Invito i lettori alla seconda tappa dell’affascinante viaggio intorno ai riti dell’uomo, tra misteri, sacro e favola. A illuminare il Cerchio della vita nelle culture del mondo e, più in piccolo, nella terra di Puglia dove sono nato, ci fanno da guida le parole di uno dei maggiori psichiatri contemporanei, Vittorino Andreoli (che unisce alle qualità di esploratore della mente anche l’eccellenza di scrittore e antropologo) e quelle di Grazia Stella Elia, poetessa degli ulivi, una vita da buona maestra ad arricchire le menti dei suoi allievi, che i naviganti di Giannella Channel hanno conosciuto in precedenti occasioni (qui il link al libro ideato per i suoi primi 85 anni).

A Grazia tocca di illuminare le fasi centrali della vita viste nel piccolo mondo del Tavoliere pugliese e dintorni. La combinazione tra la visione planetaria del professor Andreoli con la realtà di un piccolo mondo antico che può appartenere simbolicamente a tutti porta a un risultato di interesse profondo. Buon viaggio anche a voi, naviganti di Giannella Channel. (S. Gian.)

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Qui e nella foto d’apertura: gli adolescenti della tribù Sa, nelle Vanuatu (Melanesia) devono esibirsi nel rituale del Naghol (tuffo a terra, da una torre alta 18 metri) per poter diventare ufficialmente grandi. La lunghezza delle liane, fissate alle caviglie, è calcolata in modo che l’impatto con il suolo venga evitato per pochi centimetri. Questo rituale di iniziazione ha ispirato il bungee jumping, i rischiosi salti nel vuoto da una torre o da un ponte dei giovani in Occidente.

Caro Salvatore,

un tempo viaggiavo con la sensazione della scoperta, per vedere mondi nuovi e comportamenti che non appartenevano alla mia città. Oggi in qualsiasi luogo accompagni questo mio corpo, mi sembra di essere sempre a casa senza poter distinguere un primitivo da un contemporaneo, poiché intravedo tanto “selvaggio” in un civile e tanta civiltà in un selvaggio. Una delle scorse estati ho visto ragazzi, legati con una fune elastica alla caviglia, gettarsi da un altissimo edificio nella civile Riccione e pochi anni prima ho visto altri giovani, sempre con la caviglia legata questa volta a una liana, buttarsi da altissimi alberi in un’isola dell’arcipelago delle Vanuatu, in un mondo “primitivo”. Forse senza saperlo si sottoponevano al rito della pubertà.

La pubertà è una vera metamorfosi, un passaggio da crisalide a farfalla. Nel bambino compare il pelo al pube, alle ascelle e sul volto. Dapprima è una lanugine che si concetta sotto il naso e poi sul mento. Al pube succede un disastro: il fa’ pipí s’ingigantisce e assume un temperamento maniacale, innalzandosi con superbia al cielo. In realtà è tutto il corpo ad allungarsi e a prendere una forma nuova per l’evidenza di certe aree muscolari. I deltoidi ingigantiscono le spalle, i pettorali stirano la cassa toracica allargandola. La voce cambia timbro ed è ora come se appartenesse a un mostro che si è inserito all’interno di un corpo bambino. Nell’insieme viene in mente La metamorfosi di Franz Kafka, di quel povero Sansa che diventa insetto.

Con la pubertà muore la fanciullezza e si diventa maturi, uomini e donne. In alcune società all’infanzia segue l’adolescenza, un arco esistenziale che dai 12-13 anni giunge fino ai 18-19. Si tratta di una delimitazione convenzionale, adottata in particolare nella società occidentale a partire dal tardo Medioevo quando si organizza un vero e proprio sistema educativo-scolastico. L’adolescenza si è posta come “gravidanza sociale” per formare le caratteristiche culturali, in analogia alla gravidanza uterina che forgia quelle fisiche. In questo caso il rito del passaggio si allunga nel tempo e diventa lenta metamorfosi, per poter apprendere la scrittura, la conoscenza di tecnologie e leggi scritte (divine o umane), necessarie all’assunzione del ruolo sociale. Ma in tutte le società che si fondano ancora sui bisogni primari (alimentazione, riproduzione e difesa del territorio) il passaggio è rapido: la trasformazione pubica è la maschera esteriore della potenza di generare; lo sviluppo muscolare della forza guerriera, utilizzata per la caccia o la difesa dei territori. Anche il corpo di una bambina viene per la pubertà riscolpito, e spesso la mano qui è quella del Canova. Invece delle fibre muscolari, sul petto si sviluppano due straordinari oggetti che richiamano il plenilunio, al pube si disegna un “mons veneris” misterioso e capace di accogliere quel seme che diventerà, dentro il ventre, un nuovo nato.

La pubertà, questo terremoto che ciascuno esperimenta nel proprio corpo, è un fatto talmente sconvolgente da venir attribuito agli dei. Entra nel rito un nuovo travaglio che completa la nascita di un uomo dalla morte di un bambino, o di una donna da una fanciulla.

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Un matrimonio con sposa-bambina in India. Nel mondo, rivela un recente rapporto di Save the children, ogni 7 secondi una ragazza minore di 15 anni si sposa, spesso con un uomo molto più grande di lei, a causa della povertà. Oggi sono più di 700 milioni le donne che si sono sposate prima di aver compiuto 18 anni e ogni anno 15 milioni di ragazze contraggono matrimonio ancora minorenni.

I RITI SESSUALI

La modificazione puberale più evidente riguarda le aree sessuali ed è su di esse che l’attenzione rituale si accentra. Per una visione magica ogni espressione corporea ha un significato misterioso. Gli organi sessuali diventano oggetti sacri attraverso l’iniziazione: una cerimonia in cui avvengono delle metamorfosi. Non bastano le trasformazioni biologiche (di natura), ma si devono sovrapporre quelle sociali mediate da un sacerdote, con lo scopo di purificare: liberare dagli spiriti cattivi, sostituiti dai buoni. Una delle pratiche più comuni è la circoncisione, diffusa tra le popolazioni primitive e ancora ampiamente praticata tra gli Arabi e nella cultura egizio-ebraica.

Gli Ebrei l’hanno però notevolmente “reinterpretata” e la applicano, seguendo l’ordine che Jahvè ha dato ad Abramo (Genesi, XVIII, 23-27). Ha perso il significato originario come rito della capacità di generare. In Papua Nuova Guinea il sacerdote, a sottolineare questo significato di rito puberale, simula davanti ai circoncisi una danza di accoppiamento. Sempre con significato sessuale, nel Gabon il prepuzio asportato viene nascosto nel tronco dell’albero totemico, che diventa per analogia la rappresentazione dell’organo maschile.

Si è voluto attribuire alla circoncisione un’origine igienica, applicando il modello interpretativo del rito proprio dell’antropologia “positiva” che tendeva a togliere significato misterico e quindi anche religioso alle tradizioni. È invece importante che esca del sangue assieme al male o che si liberi il glande che, con la circoncisione, si libera completamente del prepuzio e mostra una strana forma che ricorda talora i funghi magici degli Incas e talora persino un volto di misteriosa divinità. Il sacerdote con un suo gesto sacro trasforma quell’appendice dell’uomo in organo sacro. Ci sono poi i testicoli che hanno richiamato il mistero della vita e per gli Orfici il simbolo del mondo: in principio era l’uovo. Ancora nel Settecento si era immaginato contenessero tanti piccoli homunculi impaccati in attesa di esistere, dopo una permanenza nel ventre della donna. Ma anche nel Novecento, con Sigmund Freud, l’organo genitale maschile è stato caricato di nuovi simboli, talmente positivi da indurre nella donna “l’invidia del pene”. Una moderna mitologia che si aggiunge a quelle antiche.

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Una ragazza egiziana viene costretta a sottoporsi a clitoridectomia. La rimozione del clitoride, considerato un attributo maschile, segna la fine di un periodo di androginia e la trasformazione della bambina in donna. Milioni di donne in oltre venti Paesi musulmani e dell’Africa subsahariana hanno subìto questa violenta e dolorosa pratica. Nel solo Egitto circa il 75 per cento delle ragazze musulmane e copte sono circoncise.

La distinzione tra maschio e femmina si opera proprio alla pubertà e i riti hanno un significato opposto. Tanto da ritenere che l’iniziazione come metamorfosi positiva appartenga solo al maschio, mentre nella femmina si agisce per toglierle ogni segno (o residuo) maschile. Il clitoride deve avere richiamato molto presto l’associazione con un pene mancato. Una sorta di malformazione per un processo non riuscito che ha lasciato come prodotto negativo una donna. L’intervento che alla pubertà viene praticato sulla donna è la clitoridectomia oppure la infibulazione. Nel primo caso viene asportato il clitoride, ma l’operazione non rientra in un contesto sacro: generalmente sono le donne a operare. È molto dolorosa per la ricchezza di terminazioni sensoriali e spesso lascia sequele di infezioni con esiti che possono deturpare l’area pubica. Ma ancora più violenta è l’infibulazione, praticata ancora oggi su milioni di donne in Somalia, nell’Egitto meridionale, sulla costa etiopica del Mar Rosso, nel Mali, in Nigeria. L’infibulazione consiste nella resezione del clitoride (come nella clitoridectomia), ma vi si aggiunge l’asportazione delle piccole labbra e della parte centrale delle grandi labbra. Una vera e propria distruzione dell’apparato sessuale esterno. I margini della vagina rimasta vengono cuciti, le cosce serrate e mantenute in tale posizione alcune settimane per favorire la cicatrizzazione. Si ha cura di lasciare un pertugio per permettere l’emissione dell’urina e la fuoriuscita del sangue mestruale, e per questo si mette in loco un bastoncino fino a “guarigione”. Insomma, viene ridisegnata l’anatomia di questa regione causando, oltre al dolore, l’impossibilità del piacere. Generalmente occorrono cinque donne per tenere ferma la pubere operata. Ma anche in seguito il dolore verrà risvegliato dal contatto con l’uomo.

La “punizione” della donna è dominante nella storia dell’umanità e ha poche eccezioni. La più rilevante si lega alla società industriale attuale, dopo che Gregory Pincus ha introdotto, tra il 1956 e il 1959, la pillola anticoncezionale e, dunque, ha permesso di cancellare o guidare la gravidanza; premessa biologica per la parità di ruoli sociali. Una precedente eccezione è quella delle culture della Dea Madre, in Mesopotamia, con il culto della maternità. A questo identico humus si radica la Madonna, in particolare quella nera, che richiama il colore della terra fertile. Una donna che diventa madre di Dio.

Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause), film del 1955 diretto da Nicholas Ray. Nel ruolo del protagonista compare James Dean, che interpreta il problematico ribelle adolescente Jim Stark.

LA NASCITA DEL GUERRIERO

Il guerriero è l’insieme di forza fisica e di coraggio che potremmo definire “forza psicologica”. Nelle società “primitive”, a basso livello di sviluppo tecnologico, la forza è ancora muscolare, agisce direttamente o attraverso protesi semplici come bastoni, lance, frecce. In questo caso il muscolo imprime forza a un oggetto. Il coraggio è la disponibilità a rischiare la propria vita per difendere il gruppo: il villaggio o una nazione. È l’altruismo che in termini biologici significa sopprimersi per favorire la diffusione della specie. Se la sessualità e i riti che la coinvolgono hanno dimensione prevalentemente individuale, la nascita del guerriero è sociale, e per questo la celebrazione rituale ha maggior rilievo. È solo superando delle prove che il giudizio degli dei dichiarerà l’avvenuta metamorfosi.

In molte società c’è una prova globale unica di sopravvivenza. Il maschio (questi riti non riguardano la donna) deve abbandonare il suo nucleo familiare e recarsi nella foresta o in luoghi impervi sulle montagne. Deve rimanervi un periodo di tempo stabilito, generalmente due-sei mesi, e poi ritornare al villaggio, come segno del superamento della prova e testimonianza che egli ha dovuto vincere qualche animale predatore, e soprattutto vincere la paura. In altri casi le prove di forza e quelle di coraggio sono differenziate. La forza si valuta in una lotta simulata contro guerrieri esemplari o concorrenti che via via vengono eliminati oppure nell’affrontare un animale. Le prove di coraggio sono più impressionanti proprio perché, in questo caso, l’alternativa non è il superamento della difficoltà o la sconfitta, ma la morte.

Dopo il rito iniziatico, attraverso il quale si entra nella categoria dei guerrieri, prima di ogni guerra si indossa una maschera a indicare la trasformazione rispetto alla figura (volto) del tempo di pace. La maschera non serve per spaventare il nemico ma opera una metamorfosi di ruoli: si perde l’io-umano e si acquista quello dello spirito che in realtà combatte. Questa concezione è presente, come suggerisce Georges Dumezil, nella tradizione indoeuropea e la si ritrova nella mitologia greca dove è il dio più forte a vincere la battaglia tra gli uomini.

Uno hikikomori in Giappone

La ribellione dei giovani d’oggi, negli Stati Uniti e nell’Occidente, sta prendendo strade inaspettate: l’ultima triste novità è stata importata dal Giappone, patria degli hikikomori, giovani che si chiudono in un isolamento sociale volontario.

Nei riti di coraggio c’è il mascheramento che, nella sua forma più antica, è un vero e proprio “trucco”, una colorazione del viso e del corpo che più tardi giunge alla forma di un volto che si sovrappone, appeso, al proprio. Ogni maschio in vista di una celebrazione rituale deve preparare la propria maschera e per questo si reca nella foresta (o in un luogo segreto), e una volta completata la nasconde e la indosserà solo in quella occasione e la maschera non potrà servire per un successivo rito.

Dopo essere tornato da soggiorni in luoghi “primitivi” mi sono reso conto di vivere in una società primitiva anche se racchiusa in una metropoli e non nelle foreste della Nigeria, sulle montagne del Mali o tra le isole di Papua Nuova Guinea. A Rio de Janeiro i ragazzi dei sobborghi praticano il train-surf, si arrampicano sui tetti dei treni del metrò e volano a 90 chilometri l’ora schivando i cavi della corrente, i pali, i segnali, i ponti e appiattendosi nelle gallerie: e a decine ci lasciano ogni anno la pelle. A Londra, invece, i giovani si portano in una stazione della metropolitana, aspettano che il treno abbia chiuso le porte per attaccarsi a bandiera all’esterno e quindi passare nella galleria e uscire alla stazione successiva. Lo spazio tra treno e parete lascia al corpo un margine di qualche centimetro: è frequente entrare nel tunnel e non uscirne. Nella nuova foresta metropolitana si può anche salire su una moto e guidare contromano e su una sola ruota, oppure andare su una pista con un amico: uno si mette con la moto da una parte, l’altro al capo opposto e quindi a tutta velocità uno procede in senso contrario all’altro e chi ha meno coraggio si dovrà spostare per evitare lo scontro frontale. Quando i guerrieri sono entrambi coraggiosi, muoiono.

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Giovani surfistas viaggiano sui treni lanciati a 90 chilometri l’ora lungo percorsi serpeggianti tra le colline che sovrastano Rio De Janeiro (Brasile).

Ogni società prevede delle forme di coraggio: nelle società colte, sono gli esami di maturità o il servizio di leva militare. Ma oggi o hanno perso il ruolo eroico o non sono più attraenti, e allora i giovani sono passati alle prove arcaiche di coraggio. Oggi non c’è alcun bisogno di andare in Africa o tra i “primitivi” per assistere ai riti del guerriero. Questa associazione ripropone il bisogno di eroismo delle nuove generazioni: un bisogno “selvaggio”, che culturalmente carichiamo di negativo ma che ci appartiene. Il selvaggio dentro di noi. Una regressione drammatica, come se una lunga storia culturale venisse cancellata. Ogni società ha attribuito un ruolo protagonista ai giovani: oggi sono abbandonati e senza rito. La mancanza di un’iniziazione significativa è il segno di un tale disinteresse. Una pubertà inutile che non cambia nulla lasciando la condizione di un fanciullo alle dipendenze della famiglia biologica, in una gestazione perenne. Come se la società non ne avesse bisogno, come se il giovane non potesse più essere protagonista.

Occorre una nuova iniziazione che porti il pubere di oggi a ruoli sociali: ci sono problemi che gli adulti non sanno risolvere come quello dell’integrazione razziale, quello della pace, quello di una visione del mondo “ecofila“, fondata sulla comprensione e sulla solidarietà e non solo sul successo del denaro. Mai come in questo momento storico il pubere è autonomo sul piano del pensiero e mai come ora è inutile. In questo abbandono egli riscopre il suo mondo arcaico, quel selvaggio che in modo anacronistico lo riveste da pseudoeroe triste. Lo immette dentro la macchina della violenza bruta, degli omicidi, della droga, come risposta alla violenza delle belle maniere di una società che gli ha negato persino i riti di passaggio, permettendogli di essere eroe della emarginazione e di uccidere o di suicidarsi.

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* Vittorino Andreoli (Verona, 19 aprile 1940), psichiatra e scrittore. È autore di libri che spaziano dalla medicina, alla letteratura, alla poesia, e collabora con la rivista Mente e Cervello e con il quotidiano Avvenire. Per l’emittente Sat 2000 ha realizzato alcune serie di programmi, della durata di circa 30 minuti, dedicati agli adolescenti (Adolescente TVB), alle persone anziane (W i nonni) e alla famiglia (Una sfida chiamata famiglia). Tra i suoi più recenti libri per Rizzoli, segnaliamo: La gioia di pensare; Il denaro vile; L’uomo di superficie; La gioia di vivere; e l’autobiografico La mia corsa nel tempo. Per Marsilio: La nuova disciplina del bendessere. Vivere il meglio possibile.

Il cerchio della vita

Diventare grandi nel Tavoliere pugliese

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Adolescenza di Edvard Munch (1894, Oslo – Nasjonalgalleriet).

Caro Salvatore,

ti avevo parlato della nascita e dintorni relativamente al nostro contesto paesano e regionale. Ora dovrò parlarti della pubertà, un’età molto complessa, a volte traumatica, che comporta importanti cambiamenti fisici e psichici.

Penso che tu condivida la mia idea di partire, in questa seconda parte del cerchio della vita, dal nostro lemma dialettale spundenàstre, che vuol dire, appunto, “ragazzo che sta passando dalla pubertà alla giovinezza”. Quello “spuntare” insito nel termine fa pensare al sorgere (o insorgere) a un tratto di qualcosa di nuovo nell’organo sessuale maschile e femminile. Una creatura umana passa dalla fanciullezza a una fase di maturità corporea: un corpo che si innalza e si allarga.

Nei primi decenni dello scorso secolo, se nel periodo della metamorfosi si verificava la febbre, si diceva che era na fröve de cresscénze (una febbre di crescita). Di una ragazzina in età puberale, all’arrivo del mestruo, si diceva:

Ho fatte signorìne, mbìette töne do rosellìne.
È diventata signorina, ha sul petto due roselline.

E non sono forse due meravigliosi boccioli di rosa quei seni acerbi e rosei che si affacciano sul petto di una fanciulla che sta per diventare donna?

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L’incontro tra Elena e Salvatore, giovani protagonisti di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore (1988).

L’età puberale di una creatura di sesso femminile era carica di superstizioni e tabù. Bisognava proteggerla da tante insidie e dal malocchio e si pretendeva intanto che cominciasse ad assumersi alcune responsabilità: badare ai fratellini minori, pulire la casa, rigovernare, lavare i panni.

Molte ragazzine cominciavano a frequentare la casa di una ricamatrice o di una sarta o merlettaia per apprendere a cucire, a ricamare, a realizzare trine e lavori per il proprio corredo. Altre imparavano, spesso dalle nonne, a lavorare all’uncinetto o ai ferri, molto usati per le calze di grosso cotone per i contadini. (Era scontato, infatti, che le donne sapessero “fare la calza”).

Alle ragazzine più povere toccava, purtroppo, de sci a servìzzie (di andare a servire), di fare cioè le servette presso famiglie benestanti, che imponevano loro fatiche di ogni genere. Poteva accadere a qualcuna di esse di avere un po’ di libertà, un ritaglio di tempo da dedicare a qualche trastullo. Era allora che potevano giocare all’altalena, alla corda, al gioco della campana e, accompagnandolo con l’apposita cantilena, il gioco delle cinque pietre (u sciueche di peténe).

Un momento specifico era quello dell’arrivo del flusso mestruale, che spesso veniva vissuto con stupore e spavento. Toccava a mamme e nonne il compito di tranquillizzare la fanciulla, dicendole che doveva sentirsi felice d’essere diventata “signorina”. Comunque, le si faceva capire, quasi imponendole un tabù, che di quella cosa non dovesse parlare con nessuno. In famiglia, per dire che una donna era nel periodo mestruale, si diceva:

Töne i càuse ngùedde.
Ha le cose addosso

Una donna mestruata non doveva viaggiare neppure su un carro, per evitare che il cavallo ne risentisse; non doveva lavarsi i piedi, né i capelli; non doveva fare il bucato e tanto meno prendere parte ai lavori di preparazione della salsa e della premitura dell’uva. Si legavano le fasi lunari con la sessualità e la fertilità, come si può evincere da credenze, proverbi, tabù e superstizioni che scandivano la crescita della donna dalla pubertà in avanti.

Ogni fase lunare, di sette giorni, aveva un significato positivo o negativo in base alla crescita o al calo della luna. Fertilità positiva nelle prime, sterilità e carenza nelle seconde. Come le fasi lunari hanno la durata di 28 giorni, così il ciclo femminile è di 28 giorni.

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In Juno, film del 2007 di Jason Reitman che ha come slogan «meglio non avere fretta di diventare grandi», Ellen Page interpreta la sedicenne del Minnesota Juno MacGuff: la ragazza, rimasta incinta dopo una prima e unica esperienza sessuale con il suo migliore amico, decide di proseguire la gravidanza con l’intenzione di dare in adozione il nascituro ad una coppia che lei stessa ha però intenzione di scegliere.

Cosa accadeva per i ragazzi? Per essi c’era il lavoro dei campi o quello dell’artigianato. Completata a mala pena la scuola elementare, i padri contadini portavano con sé i figli tredici – quattordicenni in campagna e insegnavano loro come raccogliere i prodotti della terra, come arare, innaffiare, diserbare, potare…

Vi era chi sceglieva un lavoro da artigiano e frequentava la bottega del falegname, del fabbro, dello stagnino, del calzolaio, del sarto o del barbiere per imparare il mestiere.

Pochi, pochissimi privilegiati continuavano il corso di studi facendo i pendolari Trinitapoli – Barletta e viceversa. Soltanto i figli dei ricchi potevano completare gli studi in collegio.

Un serio ostacolo alla fecondità maschile poteva costituire l’ernia. I terrazzani del borgo Croci di Foggia, tanto forti nel sentimento religioso, quanto impastati di credenze popolari, ricorrevano spesso a riti che gelosamente conservavano, tramandandoseli di generazione in generazione. Erano pratiche magiche che dagli adulti venivano insegnate ai ragazzi durante la Settimana Santa.

Se un ragazzo aveva l’ernia (u vùezze jinde alla ngenàgghie), cioè un rigonfiamento, una tumefazione nell’inguine, bisognava buttare per tre volte nelle sue mutande un carbone acceso che doveva cadere ogni volta per terra. Le parole del rito erano:

Fuje, fuje, prete de Sande,

che u fuke subbete stutekèie.

Scappa, scappa, pietra di Santo,

perché il fuoco subito si spegne.

Un rito di iniziazione a Noci

Un autentico rito arboreo di rigenerazione e di augurale iniziazione all’atto sessuale riproduttivo (visto che l’ernia inguinale o scrotale si identifica con l’impotenza e il passaggio stretto indica una prova difficile) è quello chiamato “passa passa”, che si compiva il 3 maggio in un boschetto a Noci (Bari) e in altre località dell’Italia meridionale. Consisteva nel far passare per tre volte un bambino sofferente di ernia, in sintonia con il suono delle campane del Sanctus e dell’Elevazione proveniente dalla vicina chiesetta, attraverso la fenditura di un ramo di quercia.

L’operazione, ritenuta magica, era come una prova da imporre al bambino: una prova difficile, dall’esito incerto, sul suo alter ego, che nel caso specifico era il ramo di quercia.

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La stanza del collegio maschile del celebre “L’attimo fuggente” di Peter Weir (1989). Robin Williams interpreta John Keating, insegnante di letteratura con un approccio didattico originale che spinge gli alunni, in questa scuola di libertà, a distinguersi dagli altri e a seguire la propria strada nel segno dell’oraziano “carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita”.

Rito per la guarigione dell’ernia a Noicattaro

A Noicattaro, nel Barese, la chiesa dell’Annunziata è detta la chiesa du passa passe (del passa passa), perché in essa, per secoli, nella terza domenica di maggio, si praticava il rito della benedictio puerorum. Nelle prime ore del mattino arrivavano tantissime persone in pellegrinaggio, mosse dalla fede superstiziosa che con la benedizione i loro bambini guarissero dall’ernia.

I genitori dei bambini erniosi rimanevano trepidanti davanti al portale della chiesa e chiedevano a uno sconosciuto che ispirasse loro fiducia di prendere tra le braccia il loro bambino infermo e di portarlo davanti all’altare dell’Annunziata a ricevere dal sacerdote la benedizione e lo sperato miracolo della guarigione.

Lunghe file di padrini passavano e passavano, entrando da una porta e uscendo dall’altra… Perché il rito fosse sancito, bisognava comprare, dagli appositi venditori piazzati vicino alla chiesa, alcuni metri di nastro colorato, che veniva diviso in due parti uguali: una da legare al braccio del figlioccio, l’altra al braccio del padrino. Da allora i compari rimanevano legati da un vincolo di affetto che durava per tutta la vita.

In questo lembo del Tavoliere, come in tutta la Puglia, in tutta l’Italia e dovunque, la vita è cambiata, ma la vita tradizionale dei nostri contadini va conosciuta e ricordata. Vanno indagati tradizioni e folklore. Anche i riti e le superstizioni fanno parte della vita e persino una certa musica con i ritmi sfrenati ha un suo significato.

Purtroppo i ragazzi, i giovani di oggi non hanno esempi validi da imitare, o ne hanno di brutti e brutali; sicché accade che, come in un viaggio molto a ritroso, pare che ritornino al tempo della clava, tanto si comportano con violenza verso se stessi e verso gli altri.

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* Grazia Stella Elia, poetessa e scrittrice, è nata a Trinitapoli, nel Tavoliere pugliese. Ha insegnato per molti anni, trasmettendo ai suoi alunni l’amore per la poesia e il teatro. Si è impegnata, sin da giovanissima, nello studio del suo dialetto (“casalino”). Ha operato nel campo della cultura, organizzando convegni e incontri. È da poco in libreria il suo Aspettando l’angelo, ed. FaLvision, Bari, 2017.