Una lettera al Corriere della Sera che illumina il senso civico di una donna che sventa un furto. E, a Repubblica, la ricostruzione della strage sul treno 904 Napoli-Firenze alla vigilia di Natale del 1984, simbolo della strategia eversiva terroristico-mafiosa su cui non è stata fatta completa luce e che pesa ancora oggi sulla storia dell’Italia. Sono le lettere, inviate da Milano e da Prato ai curatori delle rubriche Isabella Bossi Fedrigotti e Corrado Augias, scelte questa settimana per la rubrica “Italiani brave penne”. Leggiamole.
La dama che sventa il furto a Milano,
nella città del bene che funziona
Gentile signora Bossi Fedrigotti,
ti scrivo per raccontarti un episodio verificatosi alcuni giorni or sono: mentre ero a cena da amici, i ladri, dopo aver scassinato la porta, sono entrati in casa mia svaligiandola.
Sin qui, sembra una delle solite brutte storie. Ma così non è. Il seguito, infatti, è del tutto inusuale: una signora, uscendo da un bar che si trova a pochi metri dal mio portone, vede tre persone che escono dal medesimo con un’aria che le sembra sospetta, portando valigie, borse e sacchi vari. E qui viene il bello.
La signora passa all’azione seguendo i ladri che, accortisi di essere pedinati, abbandonano la refurtiva sul marciapiede e scappano. La signora, che nel frattempo ha chiamato la polizia, attende che questa arrivi e prenda in consegna la refurtiva che, grazie a lei, recupero in toto. A questa bella storia devo aggiungere che la polizia e i tecnici della scientifica fanno quanto di loro competenza con grandissima professionalità e gentilezza (scusandosi perfino di dover sporcare i mobili con la polvere necessaria per prendere le impronte digitali dei ladri… che dire di più?).
Racconto questa storia per ricordare a me stesso che non è vero che non c’è più senso civico, che niente più funziona come dovrebbe, che tutti pensano solo ai fatti propri e via dicendo. A Milano, così come altrove, ci sono moltissime persone che non sono così, che fanno il loro dovere e a volte anche più.
Eva Cantarella, Milano
Perché ricordare la strage di Natale del Rapido 904
Caro dottor Augias,
il 23 dicembre 1984 era domenica, una di quelle giornate che prima di Natale si vivono di corsa, prima di rilassarsi con i propri cari. Il Rapido 904 lasciò la stazione fiorentina di Santa Maria Novella alle 18,35, in direzione Bologna e Milano. Per molti passeggeri il viaggio era iniziato a Napoli.
Qualche istante prima che il convoglio lasciasse i marciapiedi, un signore forse sulla cinquantina, era sceso dopo aver deposto nella retina due borsoni. Dentro, si sarebbe scoperto, c’erano 16 chili di esplosivo collegati a un radiocomando.
Alle 18,35 il treno partì al fischio del capostazione Fabio Ottimini, 35 anni, e alle 19,02, entrò nella Grande Galleria dell’Appennino, lunga 18 km. Sei minuti dopo si sentirono due esplosioni dalla terz’ultima e quart’ultima carrozza. Il treno si blocco quasi subito, era letteralmente spezzato a metà.
Non esistevano ancora i cellulari. Un viaggiatore ebbe la prontezza di chiamare aiuto dal telefono di emergenza che si trova dentro la galleria. Il treno era fermo a 8 chilometri dall’ingresso sud e a 10 da quello nord. Partirono i soccorsi dal lato bolognese e da quello di Vernio.
Il vento che soffiava da nord verso sud, per un certo tempo impedì l’accesso ai soccorritori toscani.
Le comunicazioni erano difficoltose, la linea era interrotta fino a quando Marcello Fiesoli, radioamatore di Vaiano, non riuscì a stabilire un ponte radio.
Il medico Saccardi ricorda. “Partii da Montepiano, quando arrivai in stazione salii insieme a un altro collega, a un giovane carabiniere e ai vigili del fuoco sul carrello che ci portò al treno. L’ultimo chilometro lo facemmo a piedi, sembrava di essere in guerra: lamiere, pezzi di corpi sparsi, odore di bruciato”.
Nella strage morirono 17 persone, tra cui due bambini, i feriti furono 267.
Appare subito chiaro che si trattava di un attentato terroristico. Arrivarono anche le prime rivendicazioni di matrice prevalentemente fascista. Si tentava una deriva autoritaria per rispondere al terrorismo di matrice opposta. Ma in questo s’inseriva la strategia della mafia e della camorra come provarono le indagini di alcuni eccellenti magistrati. Ricordo quella notte non solo per la ricorrenza ma perché quel collegamento inquietante pesa ancora oggi sulla nostra storia.
Luca Soldi, Prato (giuliamartina@virgilio.it)
Nel resto della lettera, tagliata per ragioni di spazio, il lettore Soldi ricorda che i magistrati, in primis Pierluigi Vigna, hanno accertato che la strage di Natale è stato il primo episodio della volontà stragista che proseguirà negli anni Novanta con gli attentati di Firenze, Roma e Milano e che punterà a contrastare l’attività di indagine contro Cosa Nostra. Inserendo così le bombe di mafia nella strategia per destabilizzare lo Stato. Che, secondo i periti, esperti in esplosivi, la miscela usata sul 904 è la stessa utilizzata poi nel 1992 nell’attentato in via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta ed hanno trovato anche analogie col materiale usato a Capaci, dove morirono Giovanni Falcone e sua moglie. Non solo, ma anche con le stragi in continente del 1993 a Roma, Milano e via dei Georgofili a Firenze. Un attacco alla democrazia che colpì in maniera “feroce e del tutto indiscriminata inermi cittadini” secondo “una logica squisitamente terroristica”. Sono quegli “interessi convergenti di diversa natura” che hanno “trovato coagulo” con l’attentato del Rapido 904.
Il giudizio dei giudici ricorda che per la strage di Natale sono stati condannati il cassiere della mafia, Pippo Calò, i suoi “collaboratori” Guido Cercola e Francesco Di Agostino, e un artificiere tedesco, Friedrich Schaudinn. Ma ricordano anche che per la “sola” detenzione di esplosivo, sono stati condannati l’ex parlamentare del Msi Massimo Abbatangelo e quattro camorristi. I processi non sono riusciti, però, a dipanare del tutto la matassa della complicità. “È giusto continuare a cercare sempre la verità”, ha scritto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una lettera mandata a Rosaria Manzo, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime. Il giornalista-narratore Daniele Biacchessi racconta la strage nello spettacolo di teatro civile “La storia e la memoria“.
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Caro dott. Giannella
Quanto è strana la vita e che belle coincidenze! Anche se è per ricordare avvenimenti tragici.
Sto esponendo al torrione Maio di Cassina De Pecchi una rassegna di mie opere dedicate alla Shoah, dal titolo “Se questo è un uomo“. La mostra è composta da tre sezioni, organizzate attorno a tre domande:
Nella prima sezione, nell’opera intitolata “La strage degli innocenti” (1985, acrilico su tela 250 x 190 cm., foto sotto) ho voluto rappresentare proprio quell’emozione di dolore e denuncia suscitata in me dalla notizia della strage di Natale del 1984. Un ricordo inserito nella memoria della Shoah, per la continua persistenza della disumanizzazione dell’uomo.
Nella tela non appare nessun accenno realista al fatto di cronaca: nessun cenno al treno sventrato. Volevo invece mettere in evidenza la bestialità dell’atto dell’uccidere un altro uomo, un tuo simile.
L’uccidere da lontano con un telecomando non ti sporca le mani di sangue, ti assolve dal vedere da vicino un uomo che muore.
Invece quando si uccide una persona, è sempre un uccidere direttamente, con le mani. Ed essendo il tempo quello di Natale, è stato naturale il richiamo e il collegamento alla strage degli innocenti.
E quella donna che eleva le mani e l’urlo di dolore verso il cielo, è sintesi del dolore umano di ogni tempo, innocente, urlato contro i cieli che sembrano anch’essi chiusi e muti. Un tema questo, molto presente nella narrazione della Shoah.