Palermo. Insipienza politica, programmazione lenta, mancanza di tecnici mista a errori burocratici, e 22 milioni di euro di fondi comunitari, su 55 milioni, destinati a musei e siti archeologici siciliani, prendono la via di ritorno verso Bruxelles.
E ciò nonostante l’assistenza tecnica di Invitalia, agenzia nazionale (partecipata per il 100% dal Ministero dell’Economia) per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa (rea secondo alcuni dirigenti regionali, di aver approntato, a sua volta, progetti scadenti) e malgrado il nuovo modello organizzativo, predisposto dall’allora ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Che, tagliando organismi intermedi, ha assegnato al Mibact il ruolo di amministrazione proponente e Autorità di gestione dei fondi Poin (Programma operativo interregionale)-Attrattori culturali naturali e turismo, destinati al miglioramento delle condizioni di offerta e fruizione del patrimonio. Soldi che erano rimasti già bloccati, infatti, dal 2008 a causa di lentezze burocratiche e procedurali.
Insieme al Poin, inoltre, era stato finanziato anche il Pac (Piano azione coesione)-Valorizzazione delle aree di attrazione culturale, che prevede progetti in coerenza con gli ambiti d’intervento del programma operativo.
Si volatilizzano così i progetti per «la riqualificazione di parchi d’immenso valore come quello della Neapolis di Siracusa, oppure per ammodernare e valorizzare aree archeologiche da Ispica a Ragusa», ha dichiarato Mariarita Sgarlata, assessore regionale ai Beni culturali all’epoca dell’accordo operativo siglato, nel marzo 2014, tra il Mibact e l’Assessorato.
Risorse per le quali era stata disegnata una geografia della programmazione che aveva riunito musei, siti archeologici e monumentali in «poli museali» in realtà solo virtuali, quelli di Palermo, Trapani, Siracusa e Ragusa, oltre al Parco archeologico della Valle dei Templi, perché infatti, per fare il solo esempio di Siracusa, la Galleria di Palazzo Bellomo, il Museo Orsi, l’Anfiteatro, Castello Maniace e la Neapolis sono enti a sé stanti, che non fanno affatto rete.
LE RAGIONI DEL FALLIMENTO
Le ragioni del fallimento sono plurime.
Primo: lentezza esasperante nella programmazione. La rendicontazione della spesa nel 2013 era molto bassa perché i cantieri non erano nemmeno partiti, sebbene l’agenda europea dettasse la chiusura entro il 2015. E le responsabilità non sono solo di ordine tecnico-amministrativo. La discontinuità politica, con vertiginoso ricambio di assessori, ha determinato continue interruzioni e riprese della pianificazione.
Secondo: mancanza di coordinamento tra Assessorati (Infrastrutture, Beni culturali e Turismo), per cui si restaura un monumento e poi lo si abbandona al proprio destino, non creando una rete di infrastrutture, a partire dalla sua accessibilità, o costruendogli intorno una campagna pubblicitaria di richiamo per i turisti.
Terzo: le rotazioni dei dirigenti regionali, con cadenza biennale, hanno determinato una vera e propria diaspora dei Rup, Responsabili unici del procedimento, che si sommano alla oggettiva carenza di personale tecnico in grado di sviluppare progetti esecutivi, cantierabili (ingegneri strutturisti, impiantisti, esperti di sistemi di sorveglianza, ecc.). Negli uffici, poi, non ci sono connessioni internet veloci, programmi di calcolo aggiornati, per non dire delle linee telefoniche tagliate o la mancanza di toner, carta…
Ma è lo stesso concept progettuale spesso inadeguato. Può essere intesa come valorizzazione il rifacimento dei tetti del Museo Pepoli di Trapani? O l’impianto di climatizzazione, pur necessario, per la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis? Mentre nel cassetto rimane il sogno del Grande Abatellis, per cui era stata proposta l’espropriazione dell’attiguo ex convento della Pietà (a cui apparteneva anche l’ala nuova del Settecento recentemente restaurata con i fondi Por 2000-2006) per ampliare il museo.
I risultati poco contano, evidentemente, e l’Europa «premia», comunque, la Sicilia. La Commissione europea ha adottato, infatti, lo scorso 18 agosto i programmi operativi 2014-2020 della Regione (insieme a quelli di Basilicata e Veneto nell’ambito del Programma Horizon 2020), che beneficerà di 4,55 miliardi complessivi di cui 3,41 miliardi del Fesr.
Oltre diecimila le Pmi (Piccole e medie imprese) che godranno di un sostegno che permetta loro di crescere sui mercati nazionali e internazionali. Si punta a rafforzare ricerca e innovazione, a dare un forte impulso allo sviluppo della banda larga: l’intera popolazione verrà coperta da connessione a 30 Mbps e il 50% da connessione a 100 Mbps. Un’importante percentuale dei fondi servirà a migliorare l’ambiente e a promuovere l’efficienza energetica.
Ai fondi di Horizon bisogna, poi, aggiungere quelli di cui la Sicilia beneficia insieme a quattro altre regioni del Sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) per un totale di 490,9 milioni di euro, grazie al programma operativo «Cultura e Sviluppo» 2014-2020, cofinanziato dai fondi europei (Fesr) per 368,2 milioni, pari al 75%, e per il restante da quelli nazionali. Obiettivo: la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore.
Anche in questo caso la gestione fa capo al Ministero. •
A PROPOSITO
IL FOLLE NUMERO DEI MANAGER
DELLA REGIONE SICILIANA
(E POI CI SI MERAVIGLIA
DEI FONDI UE NON UTILIZZATI…)
Nelle stesse ore in cui apprendo dei fondi dell’Unione Europea inutilizzati dalla Sicilia, leggo sul Corriere della Sera (15 settembre, pag. 31) un editoriale di Sergio Rizzo che, in tre capoversi, spiega più di tanti convegni sugli euro che a Palermo (ma il discorso riguarda purtroppo tutto il Sud e gran parte dell’Italia) non riescono a intercettare da Bruxelles. Ve lo ripropongo.
“Non sappiamo che cosa faccia più impressione: se il numero dei dirigenti del dipartimento Beni culturali della Regione siciliana pagati oggi per far niente, pari a 31, oppure il fatto che un plotone così nutrito di sfortunati manager senza incarico non rappresenti che l’11% del totale dei dirigenti di quel dipartimento. I quali sono, uno più uno meno, 280. Dal che si deduce che un solo dipartimento della Regione siciliana ha più dirigenti di quelli dell’intera Regione Lombardia (225) e della Regione Marche (58) sommati insieme.
Ma questo rapporto dà anche la dimensione della follia che ha caratterizzato per decenni la spesa pubblica in Sicilia. E con cui i contribuenti non soltanto isolani devono fare i conti. Antonio Fraschilla ha raccontato su Repubblica che il giro di vite agli uffici regionali ha avuto come conseguenza il fatto di privare della funzione ben 76 dirigenti in tutti i dipartimenti, quanti sono tutti quelli della Regione Umbria. Privati della funzione significa destinati a incarichi di studi e ricerche ma non, beninteso, privati dello stipendio. Che continua a correre indisturbato.
Il bello è, ricorda Fraschilla, che mentre il dipartimento dei Beni culturali non ha il becco di un quattrino per mandare avanti i musei siciliani, non può fare a meno di retribuire i dirigenti senza incarico. Per una semplice quanto oggi anacronistica regola, e cioè che a differenza di quelli privati i dirigenti pubblici non si licenziano mai. Del resto, 76 manager costretti a girarsi i pollici sono appena il 4,2% dei 1.818 dirigenti della Regione siciliana censiti a fine 2013 (numero peraltro non troppo distante da quello dei 2.152 dirigenti di tutte le 15 Regioni italiane a statuto ordinario). E fra i quali, come segnalò il sito Internet LiveSicilia, ce n’erano pure alcuni che avevano un incarico specialissimo: dirigevano se stessi. Come l’unico dipendente del Parco archeologico di Pantelleria, il suo collega del Parco archeologico di Morgantina, e il responsabile di una periferica ‘Sezione operativa di assistenza tecnica’ dell’assessorato all’Agricoltura”.
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