Nei giorni d’estate in cui centinaia di migliaia di turisti si riversano nel piccolo borgo di Sulzano, sulla sponda bresciana del lago d’Iseo, per ammirare e toccare con i piedi la passerella di Christo, un altro minuscolo borgo lombardo diventa a suo modo una capitale mondiale del turismo culturale: Esino Lario, a strapiombo sul lago di Como, a un’ora e mezzo d’auto da Milano, dove 738 delegati da tutto il pianeta, un numero quasi pari a tutti gli abitanti esinesi che sono 760, sono arrivati per il raduno di Wikipedia, l’enciclopedia più consultata su Internet. Per una settimana, da martedì 21 al 28 giugno, si incontreranno, non virtualmente, collaboratori dell’enciclopedia digitale (per gli eventi in calendario vedere qui). Un’occasione per chiarire malintesi, per evitare conflitti, per consolidare rapporti e far nascere nuovi progetti. La giuria che ha puntato su Esino ha spiegato che la scelta del borgo lecchese è stata dettata dal fatto che un evento in una piccola realtà riporterà lo spirito e l’entusiasmo con il quale era partita la sfida di Wikipedia.
Un bel successo per Iolanda Pensa, ricercatrice, 40 anni ad agosto, contributor di Wikipedia (“Per anni mi sono occupata di portare l’Africa sull’enciclopedia informativa sul web”) e coordinatrice, con l’amministrazione guidata dal sindaco ingegner Pietro Pensa, della grande macchina organizzativa che ha registrato solo tre falle burocratiche: “Due nepalesi e un camerunense non sono riusciti a ottenere il visto per partecipare, ma l’ottenimento dei visti ha avuto una percentuale eccezionale… Sembra una cosa scontata, ma portare qui persone da tutto il mondo, con le tensioni che ci sono sulla migrazione oggi, diventa una componente complessa di un evento. Il tasso è stato migliore che in altre edizioni e l’accesso è stato garantito a quasi tutti gli iscritti, anche se siamo dispiaciuti per i tre amici che non sono riusciti”, parole di Iolanda, ammirata ambasciatrice dell’innovazione.
A PROPOSITO/ IL BELLO DELLA MEMORIA
Quando un famoso giornalista scelse la piccola Esino per ambientarvi una grande storia d’amore e di guerra
testo di Paolo Occhipinti*
Una piccola comunità, a lungo refrattaria alle novità, sfiorata dalla seconda guerra mondiale. Una ragazza, dal corpo conturbante e dal carattere aspro, che sfida un intero paese. Un amore tragico e impossibile. Sono gli ingredienti che Paolo Occhipinti mescola sapientemente nel libro (“D’amore e di guerra”, Cairo editore, 2012, 180 pagine, 14 euro) che, raccontando un fatto di cronaca realmente accaduto, ha segnato il suo esordio nella narrativa. Qui l’incipit del primo capitolo, che illumina il paese di Esino, dove l’autore è di casa. (s.g.)
Il paese sembra uscito dal nulla. Appariva improvviso e inaspettato dopo una serie di curve e di ghirigori impervi, immersi in un bosco fitto che era come non finisse mai. Anche dalle case più in alto avevi la sensazione di essere fuori dal mondo, perché all’orizzonte non si vedevano che montagne, chiuse quasi a 360 gradi eppure non incombenti né minacciose, ma comunque rocciose sul crinale, quanto bastava per dimostrare che di lì non c’era via d’uscita. Soltanto verso ovest lo sguardo poteva a lungo giù per i boschi di faggio, poi di castagno. Da questa parte la linea verde scura che si stagliava sullo sfondo lasciava intuire molto lontano, ben oltre il dirupo, il profilo di altre montagne al di là del lago, forse già in Svizzera, che diventava evidente soltanto al tramonto, quando il cielo si incendiava. Da quella finestra il fuoco del sole nelle sere d’estate sembrava magicamente durare anche nel buio, fin quasi alla mezzanotte.
Ad alimentare l’impressione di completo isolamento, la strada asfaltata, l’unica che saliva dal lago, stretta e tortuosa, era nascosta dal bosco che solo ad aguzzare la vista presentava in corrispondenza del tracciato un impercettibile rigonfiamento, come una vena varicosa, fino all’ingresso del paese. Ai tempi della guerra era una mulattiera bianca e polverosa, poco più di un tratturo, che metteva a dura prova le balestre e il radiatore delle poche auto che vi si avventuravano.
Prima ancora, per salire al paese c’erano soltanto due sentieri. Uno si inerpicava dal lago direttamente sulle rocce dall’altra parte della valle, e richiedeva miracoli di equilibrismo tanto era stretto a picco sopra il fiume, e per di più accidentato dalle orme profonde delle mucche. Adesso vi si spingevano solo i più ardimentosi tra i cacciatori di caprioli e ogni tanto qualcuno ci lasciava la pelle.
L’altro, molto più lungo, saliva dai boschi oltre il crinale del picco, e scendeva a precipizio in paese dall’alto, tra roccette e pietraie scivolose di ghiaccio d’inverno e di terriccio d’estate.
La radice della rivalità che divideva le due frazioni del paese era nella differenza delle due vie d’accesso: si diceva che dal lago fossero saliti per primi, agli inizi del sedicesimo secolo, un gruppo di esuli di lingua tedesca dissidenti o perseguitati dalla dominazione asburgica e si fossero stabiliti nella parte bassa dell’attuale borgo. In quella alta sarebbero invece confluiti, dopo qualche decennio, attraverso il sentiero a nord, contadini di origine romancia sconfinati nelle zone di competenza e insediatisi in paese con la forza.
A lungo l’una contro l’altra armate, costrette a dividersi pochi ettari di terreno pianeggiante, le due frazioni ebbero in comune secoli di isolamento, che le avevano inselvatichite, rese refrattarie alle novità, e orgogliose delle loro non invidiabili origini.
La strada costruita dopo quattro secoli con il sudore delle due comunità aveva un po’ mitigato le rivalità e le differenze. Ma non si poteva certo considerarla una grande apertura sul resto del mondo…
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