Il grande Giacomo Agostini, quindici volte campione del mondo di motociclismo, presenta al Parco Esposizioni di Novegro (Milano) il libro “Giacomo Agostini. Immagini di una vita”. La presentazione avviene nella cornice di una sfilata di moto che hanno tenuto alto il nome dell’Italia nel mondo: quelle della storica casa fondata dal conte Domenico Agusta. Colgo questa occasione per ripescare l’intervista da me fatta al campione per la serie “Il mio eroe” che curo per Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera.

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Enzo Anselmo Ferrari (Modena, 1898-1988), soprannominato Drake.

Caro Agostini, da tempo ripenso a titoli di questo genere: “L’Italia è come la Ferrari, ma serve la revisione del motore”. Lei, che con i suoi quindici titoli mondiali è considerato il più grande campione del motociclismo sportivo di tutti i tempi, nelle mani di chi metterebbe il motore Italia?
“Di uno che avesse le caratteristiche di Enzo Ferrari, un uomo che ha creato macchine favolose, il marchio più conosciuto al mondo, un’azienda che anche oggi fa utili, che ha vestito i suoi prodotti di intelligenza e bellezza. Che era un grande pur vivendo giornate normali. Il simbolo di un’Italia creativa, onesta e di parola, che quando ti stringeva la mano per un accordo valeva più di un contratto dal notaio. Che ha saputo costruire, rischiare e che ha avuto successo. Uno che sapeva lavorare, in squadra”.

Immagino che le vostre strade si siano incrociate…
“Ci vedevamo spesso a Modena e io con la MV Agusta e loro con la Ferrari, provavamo lì, sotto i suoi occhi curiosi. Un giorno, a fine anni Sessanta, mi convocò con altri due giovani piloti, Andrea De Adamich e Ignazio Giunti. Voleva testare le nostre capacità di guida a bordo di una Ferrari. Chiesi il permesso al conte Agusta, provai, ottenni i tempi migliori e il commendatore mi portò nel suo ufficio: ‘Se ti fa piacere, Agostini, una macchina per te c’è’. Era una proposta d’ingaggio per correre nella sua scuderia, condizionata però all’abbandono delle corse motociclistiche. Presi tempo per decidere, ma rinunciai all’offerta. Il mio mondo era, e rimase, quello delle due ruote. Ma confesso che il ‘vivere Ferrari’ mi attraeva molto”.

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Giacomo Agostini (Brescia, 1942), oggi vive a Bergamo. Esordì nel 1963. Ha vinto 15 mondiali, disputato 190 Gran Premi, vincendone 123.

È cresciuto anche grazie alle banche. Sono stato all’inaugurazione del nuovo Museo Ferrari e, accanto alla teca dove è stato ricostruito il suo studio, c’è la frase del direttore del Banco di San Geminiano e San Prospero che Ferrari incontrò all’inizio della sua avventura imprenditoriale con i piani in mano. Ottenne i soldi dopo una semplice stretta di mano: “Ci bastava la forza del suo sogno”, spiegò il banchiere. E una volta lui confidò: “Se per caso vanno a mangiare assieme i tre direttori delle banche, io perdo la Ferrari”.
“Perché i direttori di banca lo conoscevano e gli davano una immensa fiducia. Lui era sempre stato una persona seria, corretta, non avrebbe mai fregato nessuno. Oggi si parla tanta del rapporto incrinato tra imprese e banche. Ma io voglio credere che, a chi presenta con correttezza la forza di un sogno, le banche e i più moderni incubatori d’impresa non faranno mancare i loro finanziamenti”.

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