"E un giorno una falena mi rimproverò".
Intervista immaginaria (ma non troppo)
a uno degli insetti più misteriosi
testo di Maila Cicero* - introduzione di Salvatore Giannella
Negli anni Novanta, durante la mia direzione del mensile di natura e civiltà Airone, il grande scrittore Primo Levi riservava ai lettori le sorprendenti interviste agli animali nella sua rubrica dal titolo Lo zoo immaginario. Quello che segue è il dialogo che Maila Cicero, dottoranda dell’Università di Bologna e frequentatrice del progetto “Storytelling” di Alma Mater con UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici), ha immaginato con una falena, essere vivente al centro dei suoi studi. Vuole essere un omaggio a quell’indimenticabile chimico e narratore di favole, capace di combinare chimicamente al meglio memorie dell’Olocausto e impegno per la pace, la poesia, il rigore scientifico, la letteratura e la scienza. (s.g.)
Falena: Se proprio deve.
Cercavo le lucciole. Sono tornata apposta, qui, dove sono nata, perché ricordo che da bambina, in quelle serate terse di inizio estate, passavo ore e ore a correre dietro alle lucciole. Non sa che divertimento. Mi piacerebbe davvero tanto, riprovare quella sensazione.
Credo stia perdendo tempo. Ormai non se ne vedono più.
Pensavo fossero sparite solo in città. Nemmeno qui, sull’Appennino lucchese, ci sono più?
Pochissime e rarissime.
Mi scusi, ma non capisco, dove sono andate?
Vede, le cose stanno cambiando e molto in fretta. Una volta, qui, a Bagni di Lucca, in mezzo alle montagne, la gente viveva in modo semplice. Una bella casa, un pezzo di terra, un lavoro giù alla cartiera per tirare avanti e sbarcare il lunario. E tutto intorno la bellezza del paesaggio, a fare da cornice. La vegetazione correva folta nella Valle del torrente Lima e l’habitat naturale di queste zone era integro e continuo.
Sì, me lo ricordo. Mio nonno mi portava spesso a funghi, nei boschi.
Ecco, dicevo proprio questo. La vita scorreva lentamente, nella sua semplicità. Poi, di punto in bianco, avete iniziato a fare questa cosa strana di costruire un sacco di case, una di fianco all’altra. Avete iniziato a rubare spazio al bosco, tagliando alberi e popolando la Valle di tante luci gialle, che si sono sostituite alle lucciole.
Lei parla di inquinamento luminoso. E’ il motivo per cui non si vedono neppure le stelle in città.
Oh, si. Ci sono un sacco di cose che vi state perdendo, senza accorgervene.
Tipo?
Tipo le falene, come me.
Cosa sta succedendo alle falene?
Stiamo scomparendo. Ma visto che non siamo belle come un orso polare o la tigre del Bengala, nessuno si preoccupa di noi. Ha mai visto un annuncio che dicesse “Adotta una falena?”
No, non mi pare.
E’ così. La maggior parte delle persone non sa nemmeno che esistiamo. Eppure, nel gruppo a cui appartengo io, i Nottuidi, siamo più di 35 mila specie differenti. All’interno dell’ordine dei Lepidotteri siamo la famiglia con più rappresentati.
Siete davvero tanti!
Ci può scommettere. Negli anni ’80, hanno provato a contarci, qui a Bagni di Lucca. Sa quante specie hanno trovato? Solo qui?
No, mi dica.
Duecentosessantuno.
Impressionante. Non sono una specialista, ma mi sembra davvero un numero consistente.
Lo è. In gergo direste che questa Valle è un hotspot di biodiversità, che vuol dire semplicemente che la vita prolifera nelle sue forme più disparate, differenziandosi e dando prova di quanto può essere complessa e articolata.
Sono affascinato. Non lo sapevo. In effetti sapevo davvero poco, ahimè, di falene. Posso farle una domanda? Forse è un po’ inopportuna..
Lei è una bischera. Ma prego, prego, domandi.
Qual è lo scopo ecologico delle falene? Perché sono così importanti?
[Ride] Questa cosa è molto umana. Chiedersi sempre il senso e lo scopo di tutto. Potrei risponderle semplicemente: che senso ha l’elefante nella savana? Ma voglio provare a spiegarle come in realtà siamo tutti collegati. Esiste un filo di connessione tra tutti gli esseri viventi e ha a che fare con lo scambio di energia.
Lei si ricorda qualcosa di fisica?
L’ho studiata molto tempo fa, ma mi ricordo il principio reso popolare da Lavoisier per cui niente si crea o si distrugge ma tutto si trasforma.
Esatto. Volendo semplificare enormemente: provi a immaginare un flusso di energia costante, che viene continuamente processato da tutti gli esseri viventi, e viene rimesso in circolo, e quindi a disposizione, di nuovi organismi, senza una fine.
Negli animali questo flusso di energia è all’interno della rete trofica, ovvero all’interno di quello che mangiano.
Mi corregga se sbaglio: l’energia che gli animali estraggono dall’ambiente sottoforma di cibo per se stessi, viene rimessa in circolo dagli animali stessi, come altro cibo?
Esattamente. Tenendo a mente quindi questo principio fondamentale, proviamo ad aggiungere un altro tassello: come le avranno spiegato esistono prede e predatori, giusto? L’energia quindi viaggia lungo questa piramide, che vede i produttori primari, ovvero le piante, alla base e i predatori al vertice, mi segue?
Sì, mi ricordo.
Ecco. Noi falene siamo alla base della catena alimentare. Il che vuol dire che all’interno dell’ecosistema veniamo predati da numerosi altri animali, come pipistrelli o uccelli notturni.
Costituiamo una buona percentuale della loro dieta.
Quindi, con meno falene in giro..
Lo ha capito vero? Il danno non sarebbe solo per la nostra comunità, ma anche per l’intero ecosistema e pian piano entrerebbero in crisi molte altre specie, fino ad arrivare al vertice della piramide.
Ma il problema è l’urbanizzazione?
Le cause che concorrono a questo fenomeno sono molteplici.
Mi ha detto la perdita di habitat, poi?
L’uso sproporzionato di pesticidi che fa declinare la biodiversità faunistica nel territorio. E il caldo. Non sente che caldo fa? Il cambiamento climatico sta prosciugando i fiumi dove ci abbeveriamo, facendo morire tutte le piante di cui ci nutriamo e cambiando completamente i nostri cicli biologici.
Noi siamo esseri semplici, dalla vita breve. Gli effetti che questi cambiamenti hanno sull’ambiente si ripercuotono sulle nostre vite in maniera molto più incisiva rispetto a come farebbero sulla vita di altri animali.
Se muoiono tutti i bruchi perché non ci sono più piante nutrici a causa del clima arido, quell’anno lì nessuna falena adulta si riprodurrà e l’anno dopo non ci saranno uova pronte per la schiusa e nessun bruco. Nel giro di un solo anno, potrebbero scomparire intere specie. Per sempre.
Per questo venite usati anche come bioindicatori?
Esatto. Siamo così sensibili a tutto quello che succede intorno a noi, che gli scienziati ci utilizzano per misurare i danni che queste alterazioni climatiche stanno facendo e mi creda, possono essere irreversibili.
Lo capisco. Cavolo, cercavo le lucciole e invece ho trovato delle falene, da salvare.
Si impegni. Lo faccia per tutti quei piccoli animali dimenticati che non hanno voce. La cosa più importante è che su di noi cambi la percezione dell’opinione pubblica.
Senza dubbio.
Prossimamente: questo articolo è il secondo della serie dedicata a dottorande/i del progetto Storytelling dell’Università di Bologna in collaborazione con UGIS. Il primo, di Gregorio Pisaneschi (“Homo sapiens faber: imparare oggi riscoprendo l’arte del fare per un Rinascimento artigianale”) lo trovate cliccando sul nome. Gli altri tre in arrivo sono: “Si scrive Green Bond, si legge Verde speranza (di Amia Santini); “L’Europa ci chiama a progettare esperienze di intelligenza simbiotica (di Virginia Vignali); “La forza del Made in Italy: un Paese come brand” (di Veronica Pasini).