Vengono dagli Stati Uniti, dall’Uganda, da altri paesi del mondo e a Città del Capo trovano ciò che cercano: l’ispirazione. Nel giro dei musicisti si fanno chiamare con nomi inventati, nomi d’arte, che li identificano spesso anche con il genere che suonano.
Mugiha viene dall’Uganda e ha 30 anni, anche se è conosciuto in diversi paesi africani con il nome di N.1 Suspect, perché, dice “Sono il sospettato numero uno per aver ucciso la musica. O almeno ci provo a essere il numero uno”.
È questo il sogno di molti artisti della musica indipendente del grande continente africano, che cantino, suonino, si muovano su note reggae, afro o commerciali. Tutti voglio diventare famosi nel mondo.
Mugiha quando è morto Nelson Mandela ha inviato sul web, grazie ai social e a youtube, una delle sue canzoni più famose da queste parti. Si intitola “Xenofobia” e mescola all’inglese alcuni idiomi africani e sudafricani, come lo swaili e lo xhosa. Tutte le lingue, assieme alla musica, dicono una sola cosa: stop alla xenofobia e al razzismo, sì al mondo multiculturale. Il loro, quello nel quale vivono, in Sudafrica, è un mondo multiculturale, grazie anche al sogno di Mandela.
Mugiha è tutsi, suo padre e sua madre sono scampati al genocidio in Ruanda di vent’anni fa. E’ cresciuto in Uganda, ma presto si è trasferito in Sudafrica. “Nel Sudafrica di oggi”, mi spiega, “quello di Tata Madiba. Sì, anche per me Mandela è un padre, lo scrivo nelle mie canzoni. E’ il padre di tutta l’Africa, di tutto il mondo. L’unico che ci abbia insegnato il perdono”. Mugiha nel genocidio in Ruanda ha perso 37 parenti, fra cui alcuni cugini, che all’epoca, nel 1994, erano bambini come lui. “Dimenticare è impossibile”, prosegue. “Mandela non ha insegnato questo. Lui ha studiato la lingua dei suoi nemici, dei bianchi razzisti che l’hanno costretto a stare in carcere per 27 anni. Tramite la loro lingua poteva penetrare il loro pensiero, capire la loro mente malata di persone che violentavano, uccidevano, discriminavano in nome della loro presunta supremazia… lo vedi, io sono nero. Sono diverso da te. In Ruanda erano tutti neri come me. Si sono ammazzati lo stesso… no, non si può dimenticare, ma, anche grazie alla musica, si può perdonare”.
Come Mugiha si incontrano nella capitale africana più europea di tutte, Città del Capo, musicisti originali e capaci. E’ il caso del percussionista dei “Real Life”, Shoun: “In Sudafrica c’è opportunità di fare arte liberamente e di incontrare gli altri”. Ovviamente Shoun come Mugiha sogna di diventare famoso a livello internazionale.
È questo anche il sogno di BranNNue Life, musicista americano indipendente, originario di Birmingham, in Alabama. Il primo singolo “Headboards” unisce alla seduzione della musica, il tema della responsabilità civile. E’ a Città del Capo per fare una sola cosa “Cantare rap e fare arte. Il Sudafrica è la nuova Woodstock, dove il canto è libero, grazie all’insegnamento di Mandela. Credi che l’Alabama nella quale sono cresciuto fosse tanto diversa dal Sudafrica? Anche lì i bianchi americani si credevano superiori a…”. BranNNUe, una laurea in marketing e una in informatica, sta per dire neri, poi si ferma, mi guarda e riprende “… superiori a tutti gli altri. Qui in Sudafrica trovo l’ispirazione per le mie canzoni. Per il mio canto libero. Libero grazie a Mandela”.
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