C’erano professionisti di tutti i generi (questori e magistrati, politici e musicisti, semplici cittadini e bravi giornalisti d’inchiesta come Fabrizio Gatti e Paolo Biondani) alla presentazione del godibilissimo libro di Ennio Di Francesco “Il Vate e lo sbirro” (edito da Solfanelli, Pescara). Chissà se tra loro c’era anche in missione “coperta” un produttore capace di appassionarsi e portare nel piccolo schermo della tv o sul grande schermo del cinema la storia vera che, già nel sottotitolo, ti avvince: “L’indagine segreta del commissario di polizia Giuseppe Dosi sul ‘volo dell’arcangelo’ Gabriele D’Annunzio”. E magari anche la storia dell’autore che, da quando lo conobbi anni fa, chiamo “Un Commissario con il futuro alle spalle”, per le sue preveggenti intuizioni professionali e sociali.
Venerdì 22 giugno nella bellissima Sala del Grechetto, in Palazzo Sormani a Milano, ad affiancare l’autore, già noto ai lettori di Giannella Channel e che Luciano Canfora definisce “benemerito difensore della legalità talvolta con proprio danno”, si sono alternati il Questore del capoluogo lombardo Marcello Cardona; Laura Bertolè-Viale (avvocato generale ella Repubblica presso la Corte d’appello di Milano, mezzo secolo da magistrato nella Milano degli anni di piombo, memorabile il suo motto operativo: “Possiamo sbagliarci, mai piegarci”) e Antonio Amato (presidente dell’Unione Nazionale Mutilati per Servizio, sezione Lombardia) per tratteggiare una storia vera con protagonista un commissario di polizia, romagnolo di Lugo d’origine, ma romano d’adozione, estroverso, colto, un po’ geniale e un po’ artista, capace (pur di raggiungere la verità) di travestirsi anche da donna piacente e di sopportare l’imbarazzo di qualche corteggiatore. Insomma, un detective-reporter, specialista nel combinare la scienza con l’arte dell’investigazione, che non ha nulla da invidiare ai tanti commissari Montalbano, Schiavone, Ricciardi che oggi affollano la platea televisiva.
Pilastro del racconto il rapporto, sinora sconosciuto, redatto dal commissario Dosi il 4 ottobre del 1922 in merito alla caduta rovinosa di D’Annunzio dalla finestra della sua villa di Cargnacco, oggi Vittoriale, avvenuta la sera del 13 agosto 1922.
In quell’estate la marcia su Roma era nell’aria. Cedo la parola, per illuminare lo scenario della vicenda narrata nel libro, allo storico Luciano Canfora, autore con il capo della polizia Franco Gabrielli, di una rigorosa presentazione:
“Benito Mussolini capeggiava un piccolo ma rumoroso partito, dotato di un’esigua rappresentanza parlamentare, ma che puntava in tempi rapidi a realizzare l’ascesa al potere. Perlomeno a partire dall’occupazione delle fabbriche nell’estate del 1920, era in atto in Italia una guerra civile nel corso della quale il movimento fascista cercava di imporre la propria presenza in antitesi al rivoluzionarismo socialista, ponendosi al servizio delle forze economiche, politiche e burocratiche dominanti, allarmate di fronte al pericolo di una rivoluzione sociale, magari di sinistra, in Italia. Mussolini si giocava in quegli anni della guerra civile tutto il suo futuro politico. Ma, in questo quadro movimentato e problematico, vi era una grande incognita: cosa avrebbe fatto, quale spazio avrebbe voluto occupare, che ruolo avrebbe voluto darsi Gabriele d’Annunzio, personaggio ingombrantissimo e protagonista di benemerenze patriottarde? Per Mussolini, D’Annunzio costituiva soprattutto un fastidioso concorrente. È ben vero che dopo il ‘Natale di sangue’ con cui si era conclusa l’avventura di Fiume (ambigua e non priva di elementi rivoluzionari, che avevano suscitato l’attenzione anche di Gramsci, Trotskij e Lenin), D’Annunzio si era ritirato nell’ozio dorato della sua villa. Ma era ben nota la capacità di quest’uomo, dalla intensa vita amatoria, di tornare clamorosamente sulla scena dopo periodi di eclissi. L’aveva già fatto, e con successo, nel maggio del 1915, riuscendo perfino a offuscare il pur rumoroso interventismo di Mussolini.
Questo rischio di vedere daccapo balzare sul proscenio il Vate, reso monocolo dalle sue imprese guerresche e rimasto comunque personaggio di risonanza mondiale, non poteva non allarmare Mussolini, che si accingeva a giocarsi tutto tra l’estate e l’autunno del 1922. Questo non basta, ovviamente, a suggerire che la caduta del Vate dalla finestra fosse effetto di un attentato e tanto meno a individuare in Mussolini il mandante… L’inchiesta del commissario Dosi su quell’oscura vicenda si dovette muovere in questo scenario inquietante. Egli riuscì perfino a frequentare, sotto spoglie di un ex combattente cecoslovacco, a frequentare lo stesso D’Annunzio. La sua indagine sulla villa e sulle frequentatrici di essa (l’amica Luisa Baccara e la sua sorellina Iole, sedicenne violinista) fu interrotta dopo venti giorni e Dosi presentò il suo rapporto riservato al capo della Polizia, Gabriele Gasparri.
La caduta, le cui cause e responsabilità vengono poi individuate, avrebbe di fatto reso più rischioso l’esito, per Mussolini molto positivo, della marcia su Roma: avallata, a fine ottobre di quel 1922, dal sovrano e conclusasi con l’assunzione da parte di Mussolini del ruolo decisivo di capo del governo”.
Nelle parole dell’odierno capo della Polizia, Franco Gabrielli,
Per il suo racconto basato su documentazioni storiche e archivistiche, Di Francesco si è immedesimato nel commissario Dosi, “mio simpatetico maestro”, al quale restituisce la dignità di investigatore anche per altre vicenda balzate sulle prime pagine dei giornali. Una su tutte, per il caso “Gino Girolimoni”, indagine sugli stupri e omicidi di alcune bambine compiuti a Roma nella metà degli anni Venti. Opponendosi ai colleghi che avevano arrestato “il mostro”, e quindi al capo della Polizia Arturo Bocchini, fiduciario di Mussolini, egli denunciò e condusse in carcere chi sospettava essere il vero responsabile: Ralph Lyonel Brydges, un prelato anglicano di nazionalità britannica che veniva spesso a Roma. Questi, ritenuto malsano di mente, fu comunque rilasciato e poté allontanarsi da Roma, mentre il “mostro Girolimoni” fu assolto dai magistrati romani per non aver commesso il fatto.
Dosi viene anche ricordato per aver impedito, ormai estromesso dalla Polizia, la distruzione di diversi dossier delle SS naziste, presenti all’interno del famigerato carcere di via Tasso, durante la ritirata del 4 luglio del 1944, avvenuta per l’ingresso in Roma delle truppe alleate del generale Clark.
“A Dosi”, ha ricordato Ennio nella presentazione del libro, “si deve anche il nome INTERPOL, oggi conosciuto in tutto il mondo”.
- Il testo integrale della presentazione a Milano è ascoltabile da Radio Radicale.
- Per acquistare il libro “Il Vate e lo sbirro”, edito da Solfanelli di Pescara, pag. 192, euro 10,20, questo è un link utile.
- A questo altro link trovate il precedente volume di Ennio Di Francesco, “Un commissario”, che (aggiornato in base all’attualità dei temi della sicurezza diventati più che mai cruciali) meriterebbe che un editore curioso lo rilanciasse.
- Su Ennio Di Francesco, curatore della rubrica in corso su Giannella Channel dedicata ai “poliziotti di luce”, e la stessa “classe dei giusti” del liceo classico “D’Annunzio” di Pescara che ha sfornato quattro magistrati (tra i quali il “martire” Emilio Alessandrini) e altre figure chiave della società civile, vedere su Giannella Channel
- Il sito di Ennio è qui: www.enniodifrancesco.it
A PROPOSITO
I migranti e la pioneristica
intuizione del Commissario
con il futuro alle spalle
Tratto da “Radicalmentesbirro”, Ed. Noubs, 2013, colloquio con Valter Vecellio.
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