Quando, con un grossolano errore di calcolo, Benito Mussolini decise di precipitare l’Italia nella Seconda guerra mondiale, anch’io – come tutti gli universitari della classe 1921 – venni arruolato come volontario ‘forzato’. Seguii dapprima il corso di allievo sergente a Piacenza, nei gelidi stanzoni di Palazzo Farnese, poi quello per allievi ufficiali all’Arenaccia di Napoli. Nel contempo ero rimasto iscritto a Legge alla Statale di Milano e approfittavo delle licenze per dare qualche esame (la laurea mi riuscì di scipparla, pur sapendo pochissimo, a guerra finita).
Poi, nel 1941, il mio battaglione di fanteria finì tra le forze d’occupazione in Grecia. Dove io, col mio plotone, non a caso qualificato come ‘costiero’, avevo la responsabilità di un piccolo presidio sul mare, a trenta chilometri da Atene, a Boiati. Scoprii subito che la gente greca è bonaria, generosa, collaborativa, e mi chiedevo perché Mussolini, se non per tracotanza imbelle, avesse attaccato questo piccolo Paese dove ci volevano bene e dove governava un generale fascistoide, Ioannis Metaxas.
L’insidia della guerriglia preoccupava solo nel Nord, ma dov’era stato mandato il mio plotone il pericolo era minimo e così tutti noi eravamo impegnati dalla mattina alla sera nel faticoso ozio militare (io, per non farmi mancare nulla, mi presi anche la malaria!). Una situazione molto simile a quella raccontata nel 1991 da Gabriele Salvatores nel suo film da Oscar Mediterraneo, che di proposito non ho mai voluto vedere al cinema perché avrei provato troppa tenerezza e insieme troppa tristezza.
Venne poi l’8 settembre e il «Tutti a casa!». In Grecia il generale Carlo Vecchiarelli tentennò, emanando a noi dei reparti periferici l’ordine di consegnare le armi ai tedeschi, che ci fecero prigionieri. Ricordo che un giorno, mentre circa in 200, scortati da qualche soldato della Wehrmacht, venivamo portati a piedi verso chissà dove, probabilmente un lager in Germania, a una svolta della strada mi misi a correre e riuscii a scappare.
Per noi italiani i mesi che seguirono furono contrassegnati da atti di valore, da episodi nobili, da eventi turpi e anche da tenere storie d’amore. Nei dintorni del mio presidio, per fortuna, conoscevo tanta gente, tra cui un ingegnere italiano, un certo Troi, che s’era trasferito in Grecia e che per un po’ mi nascose a casa sua. Poi iniziai un periodo avventuroso ma anche penoso di vagabondaggio e pericoli, che si concluse ad Atene, nell’abitazione della famiglia di Eftimio Ciamandani, commerciante in legno, disposto ad aiutare un giovane sbandato come me. Una delle tre figlie si chiamava Dina, aveva 22 anni, era impiegata in banca, ed è la ragazza che sarebbe diventata mia moglie e la madre dei miei figli. Ci siamo sposati il 19 aprile del 1944. Una vicenda, la nostra, fra le tante della cosiddetta ‘armata s’agapò’ (s’agapò in greco significa ‘Ti amo’).
La mia ragazza greca se n’è andata per sempre il 24 dicembre 2007, vigilia di Natale, alle 22.26, lasciandomi solo.
* Fonte: OGGI 1943, numero speciale, curato da Roberto Angelino, del settimanale Rcs diretto da Umberto Brindani. Con testi di grandi firme come Silvio Bertoldi, Giorgio Bocca, Antonio Ghirelli, Denis Mack Smith, Indro Montanelli e Raffaello Uboldi. Nella stessa collana anche i volumi: TITANIC, 50 ANNI DI CELENTANO, SANREMO, LE NOZZE DEL SECOLO, MARILYN MONROE…
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