Enrica Fico Antonioni ha scritto un breve ricordo/saluto per suo marito Michelangelo in occasione del centesimo compleanno del grande regista (che nacque a Ferrara il 29 settembre 1912).
100 anni! Pensi di essere vecchio? No, molto giovane. I giovani sono vecchi, i vecchi giovani. Ora che ho l’età che aveva Michelangelo quando l’ho incontrato lo capisco ancora di più, senza preoccuparmi della distanza che il tempo e la materia potrebbero mettere fra di noi. Al di fuori del tempo, quando la memoria non esiste, lo sento Michelangelo, dentro, lo vedo ancora oggi. Tutto quello che ho vissuto accanto a lui ha costruito quella che io sono adesso. Suppongo che questo sia per tutti il risultato dello stare vicino a un grande uomo o una grande donna, naturalmente.
L’ho incontrato subito dopo che aveva fatto Zabriskie Point (1970). Mi ha raccontato tutto in una sera di gennaio, al ristorante, presto, come se avesse fretta d’incontrarmi. Nel vuoto senza gente si è accorto che lo ascoltavo attentamente. Mi ha detto che ero la persona che aveva bisogno d’incontrare proprio perché sapevo ascoltare. Giusto. Mi piace mettermi in ascolto, ferma, senza che le cose, le parole, vengano subito trasformate dai miei pensieri. Lascio che le parole entrino dentro piano, a volte le sento ancora dopo anni e allora le afferro completamente. L’ho incontrato, ritengo, dopo che si era sfilato dalla visione della provincia italiana, quando il suo sguardo aveva potuto coincidere con l’altrove da sé e l’orizzonte si è aperto, è diventato lontano, lo sguardo lungo, nitido. Dai muri tanto amati il vento del deserto, la polvere della Cina, il suono di altre lingue, un altro cibo, anche quello mangiato per strada, come gli ho insegnato a fare io. Si, qualcosa lo ha imparato da me. Alla sua età di allora aveva l’energia di un guerriero, un guerriero indiano americano. Il corpo asciutto, nervoso, la pelle secca, calda, l’ansia di chi cerca continuamente, di chi guarda rapace. I racconti del deserto, dell’America, degli incontri con Carlos Castaneda, della musica suonata davanti ai polli che volano, dei voli in elicottero sui canyon, della pittura astratta, del colore, il colore dei sentimenti, specialmente il rosa tenue, pallido, il verde chiaro, quasi grigio, sono stati fatali.
Da allora la mia anima deve aver riconosciuto in quell’uomo colui che valeva la pena non lasciare più. Così mi ha portato con sé in una vita a dir poco avventurosa. Ho incontrato migliaia di persone, costruito con lui inquadrature su inquadrature, modificato le realtà con ogni mezzo. Ho imparato a guardare. È una specie di visione dorata quella dell’artista, di quell’artista. Uno scoglio diventa un profilo di donna, una rosa appassita una relazione finita, ogni rifrazione di luce ha un messaggio. Facile per chi guarda col cuore vedere oltre l’aspetto grossolano e avere rivelazioni, spesso capire il senso della verità profonda. Michelangelo vedeva cose di cui allora nemmeno mi accorgevo. Focalizzava, come fanno i bambini, piccoli dettagli che diventavano enormi quando li vedi e allora attirano tutto il tuo interesse. L’idea de Il grido (1957) mi è venuta guardando un muro, diceva. È con lui che ho imparato veramente a vedere. Tutti possiamo imparare attraverso la sua arte, il suo istinto, la sua integrità artistica, a essere più giovani, al di là del tempo, a sentire, a percepire e a chiedersi il perché di tutto finché, stando in ascolto, le risposte arrivano, la realtà si trasforma fino a coincidere con la propria magica intuizione. (Enrica Fico Antonioni – Fonte: Ansa.it)
A PROPOSITO
Quando pubblicai L’Aquilone, la favola di Michelangelo e Tonino Guerra per l’umanità del terzo millennio. Che invano aspetteremo al cinema
Leggo con emozione le belle parole che Enrica ha dedicato al suo sposo e maestro. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, Michelangelo. Con Tonino Guerra, il suo sceneggiatore preferito, aveva ripreso da poco l’opera scritta a quattro mani, L’Aquilone. Una favola senza tempo del 1982, dedicata all’umanità del terzo millennio, dalla quale avrebbe dovuto essere tratto l’omonimo film.
Pubblicai L’Aquilone nel 1996 in una splendida versione extralarge illustrata, con sfumature di colori come terra e cielo, dal russo trapiantato a Los Angeles Vadim Medzibouskiy (all’epoca avevo creato l’Editoriale Delfi). Scritto in una lingua ricca di stupori, come ci si può aspettare da due maestri fabbricanti di sogni, “la storia ha un finale a sorpresa – ha scritto Claudia Provvedini sul Corriere della Sera – ma potrebbe ricominciare all’infinito”.
Le riprese del film sarebbero dovute iniziare nell’autunno 2007, con la regia di Enrica Fico.
La sera del 30 luglio 2007 Michelangelo è morto serenamente nella sua casa di Roma.
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