Giovanni Palatucci (Montella, 1909 – Dachau, 1945)

Giovanni Palatucci
(Montella, 1909 – Dachau, 1945)

Quanta amarezza per l’acredine con cui si sta infangando la figura di Giovanni Palatucci, funzionario di polizia morto a 36 anni nel lager nazista di Dachau per avere aiutato ebrei e perseguitati politici e avere cercato di salvare sino all’ultimo l’italianità di Fiume!

Si cerca di fare ciò con annunci gridati su nuovi documenti che dovrebbero capovolgere le conoscenza sinora scaturite da quelli esistenti e dalle testimonianze di persone da lui aiutate, non solo ebrei. Difficile cogliere il sentimento che guida tanta acredine. Rancore verso il Vaticano, verso il Ministero, verso tutta la Polizia; intolleranza per la loro ritenuta enfasi e mitizzazione? Personalmente con lo storico, oggi parte attivissima della nuova ricerca stimolata in una tavola rotonda a New York del centro Primo Levi, facemmo insieme ricerche in passato, anche all’Archivio Centrale dello Stato. Quali nuovi documenti sono stati trovati ora e dove? Presso l’archivio tedesco, magari delle SS che lo arrestarono e torturarono? Presso il successivo archivio delle Questura di Fiume occupata nei primi mesi ’45 dalla polizia di Tito che fece sparire subito centinaia di poliziotti e carabinieri solo perché italiani? E come ciò si concilia con le tante testimonianze raccolte di ebrei, e non solo, aiutati da Palatucci?

Alcuni li ho sentiti personalmente, altri (come Luciano Gregori, suo compagno di prigionia a Dachau) lo stesso storico. E come si legano con le relazioni di storici, uomini di cultura dell’epoca, come Luksich Jamini, Rodolfo Grani, a Paolo Santarcangeli? Peraltro i primi che parlarono dell’aiuto fornito a “migliaia” di ebrei che si rifugiavano a Fiume sfuggendo dai nazisti di Hitler e dagli ustascia di Pavelich, non furono né il Ministero dell’Interno né il Vaticano, ma nella prima conferenza ebraica mondiale svoltasi a Londra nell’agosto 1945 il delegato Rafael Danton che rivelò l’esistenza del cosiddetto “canale di Fiume”; e da qui si giunse al nome di Palatucci attraverso testimonianze di persone da lui salvate.

Certo Giovanni Palatucci era inserito nel sistema di polizia di allora, essendo già a Fiume dal novembre 1937 (fattovi trasferire da Genova dal questore Buzzi perché aveva osato parlare di “polizia vicina alla gente”); di fatto egli subì la Repubblica sociale di Salò, perché l’amministrazione italiana ben poco contava giacché la città dolo l’8 settembre venne occupata dal III Reich come Adriatiches Kustenland. Chissà se la nuova ricerca ha trovato l’atto di adesione di Palatucci alla RSI. Nell’Archivio nazionale di Stato non c’era. Ci però sono le sue relazioni, alcune scritte poco prima che fosse arrestato, al Capo della Polizia Tamburrini e Cerruti, al Consigliere germanico Pachnek, al Capo della Milizia Chianese: vi si può leggere e sentire allarme e disgusto verso quel che accade, giudizi severissimi verso il prefetto e i tedeschi, attenzione verso i suoi uomini, amore verso l’Italia. Eppure poteva mettersi ancora in salvo!

C’è la frase: “In materia di dirittura morale io rendo conto alla mia coscienza che è il più severo dei giudici immaginabile, e se necessario ai miei superiori gerarchici…”. Nel 1955 lo storico Luksich Jamini, vicino a “Giustizia e Libertà” arrestato prima dai “fascisti” di Mussolini e poi dai “conquistatori titini”, scrive (rivista “Il Movimento di liberazione in Italia”. Luglio 1955, fasc. 4). “Il dottor Palatucci, cattolico credente, era convinto che non si debba obbedire a una legge del potere civile in contrasto con la legge suprema della difesa e del rispetto dell’umanità”.

È intuibile che dalla posizione in cui si trovava, non poteva fare miracoli. Certo è che poteva mettersi in salvo. Preferì restare e aiutò come poté, come testimoniano diversi ebrei, e non solo. Diede la vita. Morì di stenti e sevizie, a Dachau il 10 febbraio a 36 anni e il suo corpo è nella fossa comune sulla collina di Leiteberg. Io sono disponibile a continuare ogni ricerca, confronto e dibattito, con l’attivissimo storico a senso unico e i nuovi ricercatori, mettendo a disposizione quel che poco che ho e so. Ma esorto tutti con le parole di Giuseppe Ungaretti:

Cessate di uccidere i morti, non gridate più, non gridate

se li volete ancora udire, se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,

non fanno più rumore del crescere dell’erba,

lieta dove passa l’uomo.

A PROPOSITO

A Giovanni, internato numero 117826

poesia giovanni palatucci 1994

* Ennio Di Francesco, già ufficiale dei Carabinieri e funzionario della Polizia di Stato. Figlio di un Maresciallo di Carabinieri deceduto per infermità di servizio. Tra i promotori negli anni ’70 della riforma democratica di polizia che condusse alla legge 121/81. Autore di: Un Commissario con prefazioni di Norberto Bobbio, Gino Giugni, Marco Tullio Giordana, Giancarlo De Cataldo, Corrado Stajano e don Andrea Gallo; Radicalmentesbirro con quelle di Don Gallo e Marco Pannella; Frammenti di utopia, con quelle di Mario Calabresi e Marco Alessandrini; Il vate e lo sbirro. L’indagine segreta del commissario Giuseppe Dosi sul «volo dell’arcangelo». È un uomo dello Stato che ha avuto una vita difficile per la sua intransigente fedeltà alle istituzioni della Repubblica. Per approfondimenti: enniodifrancesco.it