L’oasi di re Manfredi: in Puglia, la storia di un brillante successo di restauro ambientale e ripristino della legalità
testo e foto di Antonio Lopez* per Giannella Channel
Caro Salvatore,
voglio raccontarti una bella storia di successo ambientale che ha per scenario un territorio meraviglioso, la Puglia a sud del Gargano, e per protagonisti dei ragazzi capaci e coraggiosi, quelli del Centro studi naturalistici di Foggia, che hanno “fondato” un’oasi dal nome impegnativo: Laguna del Re (nella foto d’apertura, una veduta dall’alto). Partiamo dal nome. Chi è il re? È il fondatore di Manfredonia, quel Manfredi di Svevia re di Sicilia, figlio di Federico II. Il sovrano ne ordinò la costruzione – il Datum orte, l’atto notarile di nuova città fu redatto nel 1263 – dopo la distruzione di Siponto (il centro dauno-romano che ai tempi di Annibale dominava quei lidi) a causa di un terribile maremoto avvenuto nel 1223, con epicentro nell’attuale Vico del Gargano, che secondo il sito Meteo.it ebbe una magnitudo stimata del 6.0 della scala Richter. Il nome “Laguna del re” dato all’oasi è il risultato di un sondaggio svolto qualche anno fa nelle scuole della città di Manfredi. Torniamo alla storia.
Siamo sulle sponde del golfo di Manfredonia, dove il Tavoliere incontra il mare Adriatico, in quelle che una volta si chiamavano Paludi sipontine: un ambiente naturale tra i più imponenti del Mediterraneo che fino ai primi anni del Novecento contava 80 mila ettari di laghi e laghetti, canali grandi e piccoli, giuncheti e canneti, prati umidi e paludi con acque dolci e salmastre popolate da decine di migliaia di uccelli acquatici. Poi, come in altre parti d’Italia, ci fu un lungo periodo di bonifiche e la gran parte di queste zone umide furono interrate e trasformate in campi da coltivare, tanto che negli anni Settanta solo la Salina di Margherita di Savoia, le foci dell’Ofanto e di altri piccoli fiumi della Capitanata (Carapelle, Cervaro e Candelaro) e pochi fazzoletti di natura – come alcune riserve di caccia nell’agro di Zapponeta, l’ex Daunia Risi (oggi Lago Salso) e la Riserva statale di Frattarolo in quello di Manfredonia – sopravvivevano alla trasformazione agraria. Negli anni a seguire alcuni di questi territori furono offesi pesantemente dalla inciviltà umana diventando luoghi di malaffare, terreni abbandonati e incolti e zeppi di costruzioni abusive; aree di bracconaggio e di illegalità diffusa.
“Così erano fatti anche i 40 ettari su cui abbiamo realizzato l’Oasi laguna del Re, tornati a nuova vita con canneti, specchi d’acqua e aree agricole rispettose dell’ambiente”, spiega il naturalista Vincenzo Rizzi, foggiano di 56 anni, uno dei volontari che gestiscono l’area protetta. “Sono stati prima demoliti 13 fabbricati, per un volume costruito di 1.500 metri cubi, e 1.500 metri quadrati di piazzali in calcestruzzo. Poi si sono rimossi muri, recinzioni e cancelli che erano stati installati per rendere inaccessibile l’area e si sono conferiti in discarica duemila tonnellate di inerti dovuti ai materiali edili di risulta e ai rifiuti accumulati nel corso degli anni. Infine con un progetto di ingegneria naturalistica si sono scavati fossi di varie profondità, per consentire la formazione di laghetti e chiari d’acqua di diverso pescaggio e forma, per favorire la biodiversità e per essere navigabili con barchini a fondo piatto; si sono alzati argini, tracciati sentieri, impiantati alberi e arbusti. Fatto accordi con i contadini per praticare un’agricoltura sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Il resto lo ha fatto la natura e in pochi anni è fiorito un piccolo eden naturale”.
Da sinistra: Antonio Lopez, Vincenzo Rizzi, Michela Ingarano e Salvatore Giannino.
Inaugurata nel 2019 all’interno del Parco nazionale del Gargano, lungo la strada provinciale 141 che collega Zapponeta a Manfredonia, l’oasi di proprietà del Consorzio per la Bonifica di Capitanata è stata finanziata con un Progetto Life del 2009 di 3.153.825 euro dell’Unione Europea (cha ha contribuito con 2.365.368 euro) in collaborazione con la Regione Puglia (che ha integrato la parte restante del finanziamento) e ha visto un fruttuoso lavoro di squadra tra i naturalisti del Centro studi foggiano e i tecnici del Consorzio di Bonifica di Capitanata, che si occupa anche della vigilanza dell’area. “Il Covid ha rallentato per un paio d’anni le nostre iniziative, ma ora abbiamo ripreso a macinare attività e oggi le nostre proposte sono inserite anche in importanti pacchetti turistici di tour operator”, chiarisce Michela Ingarano, 53 anni, naturalista che si occupa di progetti di ricerca. E aggiunge: “L’oasi è aperta tutto l’anno. Per facilitare la sua fruizione abbiamo un centro visita infopoint, un capanno con passerella sulla laguna e due altane per il birdwatching. Inoltre per promuovere le attività didattiche e culturali collaboriamo con le locali associazioni Fare Natura e Daunia TuR, mentre per sviluppare l’agricoltura eco-compatibile siamo in contatto con il Dafne (Dipartimento di scienze agrarie, alimenti, risorse naturali e ingegneria) dell’Università di Foggia”.
L’area protetta conta 2.500 visitatori l’anno e i suoi fondatori del Centro studi naturalistici di Foggia hanno meritato nel 2023 una “menzione speciale” del Premio nazionale del paesaggio promosso dal Ministero della Cultura per “… l’esemplare capacità di restauro ambientale; per aver ristabilito la legalità, minacciata dall’abusivismo edilizio e dall’occupazione illegale dei terreni; per aver ripristinato le funzionalità ecologiche e idrauliche dell’area e realizzato un’oasi naturale aperta al pubblico; per la sinergia tra soggetti istituzionali che hanno saputo sviluppare collaborazioni virtuose per convogliare finanziamenti europei; per il ruolo propositivo dell’associazionismo ambientale rivolto alla valorizzazione delle poliedriche valenze paesaggistiche, ambientali e sociali”.
È soprattutto il valore ecologico dell’area a segnare i maggiori successi. “Ogni mese svolgiamo il censimento degli uccelli, le cui specie aumentano di mese in mese: attualmente se ne contano 110. Tra queste alcune assai rare come il fistione turco, la moretta tabaccata, il marangone minore, l’airone rosso, il pendolino e i piccoli aironi come la nitticora, il tarabuso e il tarabusino. Ci sono i falchi, grandi come il lanario, il pellegrino, il falco di palude e il falco pescatore, e piccoli come il grillano e il gheppio.
Particolari dell'oasi con uno dei suoi simboli alati: il falco pescatore.
Non mancano anfibi e rettili e piccoli e grandi mammiferi”, racconta la guida ambientale escursionistica Salvatore Giannino, un ex progettista meccanico di Margherita di Savoia prestato alla natura; oggi è un bravo fotografo e accompagna gruppi di ragazzi nell’oasi. E puntualizza: “L’animale di cui andiamo molto orgogliosi è la lontra, la signora dei fiumi, che dopo più di un secolo è tornata a frequentare questi lidi. Poi la presenza dei cinghiali ha attirato molto probabilmente anche quella del lupo”. Ma questa è un’altra storia. E ne parleremo un’altra volta. []