LA MEMORIA ATTUALE.
QUANDO, A FINE NOVECENTO, ANDAI A CHIEDERE AGLI ESPERTI:
SE IL VESUVIO ESPLODE...

testo di Salvatore Giannella*

Una strage infinita. Erano concordi tutti, nel novembre 1999, gli esperti che sorvegliavano il sonno del Gigante addormentato. E per i 600 mila abitanti alle pendici sono previsti soli venti minuti per mettersi in salvo. Un mio  reportage tra gli esperti vulcanologi da rileggere oggi, 25 anni dopo, facendo tutti gli scongiuri e con il fiato sospeso nei giorni di caos, paure e prove di evacuazione diventate familiari nei Campi Flegrei e nella Campania felix in allarme per le scosse di terremoto. 

Napoli – Moriranno tutti. Arriverà la morte nel giro di 10, massimo 15 minuti per centinaia di migliaia di abitanti che vivono nel cerchio di sette chilometri attorno al Vesuvio e avrà il volto grigio di una nuvola di gas roventi, ceneri e lapilli.

Facciamo pure tutti gli scongiuri di rito, ma è questo scenario (il più pessimistico) frutto di una simulazione fatta al computer utilizzando tutti i dati disponibili sul “Gigante” di Napoli. In questo scenario, gran parte dei 600 mila abitanti dei 18 comuni vesuviani sarebbe colta di sorpresa se il vulcano più famoso del mondo, che in questo periodo borbotta, si svegliasse dal suo “dinamico riposo” senza dare un ragionevole preavviso.

Un augurabile preavviso di giorni o, meglio, di settimane e mesi, per poter permettere l’evacuazione di massa della popolazione de 18 Comuni interessati verso i luoghi di accoglienza previsti in 17 regioni d’Italia.

Il risveglio “senza preavviso” è visibile nelle simulazioni che vengono fatte e periodicamente aggiornate dal 1975 da un équipe di esperti vulcanologi dell’Università di Pisa: potrebbe avere degli effetti più disastrosi nella storia del vulcano in quanto in ogni caso esaminato, anche simulando eruzioni dieci volte più piccole di quella che rase al suolo Ercolano e Pompei nel 79 d.C., i “flussi piroclastici” (termine freddo che però indica la micidiale miscela fatta di correnti di gas, ceneri, lapilli e magma frammentato incandescente eruttati dal vulcano)  raggiungerebbero il mare, distante circa sette chilometri,  in 10 o al massimo 15 minuti.

Troppo pochi, anche per l’evacuazione di un solo ospedale (come quello di Torre del Greco, il Maresca, costruito senza norme antisismiche proprio sulla linea di frattura da dove uscì la lava che sommerse il paese nel 1861): figuriamoci tutti gli abitanti dei Comuni a rischio. Troppo pochi, quei minuti e anche eventuali ore, per la pur grande squadra della Protezione civile: “Impiegherà circa 16 mila tecnici pronti ad attivarsi in 15 oree  a evacuare 600 mila persone in una settimana”, informa  Elvezio Diamanti, geologo e coordinatore dei piani nazionali di Protezione civile.

Un’ipotesi di futurologia campate in aria, quella di un apocalisse prossima ventura alle porte di Napoli nel caso che il vulcano si risvegliasse inaspettatamente domani, fra 10, 50 o 300 anni? Uno “scenario allarmistico e poco costruttivo”, come è stato bollato il recente grido d’allarme del vulcanologo americano Flavio Dobran, pendolare tra la New York University e gli atenei di Roma e Pisa, che sulle colonne dell’autorevole rivista scientifica Nature (in collaborazione con i colleghi Augusto Neri di Roma e Micol Todesco di Pisa) si è spinto a prevedere addirittura “un milione di morti in un quarto d’ora”?

COME IL BIG ONE IN CALIFORNIA.

Tutt’altro se si mettono insieme pazientemente le tessere conosciute del “mosaico Vesuvio”. Tessere che indicano che nessuno, nè gli scienziati nè gli esperti della Protezione civile, saranno  saranno sorpresi se ci sarà il Big One vesuviano,  come quello che minaccia la California: “Il vulcano non è affatto spento, ci dovremo aspettare quindi delle eruzioni in futuro. Non chiedeteci quando, però”, sono le parole che va ripetendo da tempo Lucia Civetta, direttrice dell’Osservatorio vesuviano, che sorveglia 24 ore su 24 il “sonno” del vulcano. Ed Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica: “Il nostro Big One noi ce l’abbiamo già avuto: nel 79 d.C. quando il Vesuvio distrusse Ercolano e Pompei. E non è escluso che possa ripetersi”.

E’  lo stesso Franco Barberi, il più celebre vulcanologo italiano e sottosegretario alla Protezione civile, ha confidato di recente: “Il Vesuvio è al vertice delle nostre preoccupazioni. La riattivazione del vulcano scatenerebbe una catastrofe spaventosa… Il vulcano ha il suo serbatoio di magma  a 4-5 chilometri di roccia solida. L’ultima eruzione risale al 1944: da allora il magma si addensa nella camera e aumenta con il tempo. Quanto più a lungo dura il periodo di riposo, tanto più violenta ed esplosiva sarà la futura eruzione. Il Vesuvio è oggi una polveriera con 600 mila persone intorno”.

Completano il mosaico queste parole di Giuseppe Luongo,  professore di Fisica del vulcanismo ed ex direttore dell’Osservatorio vesuviano: “Nessuno può prevedere che tipo di evento ci sarà e, quel che è peggio, quando ci sarà”.

Le tessere informative raccolte indicano lo scenario passato di riferimento, che è quello dello scoppio del 1631. Quel “modello” è stato evocato sia da Franco Barberi sia da Lucia Civetta: “Noi abbiamo come scenario di riferimento un’eruzione esplosiva simile in energia a quello del 1631 in cui, con la popolazione di allora, morirono non meno di 5 mila persone”, ha confessato la “guardiana” del vulcano al quotidiano Resto del Carlino. E alla domanda del cronista su quanti sarebbero le vittime con la popolazione di oggi, Civetta precisa: “Si potrebbe calcolare 100, forse 200 mila”.

Una catastrofe di gran lunga maggiore rispetto al passato, perché oggi le pendici del Vesuvio sono ricoperte da migliaia di case, di cittadine, di borghi. Una densità di popolazione spaventosa: Portici è a livello di Hong Kong, 100 mila abitanti su 4 chilometri quadrati.

Se, come preannuncia la studiosa più a contatto con il vulcano, il “modello” è quello del 1631, allora accadrà questo: il vulcano darà dei segnali d’allarme per 10 ore, tanto fu il preavviso concesso dalla montagna in quell’occasione, poi erutterà. Si tratterà di un’eruzione esplosiva (ci aiuta a ricostruirla Roberto Santacroce, 55 anni, docente di vulcanologia all’Università di Pisa) caratterizzata da una colonna di gas e particelle solide che salirà per alcune decine di chilometri e che, nella parte più alta, sarà soggetta ai venti d’alta quota.”Poco dopo la colonna, come il latte che si rovescia da un tegame, collasserà e il Vesuvio emetterà le colate piroclastiche che scenderanno dalla bocca del vulcano a temperature di oltre 300 gradi e a una velocità superiore ai 100 km all’ora”, spiega il professor Santacroce. Grosso  modo la stessa cosa che è successo anche in occasione dell’eruzione che seppellì Pompei ed Ercolano.

Su questo scenario la direttrice dell’Osservatorio vesuviano ha già detto giorni fa la sua: “Si tratta solo di previsioni fatte tenendo presente l’evento massimo verificabile, cioè la peggiore situazione possibile”., E mentre gli scienziati discutono, gli abitanti dei Comuni vesuviani, come i loro predecessori, appaiono incuranti della potenza distruttiva del vulcano.

COSÌ PARLÒ PLINIO.

Così Plinio Cecilio narra a Tacito come erano andate le cose, quel 24 agosto del 79 d.C., nella Campania Felix ai piedi del Vesuvio:

“Si fece notte, Non però come quando c’è la luna, o il cielo è ricoperto, ma come a luce spenta, in ambienti chiusi. Avresti potuto sentire i cupi pianti disperati delle donne, le invocazioni degli uomini: alcuni con le grida cercavano di richiamare e alle grida cercavano di rintracciare i genitori, altri i figli, altri i coniugi. Gli uni  lamentavano le loro sventure e gli altri quelle dei loro cari; taluni, per paura della morte, si auguravano la morte. Nella maggioranza si formava, però, la convinzione che gli dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima del mondo”.

Quando, sorpresi, i 25 mila cittadini di Pompei alzano gli occhi al cielo, osservano sbigottiti la nube nera a forma di pino poggiata sulla montagna. E poi la vedono, quella nuvola, collassare su se stessa, non più sostenuta dalla forza dell’eruzione, e precipitare sulle loro teste.

Com’era bella e ricca e viva, Pompei, fino a quel maledetto 24 agosto. Con i templi, le ville sfarzose,  i mercati, le strade affollate, i negozi, le taverne, le bische e i bordelli, il porto e lo straordinario anfiteatro da 16 mila posti. .Era così spensierata, Pompei,  da non aver dato peso ai terremoti che si susseguivano ormai da 16 anni. Nessuno li ha associati alle viscere della momntagna vicina. Per questo nessuno era preparato alla tragedia del 24 agosto del 79

Il Vesuvio ha distrutto, in meno di due giorni, Pompei ed Ercolano. “Ma è la mancanza di memoria storica”, denuncia il giornalista scientifico Pietro Greco, “che ha ucciso a migliaia gli imprudenti abitanti di quelle ricche città. E’  bastato che il Vesuvio se ne stesse silente per un secolo, perché l’uomo ne dimenticasse la potenza”.

I VULCANI ROSSI E GRIGI.

La situazione odierna, purtroppo, assomiglia molto a quello della Campania Felix di ieri. Il vulcano tace da oltre mezzo secolo, sembra finalmente quieto. E noi ci siamo dimenticati che il Vesuvio è un vulcano. Un vulcano che talora si comporta da “vulcano rosso“, vomitando lava infuocata dai fianchi in maniera prevedibile e controllabile, come fa oggi l’Etna: ma che talora, nella sua “giovane” vita di 18 mila anni si comporta come il più pericoloso dei “vulcani grigi“, cioè quei veri vulcani assassini che eruttano nubi ardenti. Perché questo è il terribile potere dei vulcani splosivi, che che il Vesuvio e, per fare un esempio lontano ma famoso, il Pinatubo nelle Filippine, esemplificano in modo drammatico.

A differenza di quanto si crede, infatti, non sono le eruzioni di lava a uccidere: in questo secolo non hanno causato più di un centinaio di morti. Le vittime più numerose sono dovute alle nubi ardenti.36 mila morti, di cui 28 mila nell’eruzione della Pelée nel 1902 in Martinica: e poi alle colate di fango, i lahar: oltre 100 mila morti di cui 23 mila ai piedi del Nevada del Ruiz, in Colombia, nel 1985.  “I vulcani grigi sono mostri diversi dagli altri. Sono sterminatori di massa”,  ci avevano confidato anni fa i due vulcanologi francesi Katia e Maurice Kraft, prima di essere a loro volta uccisi da un vulcano grigio che avevano avvicinato per studiare: l’Unzen,  in Giappone.

Il Vesuvio è un vulcano grigio in condizioni che gli esperti chiamano di “stato stazionario”. Ovvero nella sua camera magmatica seguita ad affluire roccia fusa senza soluzione di continuità. E si accumula.  Fino a quando, tra il 2010 il 2020 e comunque non oltre il 2050, come ha previsto su Oggi il vulcanologo napoletano Roberto Scandone (oppure fra 300 anni?) riuscirà a smantellare le rocce solide che sovrastano il magma e il tappo del Vesuvio, di nuovo, salterà. In una nuova esplosione che ricorderà le antiche.

“Senza preavviso”, come qualcuno teme non infondatamente? O con preavviso, come molti sperano? E, se con preavviso, di quante ore? Per consentire di dare il grande ordine e per evacuare quanti abitanti?

“Non c’è da preoccuparsi: ora come ora non ci sono le condizioni perché ci sia un allarme. Quando queste si verificheranno, però, possiamo stare ragionevolmente sicuri: con gli strumenti di cui disponiamo oggi per tenere sotto osservazione il vulcano, sarà possibile datare il momento dell’eruzione con un’approssimazione che oscilla tra una manciata di mesi e di settimane. In tempo, comunque, per una evacuazione di massa”, è la tesi tranquillizzante  di Lucia Civetta.

Ma le dimensioni del piano integrale dell’emergenza sono tali che non è facile tranquillizzarsi: per fare un solo esempio tratto dal piano, i 26 mila abitanti di San Giuseppe Vesuviano andranno in Lombardia in treno con 2.680 partenze giornaliere per mogli e figli; i 7.800  capofamiglia con la propria auto, con sette giorni per l’ evacuazione. E, a pieno regime, il piano prevede il trasferimento di 84 mila abitanti al giorno per una settimana.

Cifre impressionanti: sì, perché in questi ultimi cinquant’anni di operoso silenzio del vulcano, alle falde del Vesuvio è stato costruito di tutto, con abusi edilizi diffusi (più del 50 per cento sono le case abusive o condonate). Si è costruito sull’alveo dei fiumi, sui canali di deflusso delle acque fatte dai Borboni… Un misto di spensieratezza e di imprudenza che non ha riscontri al mondo.

“Nessuno può spiegare questo comportamento collettivo se non con quella euforia e quella perdita di memoria con cui l’uomo, che continua dormire sonni tranquilli, ama cullare il sonno attivo del vulcano”, spiega il giornalista Pietro Greco che a più riprese ha lanciato urli per svegliarla, quella memoria dell’apocalisse.

Per ora la speranza dei 600 mila vesuviani, molti dei quali esorcizzano il “Gigante grigio” evocando un maggior afflusso turistico, è aggrappata a un avverbio. A quell’avverbio che la direttrice dell’Osservatorio vesuviano reitera nei suoi vari incontri con la stampa: “Possiamo essere ragionevolmente sicuri”.

Come se un vulcsno grigio, che già altre volte ha colpito a tradimento, fosse ragionevolmente prevedibile.[]

* Dal settimanale OGGI, 10 novembre 1999. Il dipinto in apertura è Vesuvius (1985), opera del maestro della Pop Art americano Andy Warhol.

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