Come anche il secondo, di Maila Cicero (“E un giorno una falena mi rimproverò”. Intervista immaginaria (ma non troppo) a uno degli insetti più misteriosi).
Gli altri due in arrivo sono: “Si scrive Green Bond, si legge Verde speranza” (di Amia Santini); e “L’Europa ci chiama a progettare esperienze di intelligenza ibrida” (di Virginia Vignali).