Leggo sul Resto del Carlino del 15 luglio 2015: “L’agente della Polizia di Stato Tommaso Socci (foto in apertura) si è ucciso con la pistola d’ordinanza in una stanza di albergo a Siracusa. La tragedia è accaduta nel tardo pomeriggio. Tommaso Socci, nato a Chiaravalle 35 anni, poliziotto di stanza a Bologna, si è tolto la vita a Siracusa, dove era in servizio da una decina di giorni impegnato nei controlli degli sbarchi degli immigrati. Da molti anni viveva a Bologna dove lavorava presso il Reparto Celere ed era impiegato spesso per mansioni di ordine pubblico negli stadi”. Sono parole agghiaccianti che mi riportano a quanto scrivo nel mio libro Un Commissario (ed. Castelvecchi 2014, pag 353, capitolo “Riforma in briciole”):

… ma quale male oscuro serpeggia tra gli operatori di polizia che pur continuano a testimoniare ogni giorno e ovunque con la vita?… “Tutori dell’ordine” lasciati soli coi dilemmi della propria coscienza… e penso ai numerosi suicidi degli ultimi tempi in tante parti d’Italia per drammi apparsi loro insopportabili, su cui l’usurante servizio ha certamente… e immagino, per tutti, il dramma del poliziotto della mobile palermitana che ha sparato al figlioletto prima di uccidersi… Oggi più che mai è indispensabile ci sia una dirigenza politica, burocratica, sindacale, capace di prevenire il disagio e soprattutto insegnare con l’esempio i valori professionali, comportamentali ed etici.

Costruire insieme. Quanta amarezza nel constatare come si stia rischiando di fare scadere il concetto di Sicurezza Pubblica in una sorta di agone nell’arcipelago forze di polizia onde fissare paletti di delega sacrificale e controriforma, in un compromesso di illusori contentini per qualche categoria di base (questa volta forse i sovrintendenti) e vantaggi anche autoreferenziali di vertice, cancellando o affievolendo i princìpi di democrazia fissati nella legge 121/81. Si sta ripetendo quanto già accadde in passato. Intanto il malessere tra “i tutori dell’ordine”, al di là di appartenenze e divise, aumenta. Saranno sempre loro ad affrontare i problemi sociali politicamente irrisolti, dall’invasione migratoria alla criminalità comune e terroristica sempre più spavalda, infida e organizzata.

Ho mandato da tempo al presidente Renzi e membri del Governo, al Direttore generale della P.S. e al Comandante Generale dell’Arma, ai non pochi segretari nazionali dei frammentati e divisi sindacati di polizia una nota (ancora praticabile nel quadro dell’art.7 dell’atto Camera appena approvato, con l’assegnazione quasi a sorte delle spoglie della Forestale) con “spunti di riflessione” che iniziano con le lapidarie indicazioni di Giorgio Napolitano: “Con la legge 121/81 di riforma della pubblica sicurezza vennero compiute scelte fondamentali per coniugare l’esigenza di salvaguardare lo straordinario patrimonio di professionalità e di tradizione delle diverse forze di Polizia con l’altra non meno imprescindibile di ricondurre tutte le risorse a un più efficace impegno comune per accrescere le capacità di risposta alle esigenze di sicurezza dei cittadini”, nonché l’affermazione testamentaria di Antonio Manganelli: “Nel ribadire che si trattò di una legge di straordinaria lungimiranza, ricca di contenuti e di lucida visione delle forze in campo, è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche per continuare l’opera avviata trent’anni fa e portarla a termine”.

Così scrivevo al precedente Comandante Generale dell’Arma: “Qualcuno dovrà ancora spiegare quale sia la differenza tra il sangue del capitano Tuttobene e quello del commissario Cassarà, del maresciallo dei carabinieri Maritani e del brigadiere di polizia Ciotta, del carabiniere Santarelli e dell’agente Antiochia, uccisi mentre svolgevano l’identico impegno; e magari tra il sacrificio supremo del commissario Palatucci e del brigadiere dei carabinieri D’Acquisto, oggi per tutti riferimento di valori universali”.

Ricordatevi di questo signori parlamentari, gabinettisti, prefetti, generali, sindacati e Cocer, rappresentanti dei “tutori dell’ordine”. È l’ora di costruire per meglio tutelare il “bene comune sicurezza” a servizio della Collettività e delle Istituzioni democratiche.

Diceva il mio maestro Norberto Bobbio:

Più la situazione è confusa, più occorre essere democraticamente vigilanti.
* Ennio Di Francesco, già ufficiale dei Carabinieri e funzionario della Polizia di Stato. Figlio di un Maresciallo di Carabinieri deceduto per infermità di servizio. Tra i promotori negli anni ’70 della riforma democratica di polizia che condusse alla legge 121/81. Autore di: Un Commissario con prefazioni di Norberto Bobbio, Gino Giugni, Marco Tullio Giordana, Giancarlo De Cataldo, Corrado Stajano e don Andrea Gallo; Radicalmentesbirro con quelle di Don Gallo e Marco Pannella; Frammenti di utopia, con quelle di Mario Calabresi e Marco Alessandrini; Il vate e lo sbirro. L’indagine segreta del commissario Giuseppe Dosi sul «volo dell’arcangelo». È un uomo dello Stato che ha avuto una vita difficile per la sua intransigente fedeltà alle istituzioni della Repubblica. Per approfondimenti: enniodifrancesco.it