Enzo Biagi, il buon giornalismo e quel paracadutista appeso al campanile
in Normandia, nel D-Day celebrato
da Macron e Biden. (Per non parlare
dei piccioni medagliati)
testo di Salvatore Giannella
Le rievocazioni e le cerimonie pr l’ottantesmo anniversario del D-Day, lo sbarco in Normandia e la battaglia che salvò la Francia e l’Europa dal nazifascismo, mi riportano alla mente un dialogo avuto sull’argomento con Enzo Biagi.
In una delle interviste per Oggi poi raccolte in un libro da me curato (Biagi, Consigli per un paese normale, edito da Rizzoli) chiesi a quel maestro di buon giornalismo come avrebbe raccontato quel grandioso e tragico evento: migliaia di paracadutisti lanciati sulla Normandia, due milioni di soldati che, nel giorno più lungo, si impegnarono per liberare la Francia e l’Europa, perdendo quella notte (tra il 5 e 6 giugno 1944) 37 mila uomini dei 156 mila americani, inglesi e canadesi che sbarcarono…
La risposta di Biagi mi sorprese:
“Io avrei raccontato idealmente quello sbarco con la storia e con gli occhi del paracadutista che rimase impigliato con il suo paracadute al campanile di una chiesa e da lì osservò il più grande e sanguinoso sbarco anfibio nella storia dell’umanità”.
Di quel paracadutista ho trovato poi tracce in documentari televisivi di Rai Storia e su Airone. Si chiamava John Steele (proprio come il soldato eroe della serie a fumetti della Marvel Comics apparso per la prima volta nel 1940), era un americano dell’Illinois, nel 1944 faceva parte dell’82ma Divisione aviotrasportata dell’esercito degli Stati Uniti. Assieme ai compagni, il D-Day fu paracadutato a ovest del piccolo paese di Sainte-Mére-Eglise, nella Normandia francese affacciata sul canale della Manica.
Come ogni paracadutista, aveva addosso un paracadute di riserva poggiato sullo stomaco, sotto il paracadute un apparecchio radar del peso di 14 chili. All’imbracatura del paracadute erano agganciate alcune bombe a mano, a tracolla un fucile mitragliatore; in varie parti del corpo distribuiti un pugnale, una pistola Colt 45, una bonba da segnalazione, una bomba al fosforo, una borraccia d’acqua, una mina anticarro, una siringa di morfina già predisposta, razioni D (a base di cioccolata) e, aggiunta quasi commovente rilevata da Corrado Augias, un’edizione economica di Oliver Twist di Dickens stampata apposta per le forze armate.
Il lancio di John Steele finì male: molti caddero, oltre che sugli alberi e sui tetti delle case, nelle pianure allagate dal generale nazista Erwin Rommel e affogarono, altri caddero lontani dal punto previsto, altri atterrarono nella piazza di Sainte-Mére-Eglise dove i tedeschi li accolsero a mitragliate. Fu un’inaudita mattanza.
John Steele con il suo paracadute rimase impigliato nel tetto della chiesa principale del paese (foto in apertura del testo). Lo videro tutti, tedeschi compresi. John riuscì a salvarsi fingendosi morto. Qualche ora dopo, sentì un vociare familiare: Sainte-Mére-Eglise fu il primo paese della Normandia a essere liberato dagli americani.
Ancora oggi nella cittadina francese c’è un paracadute appeso al campanile (foto) in ricordo di quel giorno memorabile e di quel testimone eccezionale dell’Operazione Overlord.
La guerra dei piccioni. Io avrei aggiunto, ad arricchimento del testo su quello sbarco, la storia dei piccioni in prima linea per la liberazione dell’Europa dal nazismo e dal fascismo. Trovo i particolari in un documentato testo di Vincenzo Grienti su Avvenire.
I volatili arruolati dalla Raf, la Royal Air Force, svolsero attività di intelligence e furono determinanti per lo sbarco degli Alleati in Normandia. Infatti erano addestrati per l’invio e la ricezione di preziose informazion segrete e Paddy fu uno dei trenta piccioni “assegnati” dall’aviazione militare britannica alle unità operatrive della 1* Armata americana l’8 giugno 1944. Il nome in codice della missione era “U2” e Paddy si trovò nel bel mezzo del fuoco nemico quando fu rilasciato in Normandia intorno alle 08.15 del 12 giugno per trasferire messaggi codificati sull’avanzata delle truppe anglo-americane.
Il pennuto dovette far fronte alle pessime condizioni meteorologiche ed evitare gli agguati dei falchi tedeschi a loro volta addestrati dall’esercito di Hitler per andare “a caccia” di Paddy e compagni. Il piccione irlandese volò per 240 chilometri fino all’Hampshire e “atterrò” alla base in quasi 4 ore e 50 minuti. Un’impresa eroica che gli valse la medaglia “Dickin” il 1° settembre 1944, dal nome della veterinaria Maria Dickin che aveva lanciato il riconoscimento in onore degli animali “in armi”.
(Foto qui sopra): Maria Dickin (South Hackney, 1870- Londra, 1951), pioniera del benessere degli animali, e, qui sopra, un piccione viaggiatore della British Army con la medaglia Dickin.
“Lo sbarco in Normandia, 80 anni fa, riuscì anche grazie ai piccioni viaggiatori”, è la teoria avanzata da Nicoletta Maggi, giornalista e segretario dell’International Churchill Society Italia, autrice del volume L’angelo di Churchill (Media&Books) dove ripercorre la storia della spia inglese Jicky che, insieme a un’altra sessantina di donne, furono impiegate in operazioni di intelligence. []