HOMO SAPIENS FABER: IMPARARE OGGI RISCOPRENDO L'ARTE DEL FARE PER UN NUOVO RINASCIMENTO ARTIGIANALE

testo di Gregorio Pisaneschi* - introduzione di Salvatore Giannella

Per due anni ho illuminato lo scenario auspicabile di un Rinascimento artigianale in Italia  grazie alle interviste pubbliche da me condotte ad Anghiari (Arezzo) con l’imprenditore del cashmere Brunello Cucinelli e il presidente onorario di Valcucine, Gabriele Centazzo. E ho ammirato, in una visita ben guidata, la mostra “U.Mano” proposta dalla Fondazione Golinelli a Bologna, curata da Andrea Zanotti.

La mano, ci ricordava quella suggestiva esposizione,  è l’elemento di raccordo  tra la dimensione del fare e quello del pensare: quindi, fortemente rappresentativa della prospettiva d’azione della Fondazione felsinea per recuparare il segno di un legame oggi in declino: quello tra arte s scienza (tema anche della giornata del Premio Piazzano per il giornalismo scientifico, novembre 2023: premio piazzano.com); un legame che proprio nella cultura italiana ha raggiunto il suo culmine. E l’Opificio Golinelli, collegato alla Fondazione, è metafora perfetta di questa unione tra azione e mente, tra arte e pensiero. E’ un luogo dove giovani e giovanissimi sono educati a superare la tradizionale dicotomia tra teoria e pratica. All’innovazione nascosta nelle mani degli studenti per valorizzare la conoscenza attraverso percorsi creativi e nuove tecnologie è dedicata la ricerca di Gregorio Pisaneschi, uno dei dottorandi dell’Università di Bologna partecipanti al Laboratorio UniboPer/Phd Storytelling 2023, condotto per il secondo anno da docenti dell’ateneo con giornalisti dell’UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici: con me hanno operato  Giovanni Caprara, presidente UGIS;  Nadia Grillo, vicepresidente e i soci Cristina Belloni ed Emilio Vitaliano). Un progetto innovativo che mira a sensibilizzare dottorande e dottorandi dell’ateneo più antico del mondo (la sua fondazione viene fatta risalire al 1088) sull’importanza di comunicare in maniera semplice ed efficace le loro ricerche.  Cedo la parola a Pisaneschi e all’esperienza  nell’ Almalabor, officina di prototipazione dell’Università di Bologna. Un laboratorio ben attrezzato, con stampanti 3D, taglio laser, materiale elettronico e falegnameria dove con il supporto di tecnici specializzati in prototipazione, i ragazzi hanno tutto quello che serve per lavorare e mettersi in gioco. Imparare a condividere uno spazio, a gestire risorse limitate e diventare consapevoli dei propri limiti e delle proprie possibilità. . (s.g.)

Ogni anno, più di cento studenti del corso di Macchine Automatiche nel modulo che tengo, affrontano una scelta decisiva: sviluppare un progetto teorico o lanciarsi in una avventura immersiva nei laboratori dell’Università di Bologna, ovvero, la Mechatronic Almalabor Prototyping (MAP). Indipendentemente dalla scelta, tutti seguono lezioni aggiuntive su prototipazione, stampa 3D e materiali intelligenti. Sono inoltre stimolati a sviluppare competenze più trasversali, come organizzare il lavoro di gruppo, gestire le tempistiche o dividersi i compiti. Gli studenti che scelgono di partecipare a MAP, divisi in gruppi, propongono un’idea innovativa e sviluppano un progetto, per poi costruire in una settimana un prototipo funzionale.

Cosa succede quando mettiamo l’innovazione nelle mani dei nostri studenti?

Ogni anno, almeno un gruppo si candida allo Startup Day dell’Università di Bologna e risulta essere tra i migliori 30 progetti di impresa dell’ateneo selezionati. Alcuni, come il gruppo miniautomation, continua il suo percorso verso lo sviluppo di un’impresa.

Ma come nasce l’idea di MAP?

Nasce da un interesse personale nei confronti della didattica e da due incontri che sono diventati il seme di questa avventura.

Il primo, da studente, è con il professor Andrea Zucchelli nel suo corso di Costruzione di Macchine Automatiche e Robot (CMAR). Qui come studenti siamo sfidati a sviluppare una soluzione innovativa per un caso studio di un’azienda del territorio. È un’opportunità unica per chi sta per laurearsi. Però, quello che è più stimolante, è l’ambiente che si crea in classe e la sinergia tra gli studenti e le aziende. A favorire ciò è senza dubbio l’esperienza creata dal professore durante il corso: tutti ricordiamo le lezioni coinvolgenti, le revisioni a notte inoltrata, la cena natalizia e il giorno della presentazione dei progetti di fronte a colleghi, aziende e docenti. Ed è quell’esperienza che mi motiva a voler ricreare la medesima atmosfera nelle mie lezioni.

Il secondo incontro, da ricercatore, è alla presentazione di un hackathon [un evento in cui persone diverse si riuniscono per risolvere problemi, una sorta di maratona creativa, Ndr.] organizzato dalla dottoranda Maria Cecilia Flores in Almalabor con l’aiuto di Learning by Helping, un laboratorio spagnolo di innovazione. Durante questa esperienza studenti da tutto l’ateneo sono motivati a sviluppare nuove idee di impresa e progetti con impatto sociale. Dalla concezione, alla progettazione, alla prototipazione. Sperimentando e collaborando. Imparando dai propri errori e da quelli degli altri. Ed è così che scopro un metodo alternativo al “far imparare”: imparare attraverso il fare (learning by doing).

Dove succedono queste cose?

In luoghi come Almalabor, l’officina di prototipazione dell’Università di Bologna. Un laboratorio ben attrezzato, con stampanti 3D, taglio laser, materiale elettronico e falegnameria. Qui, con il supporto di tecnici specializzati in prototipazione, i ragazzi hanno tutto quello che serve per lavorare e mettersi in gioco. Imparano a condividere uno spazio, a gestire risorse limitate e diventano consapevoli dei propri limiti e delle proprie possibilità.

Chi vuole trovare una continuità con la nostra tradizione li definisce botteghe digitali e parla di “rinascimento manifatturiero”. Ma rispetto alle botteghe artigianali, ove la conoscenza veniva tramandata verticalmente dai maestri agli allievi, in questi spazi il trasferimento di conoscenza è orizzontale. L’apprendimento è informale, in rete, condiviso, motivato dal divertimento, dall’autorealizzazione e dalla passione per l’open source. Sono i laboratori di fabbricazione del terzo millennio, i Fab Lab (fabrication laboratory). Hanno come fondamento la compartecipazione e la creazione di una comunità: il “fai-da-te” diventa “facciamo-insieme”.

I primi laboratori nascono agli inizi del 2000 da un’idea fiorita nel Center for Bits and Atoms del MIT di Boston. Oggi sono migliaia in tutto il mondo. È una comunità di artigiani, artisti, ricercatori, educatori, studenti, amatori e professionisti. I Fab Lab condividono l’obiettivo di democratizzare l’accesso alla conoscenza e agli strumenti per favorire la fabbricazione di invenzioni tecniche.

Curiosità: negli stessi anni nasce in Italia l’Interaction Design Institute di Ivrea (IDII) come iniziativa congiunta di Olivetti e Telecom Italia. Similmente ai Fab Lab, l’IDII è un luogo dove studenti delle aree umanistiche e scientifiche sono liberi di sperimentare, scambiare conoscenze e competenze. Ed è proprio uno degli studenti a sviluppare uno strumento per aiutare i colleghi nella prototipazione rapida di dispositivi digitali. Pochi anni dopo, dagli sviluppi di questo progetto, nasce Arduino (Arduino – la genesi), un’azienda di hardware e software open source, e una comunità di utenti che da tutto il mondo crea nuovi prototipi e condivide progetti innovativi.

Chi è lo studente o la studentessa che sceglie di partecipare a MAP?

È un bambino che insieme col nonno lavora il legno, smonta circuiti elettrici, che insieme agli amici mette in piedi una palestra improvvisata durante la pandemia. O uno studente che stimolato dal professore delle scuole superiori realizza progetti con Arduino, traendo ispirazione da internet. O ancora, è un ragazzo che scopre a teatro la bellezza di fare gruppo ed essere creativo.

Potremmo chiamarlo artigiano digitale o maker o molto più semplicemente amante del fai-da-te. È l’homo faber. È un ragazzo che prova piacere nel costruire oggetti con le proprie mani, con la propria inventiva e la propria tecnica. Fa quello che gli artigiani fanno da secoli, con passione e curiosità, ma con il supporto delle nuove tecnologie.

In conclusione potremmo dire che lo spazio e il tempo sono un elemento chiave: ai ragazzi hanno dedicato tempo nonni, professori, colleghi ed essi stessi hanno deciso di dedicare tempo. La maggior parte ha visto in MAP un’occasione per valorizzarsi, fare nuove esperienze e condividerle con altri.

E cosa dicono di MAP i ragazzi che hanno partecipato?

Ci ha permesso di uscire dal solito ambito accademico di formule e teoremi, e approfondire strumenti o capacità che possono essere utili e che non è detto che avremmo visto al di fuori di questo corso” (Arianna).

Sono molto grata per l’incredibile esperienza che ho avuto la possibilità di fare. È stato molto importante per il mio percorso accademico e il mio futuro percorso professionale. Ho imparato molte cose”. (Marilyn)

I ragazzi della seconda edizione, Mirco e Marilyn, proseguono il lavoro avviato durante MAP su un esoscheletro assistenziale per mano: una collaborazione con la clinica di Montecatone, presso Imola. A destra: Luigi, Luca e Lorenzo con il loro progetto di antenna modulabile ad attuazione con leghe metalliche a memoria di forma.

Gregorio Pisaneschi (Arezzo, 1986) nasce una domenica. L’ozio ha sempre fatto parte della sua vita, come la curiosità e la voglia di esplorare. Amante delle montagne aguzze e ascetiche. Studente distratto e poco eccellente, riscopre la fatica e la bellezza di lavorare la terra nell’azienda agricola di famiglia. Torna a studiare e si laurea con lode in Ingegneria meccanica. Dopo sei anni di ricerca precaria inizia un dottorato sui materiali intelligenti nel laboratorio di Advance Material & Design. Appassionato cuciniere, non ha mai rinunciato alle attività di condivisione, dalla cucina del dipartimento, alle aule e i laboratori. Oggi, all’università di Bologna, stimolato da colleghi e studenti, sperimenta e ricerca una didattica innovativa.

Contatti: gregoriopisaneschi@gmail.com

Prossimamente altre ricerche curate dai dottorandi/e dell’Università di Bologna.:Si scrive Green Bond, si legge Verde speranza (di Amia Santini);  L’Europa ci chiama a progettare esperienza di intelligenza simbiotica” (di Virginia Vignali); “La forza del Made in Italy: un Paese come brand” (di Veronica Pasini); “Il giorno in cui una falena mi ha rimproverato” (di Maila Cicero).

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