Un fantoccio che raffigura Laura Boldrini, realizzato dai Giovani Padani della Lega a Busto Arsizio, viene dato alle fiamme in piazza. Ad appiccare il fuoco, il sindaco di Forza Italia Emanuele Antonelli. La notizia sul “Corriere della Sera” di venerdì 26 gennaio è nella pagina precedente a quella in cui il capo della Stato Sergio Mattarella, ricordando l’Olocausto e la pagina infamante delle leggi razziali, ammonisce: “Mai minimizzare l’odio nella società”. (Gli etologi umani da tempo ci ricordano che è con la pseudo-speciazione culturale, cioè incasellando l’Altro/a in una nicchia che lo rende attaccabile, che cominciano le guerre…).

La brava presidente della Camera (nata a Macerata nel 1961, laureata in giurisprudenza, dal 16 marzo 2013 presidente della Camera dei Deputati nella XVII legislatura dopo aver ricoperto l’incarico di portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati del Sud Europa: nella foto è con il presidente Mattarella e la ministra della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca Valeria Fedeli) da tempo è soggetta a questi inaccettabili attacchi. È per questo che, in un blog che vuole essere un’antenna attenta a un’altra Italia, a un’Italia che funziona e comunque a proposte o intuizioni che possono farla funzionare meglio (sulla scia del mio libro “Voglia di cambiare”, Chiarelettere), lascio spazio all’analisi recente di Giulio Cavalli, scrittore e regista, sulle radici profonde dell’odio di una certa Italia, un’Italia che ricordiamolo ferisce e uccide donne in misura intollerabile, verso una donna che, con il suo impegno civile, onora da anni l’Italia. E bruciare la sua immagine corrisponde ad alimentare quella cultura del femminicidio che poi, a parole, tutti condanniamo. (s.g.)

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Laura Boldrini con Valeria Fedeli, presidente vicaria del Senato, e il neoeletto Sergio Mattarella in occasione della comunicazione ufficiale della sua elezione a presidente della Repubblica nel 2015.

Personalmente me ne sono accorto per caso, scorrendo la rassegna stampa quotidiana e provando a buttare l’occhio su quei giornali (sono principalmente due o tre, quelli riconoscibili per il cattivo alito giornalistico nei titoli urlati e nel razzismo servile strisciante) che l’attaccano nei titoli, nei catenacci e tra le righe degli editoriali: Laura Boldrini è diventata senza che ce ne accorgessimo il bidone dell’umido del bullismo internettiano-giornalistico di un manipolo di vigliacchi che la usano come palestra della propria malcelata vigliaccheria che digrigna e io, me ne scuso, me ne sono accorto troppo tardi e troppo poco.

Ma andiamo con ordine, perché nel fango quotidiano riservato a Laura Boldrini ci sono dentro tutti gli ingredienti di un’epoca: nessun rappresentante politico (io mi ci sveglio tutte le mattine, sulle rassegne stampa) subisce un trattamento così offensivo, feroce, denigratorio e perseverante come lei. Né i politici più in vista (parlo degli ex presidenti del consiglio come Matteo Renzi o dei potenziali leader nazionali come Beppe Grillo) e nemmeno i politici più incendiari (metti un Salvini, un Berlusconi dei tempi d’oro o uno a caso dei nostri politici che hanno bisogno di appiccare fuochi per accreditarsi come pompieri) sembrano meritarsi la stessa potenza di fuoco che viene caricata per la Presidentessa della Camera. Ma perché? Me lo sono chiesto per giorni, prima ancora che la Boldrini lanciasse l’iniziativa con cui annuncia di avere esaurito la pazienza e di volere prendere provvedimenti contro il profluvio di becere offese che le vengono rovesciate addosso. Già, mi sono chiesto, perché?

Perché è donna. E preparata. E il deserto culturale di questo tempo che partorisce bulli non sopporta l’idea che una donna decida di non “accompagnare” un’idea ma abbia lo spessore di intestarsela: Laura Boldrini (che si sia d’accordo o meno con ciò che dice e ciò che pensa) ha un’identità personale, prima ancora che politica, che la rende riconoscibile durante tutta la sua carriera parlamentare indipendentemente dai governi, dalle disperazioni, dagli allarmi che fanno moda e dai calcoli elettorali. È sempre lei. Coerente. In un momento (e in un Parlamento) in cui la coerenza è vissuta come un gravissimo pericolo: il coerente non svende le proprie idee e qui, dove l’essere corruttibile è il prerequisito fondamentale per essere ben accetto come classe dirigente, il coerente è un fastidiosissimo ostacolo al pensiero dominante. Ma soprattutto è donna: esiste un muscolo più forte della coerenza? No. Siamo un Paese che può accettare la “sconfitta” (anche solo nella lealtà morale) da parte di una donna? No. E infatti, se avete lo stomaco di leggerle, le offese alla Boldrini puntano tutte sulla sua femminilità e spesso sui suoi organi genitali: il maschilismo più bieco (quello che sfiora il machismo più patetico, per intendersi) si scandalizza anche solo per un suffisso che finisca per -a perché ha bisogno di essere rassicurato dai propri pregiudizi (e dalla sintassi). In pratica siamo di fronte a poppanti che hanno il proprio pene in sostituzione del dito come rifugio delle proprie fragilità. E rispondono con quello.

Poi non è una “politica”. Intendiamoci: da queste parti la professionalità politica non è certo un disonore (benché qualcuno giochi all’antipolitica per un pugno di voti intrisi di bile): il professionismo politico (nel senso costituzionale del “professare i propri valori” nella politica) è qualcosa di cui avremo un gran bisogno. Il fatto è che Laura Boldrini ha già dimostrato di essere capace e meritevole senza bisogno di stare seduta sullo scranno alto della Camera dei Deputati: Laura Boldrini ha praticato solidarietà e l’ha fatto guadagnandosi la stima di molti. In un Parlamento zeppo di giovanotti di buone intenzioni passati dal baretto sotto casa al Parlamento lei ha una storia lavorativa, familiare e personale che non ha bisogno di accreditarsi con la politica. La Boldrini, per intendersi, è una che in politica ha solo da perderci: fosse rimasta dov’era sarebbe probabilmente una voce importante per leggere questo nostro triste tempo. Alla presidenza della Camera si è presa tutti i giorni una vagonata di “si faccia i cazzi suoi”. Funziona così da noi: c’è gente che legge Trilussa ma smette appena scopre che è stato un Senatore a vita, del resto…

Non tace. No, non tace. Non perde le staffe, non fa finta di niente e nemmeno si ammorbidisce. Forse è vero che un milione di querele non sarà la soluzione ma decidere di prendersi la briga di affidarsi alla legge per richiamare i vigliacchetti commentatori alle proprie responsabilità è il gesto estremo di una situazione diventata estrema da un bel pezzo. La stragrande maggioranza degli odiatori seriali (mica solo sui social, anche su qualche giornalaccio della destra) è pronta a smutandarsi di fronte a una querela. Sono così: forti con i deboli e deboli con i forti. Codardi per definizione. Di fronte alla lettera di un avvocato si umiliano alla ricerca del perdono senza rendersi conto che l’umiliazione vera sta nel loro odio. Ed è una buona lezione. Una lezione giusta. Sì, giusta.

Io, da cittadino e lavoratore che con le parole ci ha a che fare tutti i giorni, alla Boldrini voglio bene. Nel senso che voglio il suo bene: credo che sia urgente che lei possa avere il diritto di esercitare le proprie idee e il proprio ruolo senza l’augurio di stupri, morte, lutti personali e senza che venga ricoperta di insulti.

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* Giulio Cavalli, milanese, 40 anni, è un attore e scrittore che per le sue posizioni coraggiose (nei suoi spettacoli teatrali parla da tempo di mafia a Milano e al Nord) è minacciato dalla criminalità organizzata. È uno dei collaboratori de Linkiesta (linkiesta.it), quotidiano online di notizie e approfondimenti; sul web dal 31 gennaio 2011. Il direttore, dal 30 novembre 2014, è Francesco Cancellato.