Le sconvolgenti immagini della guerra che arrivano da Gaza mi fanno affiorare alla mente un incontro con Johan Jorgen Holst, l’uomo che morì per far fare pace tra Israele e i palestinesi, tra Yasser Arafat e Shimon Peres. Lo incontrai a Rimini nel 1993, durante le Giornate di studio del Centro Pio Manzù. Holst aveva 56 anni e si presentò al Grand Hotel di Rimini (accolto dal segretario generale del Centro, Gerardo Filiberto Dasi), portando con sé un bambino dal volto incorniciato da una cascata di capelli biondi. Arrivò dalla sua Norvegia per ricevere il premio per la personalità che “ha portato un fattivo contributo all’estendersi della pace, della tolleranza e della cooperazione economica e sociale”.

Holst era stato il mediatore dell’impossibile. In una sala del Grand Hotel, tra icone felliniane, mi raccontò come, da ministro della Difesa della Norvegia, era stato il sommesso artefice dell’accordo storico di pace tra Israele e l’Olp, un capolavoro diplomatico ricamato nella sua fattoria personale presso Oslo. Le cose andarono così.

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Johan Holst con Yasser Arafat.

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Johan Holst con Shimon Peres.

Alla vigilia del Natale del 1992, in un albergo di Londra, Yair Hirschfeld, un professore di storia di Gerusalemme, violò la legge israeliana incontrando Ahmed Kriah, capo del Dipartimento economico dell’Olp. Durò poche ore quell’incontro ma c’erano voluti sei mesi per prepararlo. Il palestinese disse d’essere a nuovi incontri-diretti con rappresentanti del governo di Israele. L’idea sembrò buona al professor Hirschfeld. Nessuno pensava, avrebbe successivamente detto costui, che da quell’incontro bizzarro sarebbe sortita una grande, difficile, miracolosa operazione di pace. Non lo pensavano l’ebreo e il palestinese, ma lo speravano il ministro degli Esteri della Norvegia del tempo, Thorvald Stoltenberg, e alcuni suoi collaboratori. Tra di essi suo cognato, Holst appunto, allora ministro della Difesa.

Come ricercatore universitario Holst aveva condotto uno studio sulla condizione dei palestinesi, giovandosi dell’aiuto di colei che sarebbe, poi, divenuta la sua seconda moglie: Marianne Heiberg. Il 13 di dicembre del 1993, annunciando l’accordo fra Israele e l’Olp, il presidente statunitense Clinton ringraziò solennemente Holst del suo “ruolo chiave”. Si deve infatti alla tenace, sorridente di Holst se ebbero luogo 14 incontri segreti tra israeliani e palestinesi che, infine, scrissero insieme la bozza dell’accordo, affidato a Rabin e ad Arafat ai quali fu per questo assegnato il Nobel per la pace.

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Edward Holst.

Molti degli incontri segreti si svolsero in una fattoria dell’Ottocento, di proprietà di Holst, in un immenso bosco norvegese. Lì israeliani e palestinesi discutevano, passeggiavano, mangiavano, bevevano buone grappe. Insieme. Spesso giocavano davanti al caminetto con Eduard, il bambino che sedeva sulle ginocchia di Johan mentre mi raccontava la sua impresa. Un bambino di 4 anni, uno dei 5 figli di Johan.

Giocare con Eduard li distendeva, raccontò Holst; dimenticavano frustrazioni e sospetti, arrivavano a darsi pacche sulle spalle grazie a quel bambino. Quando le trattative si arenavano su un dettaglio, e i dettagli erano tanti, Johan faceva entrare il piccolo Eduard a giocare con una palla e il papà ricordava ai delegati che “le nuove generazioni aspettavano soluzioni, non chiacchiere inconcludenti”. Un giornale norvegese, all’epoca, propose per questo di assegnare al piccolo Eduard il Nobel per la pace al quale la Germania aveva candidato Holst.

Dopo quella fatica estrema, Holst andò in tilt. Prima un esaurimento nervoso, poi, il 16 di dicembre, un ictus cerebrale e il 13 gennaio del ’94, la morte.

Holst disse un giorno ad Arafat che aveva la tragedia dei palestinesi leggendo i versi di Mahmoud Darwish, il poeta della diaspora palestinese. Questi i versi, ricordati da Igor Man sul quotidiano torinese La Stampa:

La patria è il sapore del caffè / preparato dalla madre.

La patria è il ritorno / a casa / nella sera.

Anche lo sforzo per la pace ha un prezzo. Oggi in Italia solo i locali di una scuola a Badalucco (Imperia) ricordano quell’angelo al quale lo sforzo per portar pace tagliò le ali. L’ascensore della memoria, si sa, funziona poco in Italia e nel mondo.

bussola-punto-fine-articolo

poeta-diaspora-palestineseI libri di Darwish (foto), morto nell’agosto 2008 dopo un intervento al cuore a Houston (Texas) e salutato dal premio Nobel Saramago come “il poeta più grande del mondo”, nelle librerie italiane sono, con una certa difficoltà, rintracciabili cinque testi:

  • La mia ferita è lampada a olio, De Angelis Editore € 7;
  • Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?, San Marco dei Giustiniani €18;
  • Murale, Epoché €15;
  • Oltre l’ultimo cielo (interviste), Epoché €14;
  • Una memoria per l’oblio (prose), Jouvence €15;
  • Il letto della straniera, Epoché