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Per aggiornare questo blog cerco ogni giorno germogli positivi nella notte della politica, della cronaca, della vita. Per questo difficilmente leggerete delle incursioni della signora con la falce che sta trovando un ambiente sempre più accogliente per il suo lavoro in molti angoli del pianeta. Ma non posso farvi mancare la storia triste che, tramite l’amico e collega Carlo Palumbo e dalle pagine di Internazionale, arriva dal Messico e che riguarda un lutto per la stampa libera, pilastro di ogni democrazia, e per la società civile di quel grande Paese.
“ADIOS!”. È questo il titolo di prima pagina con il quale il quotidiano messicano “Norte”, 30 mila copie di venduto medio, ha annunciato dopo 27 anni la fine delle pubblicazioni. Come spiega il direttore Oscar Cantù Marguia in una lettera ai lettori, i continui omicidi di giornalisti hanno reso troppo pericoloso continuare a lavorare nella città di frontiera di Ciudad Juàrez, al confine tra Messico e Stati Uniti, una delle roccaforti dei cartelli della droga. L’annuncio giunge dopo la morte della giornalista Miroslava Breach Velducea, cronista del quotidiano nazionale “La Jornada” e collaboratrice di “Norte”. Miroslava, 54 anni, è stata uccisa il 23 marzo scorso nella sua auto con otto colpi di arma da fuoco. Uno dei suoi figli si trovava con lei nella vettura al momento dell’agguato, ma è rimasto illeso. I killer hanno lasciato un biglietto con scritto la motivazione del delitto: “Per la tua lingua lunga…”. Miroslava aveva parlato molto sulle questioni che la appassionavano e la indignavano: la corruzione; gli abusi e l’autoritarismo della classe politica; le lotte popolari e i movimenti sociali; lo sfruttamento delle comunità indigene da parte delle aziende o dei cartelli della droga; la violenza contro le donne; gli effetti delle operazioni militari nello Stato e la violenza contro gli abitanti della montagna Sierra Tarahumara, da cui proveniva: lì, dal 2008, i gruppi criminali agiscono in totale impunità.
Nell’ultimo mese sono stati uccisi altri due cronisti messicani, Cecilio Pineda a Guerrero e, a Veracruz, Ricardo Monlui Cabrera, che lavorava a El Politico). E secondo stime riportate da Marcela Turati sul giornale Proceso, dall’inizio della cosiddetta guerra al narcotraffico lanciata dal presidente Felipe Calderòn nel 2006, in Messico sono morte 200 mila persone, tra cui più di cento giornalisti.
“Ho deciso di chiudere il giornale perché non ci sono le garanzie, né le condizioni di sicurezza per esercitare un giornalismo critico ed equilibrato”, scrive Cantù nella sua lettera. Il direttore è però deciso a “continuare a combattere su altre trincee, continuando a essere leale ai miei ideali e alla mia città”, attraverso il sito web del quotidiano.
Questa storia messicana evoca scenari duri di scorribande, narcos e legge della strada lontani dalla nostra quotidianità, ma la notizia luttuosa non può che sottolineare con maggiore amarezza le parole dignitose della madre di Ilaria Alpi, Luciana, che pur nella nostra Italia ha rinunciato alla ricerca della verità giudiziaria sul duplice omicidio di vent’anni fa in Somalia della figlia e del fotoreporter Miran Hrovatin, perché “ostacolata con depistaggi e in altri modi nella ricerca della verità”. La criminalità non solo uccide i cercatori di verità ma può anche uccidere la speranza di giustizia.
A PROPOSITO/ L’orazione civile
“Non c’è tempo da perdere, bisogna andare avanti!”
Nel giorno del funerale di Miroslava, una cerimonia privata, lontana dal clamore come lei voleva, il suo nome è stato aggiunto alla Cruz de davos, davanti alla porta del palazzo del governo statale, dove sono ricordate le donne vittime della violenza nel Chihuahua. E l’organizzazione Red libro periodismo, dello stato di Chihuahua, ha fatto sapere:
(via mail)
Cari amici italiani,
la buona notizia è che Reporters sans Frontières (RSF) ha appena aggiornato il 2017 World Press Freedom Index.
La cattiva invece è che per la libertà di stampa vive la condizione peggiore mai vista.
Il 2017 è l’anno della “caduta di democrazie” e della “ascesa di uomini forti” al comando, nota RSF.
L’Italia guadagna 25 posizioni nella classifica della libertà di stampa , salendo dalla 77esima piazza alla 52esima. Ma restano pratica ancora piuttosto diffusa nel nostro paese, secondo l’organizzazione per la libertà di informazione, sia le “intimidazioni verbali o fisiche” sia le “pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali”. Tra i problemi RSF indica anche “politici come Beppe Grillo che non esitano a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti che danno loro fastidio”.
Dopo sei anni in cima alla classifica, la Finlandia cede la prima posizione alla Norvegia. Helsinki chiude infatti al terzo, preceduta anche dalla Svezia che guadagna sei posizioni. La Corea del Nord chiude la classifica, preceduta da Eritrea e Turkmenistan.
Se volete saperne di più sulla posizione del vostro Stato o sui metodi utilizzati per compilare questa classifica mondiale, cliccate qui (LINK: click here). Troverete qui anche nomi e volti dei 100 eroi dell’informazione: 100 Information heroes.
Un sincero saluto,
Il team di Reporter senza frontiere