Il mio arrivo a Bologna per la presentazione di un volume alla libreria Zanichelli coincide con un compleanno speciale di un bolognese da esportazione: Luca Goldoni (Parma, 23 febbraio 1928), fertile giornalista e scrittore di successo, che nella sua lunga carriera, ancora in corso, è stato cronista di nera, inviato di guerra, osservatore di costume (vi raccomando le sue cartelle frizzanti di ironia su Oggi, sul Corriere della Sera e su QN, il Quotidiano Nazionale che include Il Resto del Carlino, il Giorno e la Nazione). A chi scrive toccò la fortuna di averlo collaboratore ai tempi di Airone da me diretto (formidabile un invito alla visita nel borgo ideale di Longiano, in Romagna) e la gioia di averlo a fianco nelle giornate di Ferragosto, quando a Cervia ci si trova per la bella iniziativa “La spiaggia ama il libro”. Ai miei auguri per nuove soddisfazioni, Luca ha risposto ringraziandomi e mandandomi un testo preparato per i suoi lettori di QN: “Fai di me e dei miei 90 anni quello che vuoi”. Ecco le sue stimolanti parole.

Carissimo Salvatore,

incrocio un’auto ferma in mezzo alla strada che lampeggia per poter voltare. Mendica una gentilezza e io freno per favorire la manovra. Un ragazzetto in scooter sopraggiunge, mi affianca e mi grida “Sveglia nonno!”. Mi ha dato del vecchio bollito ma senza rabbia. Solo perché non concepisce che si possa rinunciare a un diritto. Diventeranno grandi anche loro, ma per adesso mi fanno sentire un sopravvissuto. Come si sa, l’uomo è il più infelice tra gli esseri viventi, perché ha coscienza anche della morte. Lo sa pure da giovane, ma non collega l’evento alla sua sorte personale. O meglio, ripete che tutti siamo destinati a morire, ma lo pensa in astratto: un modo di dire, tipo si-vive-una-volta-sola, la-vita-è-fatta-a-scale, ecc. È invecchiando che il nostro si scopre all’improvviso “zavorra” per i bilanci dello Stato, “soggetto a rischio” per gli agenti delle assicurazioni che lo valutano brutalmente come un’auto usata: quanto chilometri? Che aspettativa di vita? E allora si sorprende ad amare svisceratamente il suo scampolo di esistenza.

In pubblico proclama che non ha paura di morire, ma quando si sveglia di notte avverte sensazioni inquietanti. I battiti del cuore rimbombano nel silenzio, quel ritmo così familiare, quand’è percepito nel polso, diventa angoscioso nelle immagini di un’ecografia che ora rivede nel buio: una forma che pulsa febbrile, quasi con affanno, e il microfono amplifica come una risacca il ritmato fluire del sangue: sessanta convulse contrazioni al minuto. Un impressionante spiraglio nel mistero della biologia. Chi ha progettato questo straordinario meccanismo che regola la vita? Nelle tenebre si accendono pallidi barlumi del Grande Enigma: le comunissime microonde del nostro forno o gli ultravioletti della lampada abbronzante sono le stesse misteriose forze che governano l’universo.

Mi affascina il rapporto con Dio nell’allegoria immaginata da Albert Einstein. Un ragazzo si trova in un’immensa biblioteca tappezzata da libri scritti in molte lingue. Ha il sospetto che questa moltitudine di volumi siano disposti in un ordine logico, ma lui non sa quale. Con queste immagini, conclude Einstein, avverto la presenza di un potere superiore che si cela però nell’incomprensibile universo. Mi piacerebbe scoprire come la pensano su questo tema il mio giornalaio, il benzinaio, la postina. Ma come si fa ad aggredirli, hai paura di morire, esiste l’aldilà, hai un’idea di infinito?
Una volta ho aggirato l’ostacolo con un minisondaggio sulla profezia dei Maya. Tutti ammettono che non sarebbe poi così assurdo: un’umanità come la nostra merita solo di sparire. E finire con tutto il mondo è meno triste che morire per conto proprio, non si vedono i parenti attorno al letto, non si ascolta oltre la finestra la vita che continua.

Lo scenario più sofisticato di fine del mondo me lo descrisse un liceale:

La luce si attenua lentamente come al cinema. Il cielo si illumina come lo schermo e si apre, rivelando cosa c’è dietro: e affiorano le immagini che ti facevano sorridere incredulo: il Signore con la barba, gli angeli con le trombe e tu stai volando come i violinisti di Chagall. Allora pensi: è un sogno, devo svegliarmi. E invece non ti svegli più.

(Un finale da Oscar, non immaginavo per la fine del creato tanta creatività).

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Luca Goldoni (Parma, 1928).

Ma adesso devo concludere e non posso esimermi da qualche confessione: quasi una TAC del mio ego.
Il mio lavoro interferisce con la famiglia? Sì, ed è alienazione totale. Per esempio, mia moglie mi sta sottoponendo un problema di casa e io mi distraggo perché le sue parole mi suggeriscono la chiusa di un articolo.
Sono sicuro di me? Da giovane no e adesso nemmeno: a costo di ricalcare un noto aforisma, rispondo che se ho un po’ di sicurezza deriva dal sapermi insicuro, cioè insoddisfatto. Anche di questa risposta.
Un’autodefinizione? Sono un egoista che soffre delle sofferenze che procura. Forse sono un ego-altruista.
La mia gioventù in sintesi? Bombe, morte, fame, freddo. Però immense emozioni: la pace, le prime notti a luce accesa ballando il Boogie, la libertà, cioè andare in piazza e dire “io sono contro”. E una grande serenità dovuta al fatto che non esistevano smart, video, web, ovvero gli elementi che oggi trasformano tanti bulli in feroci criminali.
Rimorsi? Sì: mi sono lasciato troppo consumare e assorbire dal mio lavoro. Quando incontro degli amici – affermati professionisti, che si ritagliano il tempo per smestolare nelle mense dei barboni, guidare ambulanze, portare coperte ai clochard avvolti nei cartoni, regalare una passeggiata a qualcuno con il bastone bianco – mi sento in imbarazzo, come se avessi esaurito la mia solidarietà con qualche chiamata a Telethon. Peccato: riparerò nei prossimi novant’anni.

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A PROPOSITO

Con parole sue

di Luca Goldoni

Oggi, per trovare un paragone accettabile col sistema di corruzione italiano bisogna risalire alla Bibbia: Esaù che vende il potere per un piatto di lenticchie. Però da allora i prezzi sono lievitati.
Pian piano scivolo dentro un film in bianco e nero dove affiorano i fantasmi dell’epoca. Le atomiche che esplodono in Russia e in America. Un’altra atomica che deflagra in tutto il mondo: Rita Hayworth. La Dama Bianca ci ruba Fausto Coppi. La senatrice Merlin chiude i casini. Le extrasistole delle platee maschili per le calze nere di Silvana Mangano in «Riso amaro».
Sono il primo a riconoscere che il fascismo fu una tragicommedia. Di più tragicomico, probabilmente, ci furono soltanto gli italiani. Non è il caso di disperarsi: anche i popoli hanno avuto un’infanzia difficile.
L’Italia, come dice Calvino, ricorda il lampione della storiella: l’ubriaco sta cercando la chiave sotto la lampada, un passante gli chiede se è sicuro di averla perduta proprio lì; no, risponde l’ubriaco, ma qui ci vedo.
I tabù no, non si riciclano, si possono soltanto superare. (Tanti si chiedono come potrà estinguersi l’umanità: carestia, catastrofe ecologica o nucleare; io credo che basterebbe cominciare a dire che anche l’omicidio, in fondo, è un tabù).
L’ultima (e bellissima) novità è che i giovani, toh, si sono accorti di Beethoven.
Disgraziatamente gli uomini (e le donne) sanno vivere soltanto il loro presente. Voglio dire che a cinquant’anni è molto facile dimenticarsi di come si ragionava e ci si comportava a venti.
Si dice che i vecchi sono stanchi e aspettano quel momento. Io credo che non si è stanchi mai di vivere, forse la stanchezza proviene solo da una sterminata malinconia.
Ci si ricorda della vecchiaia soltanto quando ci tocca personalmente con le sue ali fragili e bianche. Ci troviamo in quella solitudine che prima abbiamo procurato.
Il «mondo del peccato» nella nostra vita pubblica si identifica in una grigia, desolante litania di fondi neri, aste truccate, tasse evase, favori illeciti, interessi privati in atti d’ufficio, radiospie, servizi segreti: sempre soldi o potere, che malinconia.
Lo scandalo italiano va rifondato, meno appalti e più ancelle, meno fughe in avanti e più fughe a Parigi, meno corruzione e un po’ di tonificante perdizione. Dobbiamo recuperare la fragilità della carne, dobbiamo recuperare l’erotismo, il peccato. È l’unica salvezza contro il vizio maniacale del potere.
Abbiamo saputo che Ciano era spesso contrario alle decisioni di Mussolini, perché lo aveva confidato al suo diario segreto. Se lo avesse pubblicato subito, ci avrebbe rimesso il posto ma forse le cose sarebbero andate diversamente.
La ragione ci porta fino ai piedi di un muro e ci lascia lì. Credo che l’ultima risorsa sia lo stupore: non bisognerebbe stancarsi mai di provare un attimo di sbalordimento di fronte a quelle cose che ci paiono ovvie: il suono della propria voce, la venatura di una foglia, le stelle che cadono la notte di San Lorenzo.
Una ragazza delle medie una volta mi scrisse: perché sui giornali si parla solo delle cose che succedono e mai della vita? Anche la vita succede.

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