Su Greenews.info Tiziano Fratus sta pubblicando il diario di un suo viaggio alla ricerca delle sequoie monumentali d’Italia. In questa puntata si sofferma sull’incontro con le sequoie di un tratto dell’Appennino modenese che ci sta particolarmente a cuore. Qui è nato il papà del fotoreporter Francesco Leoni, gigante della fotografia che ha illuminato mezzo secolo di cronaca della Riviera ligure; e da qui, molto prima, era partito da ragazzo, rifiutando la ricchezza della famiglia per fare il soldato, Raimondo di Montecuccoli, che sarebbe diventato un dei condottieri più famosi d’Europa (rimando all’avvincente libro dello storico Antonio Saltini, “Il figlio del condottiero”, Nuova Terra Antica editore).

Il testo di Fratus è tratto dal nuovo libro “Questi occhi mettono radice. Alberografie nel cuore dell’Emilia Romagna” (di Tiziano Fratus e Lorenzo Olmi, Mucchi Editore, Modena, 2012).

In Emilia ne abbiamo incontrate diverse, anche per caso, come nel caso di Zocca (il paese di Vasco Rossi) e Sasso Marconi, altre invece erano già segnalate, come le sequoie di Bologna, anche se scarsamente, di Salsomaggiore Terme e di Pavullo nel Frignano, la California dei colli Emiliani

Il luogo più interessante, anzi, affascinante che un cercatore di alberi da sequoia secolare può visitare in Emilia Romagna è Pavullo nel Frignano (foto a destra), una cittadina nel bel mezzo dell’Appennino sui colli modenesi, a poco distanza da un altro comune simbolo della regione, Zocca. La vecchia guida “Alberi monumentali d’Italia” (1992) segnalava qui dieci sequoie, all’interno del Parco Ducale, la maggiore alta trenta metri e con 500 cm di circonferenza del tronco; erano segnalate a corredo del monumentale cedro del Libano, trenta metri di altezza per 575 cm di tronco. Ci siamo recati a Pavullo. Il parco è nel centro del comune, un parcheggio lo costeggia. Abbiamo subito individuato i tronchi colonnari di sequoia, formano una microforesta dall’atmosfera magica, ribattezzata curiosamente “Parco dei Pini”, con quella penombra soleggiata tipica che sanno coltivare alla loro base. La corteccia rossa e fibrosa emana una luce calda. Siamo arrivati in tarda mattina e con una certa sorpresa abbiamo constatato che una zona del parco pubblico ora è a gestione privata, apre alle ore 14 per restare aperta fino alle 2 di notte. Non capiamo bene, chiediamo ad alcuni cittadini che incrociamo e tutti ci danno la medesima risposta: “Che strano, ma è aperto”. Non serve a molto segnalare “dove ci sono le sequoie”, in diversi ci guardano come se calassimo dalla luna.

Lungo la parte bassa si può entrare, ma soltanto fino ad una staccionata che viene interrotta dalla radice di una sequoia. Scavalchiamo e ne misuriamo il tronco, 510 cm. Accanto una seconda, a pochi metri dalle pareti di una baita, 580 cm. La prima non produce coni, la seconda in abbondanza. Superano i venticinque metri. Usciamo ed avendo fame ci rechiamo a un forno che abbiamo avvistato lungo la provinciale che attraversa Pavullo, dove addentiamo un pane squisito. Ci nutriamo e torniamo al parco.

Le due. Un signore e un bambino aprono in orario, li conosciamo, insieme alla moglie, sono la famiglia che gestisce il bar che occupa questo spazio rettangolare, una porzione di parco nel quale svettano le dieci sequoie giganti. Il gestore ama gli Stati Uniti e si capisce: alle pareti fotografie e una serie di targhe da diversi Stati. Per quello che sanno il parco è stato creato a inizio Novecento, epoca alla quale dovrebbe risalire la messa a dimora delle sequoie. Mi dicono che una è caduta una decina di anni prima, un fulmine l’ha centrata, mentre altre due sono state colpite successivamente. Una di queste è spezzata, nel tronco ci ha fatto il nido un barbagianni, il bambino mi fa vedere alcune foto che ha scattato ai piccoli nel nido. E’ un bambino con due grandi occhi scuri, placidi, luminosi, molto curioso, che ci resta intorno durante le misurazioni, gli affido il compito di trovare a terra il più grande cono possibile e di trovarne, se ne vede, di verdi.

Rispetto all’ingresso che costeggia il bar, tre sequoie se ne stanno in fila indiana lungo la direttrice che scende alla provinciale, due costeggiano la strada superiore che tange Palazzo Ducale, oggi sede del tribunale e la parte preponderante della collina adibita a parco, dove svettano il cedro del Libano monumentale e altre sorprese che andremo a incontrare successivamente; l’ultima delle due è quella spaccata che ospita il nido di barbagianni. Tre se ne stanno lungo il confine adiacente, le altre due al fondo e sono quelle che abbiamo visitato in mattinata scavalcando la staccionata. Misuriamo il tronco di tutte e otteniamo le seguenti misurazioni: 650, 540 (la più alta, trentacinque metri), 670, 517, 558 (quella decapitata otto anni fa da un fulmine e che ospita il nido), 490, 413 (la più bassa, circa quindici metri e particolarmente danneggiata da un fulmine), 515. La maggiore, per dimensione del tronco, è quella più vicina al bar, 670 cm. Tutti gli alberi oggi sono dotati di parafulmine. Il ragazzino ci porta un cono verde, fresco di caduta, sigillato. Gli spiego che da questo cono si possono raccogliere i semi, basta aspettare che secchi e che si apra. Gli consiglio di metterlo sopra un fazzoletto aperto, di modo da non perdere le semenze. Quindi metterli in una bustina di plastica in freezer, attendere la prossima primavera e deporli nel terriccio di un vaso. Questa è la procedura standard che si segue per favorire l’adattamento dei semi di sequoia. Scattiamo molte fotografie.

Una vista del Palazzo Ducale.

Ci dirigiamo nel parco superiore, il vero parco pubblico di Pavullo, che circonda e sovrasta Palazzo Ducale: è privo di cancelli e recinzioni, ampi spazi e grandi alberi, che attribuiscono un’aria e un contegno regale al sito. E qui abbiamo la sorpresa: altre tre sequoie, una grossa, la chioma ampia e fluente, davvero generosa, che dalla cima arriva alla base, coprendo il tronco completamente alla vista, e due doppie, sempervirens, alla base della collina. Un bel colpo d’occhio, non c’è che dire. Tutte e tre superano i 32 metri di altezza, tranne una costale che tocca quota 35.

620 cm è la circonferenza del tronco della giganteum, che riesco a misurare infiltrandomi sotto la chioma da monte, dove c’è un’apertura e si può ammirare la corteccia rossastra del tronco. A fianco svetta il cedro del Libano, qui per tutti “il Pinone” (dev’essere un vizio…), una bella creatura di Dio. Sei metri di circonferenza del tronco, ramificazioni dai tre metri in su, il tronco inizia a sdoppiarsi ai nove metri. Altezza: 31 metri. Non presenta alcun danno, le fronde si sono aperte soprattutto a valle. Due ragazzi parlottano, decidono se si amano ancora al suo cospetto, paiono minuscoli ma al posto giusto.

fonte: GreeNews.info