Negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata, la produzione di cibo triplicata. Una crescita senza precedenti, che avrebbe meritato dare spazio a biologi, antropologi, economisti e storici… E invece, nel disinteresse dei politici e il silenzio degli scienziati, sono avanzate teorie antiscientifiche. Così alcune società sono incapaci di produrre cibo e prive di mezzi finanziari per acquistarlo sul mercato internazionale

La storia muta perennemente i propri scenari. Li muta perché il clima del Pianeta cambia, per lunghi secoli lentamente riscaldandosi, per altrettanto lunghi secoli raffreddandosi, perché aumenta il numero degli uomini che chiedono di partecipare alle risorse naturali, perché aree economiche di vastità diversa aggiornano la propria tecnologia e assumono la capacità di imporsi su nazioni diverse, magari vastissime, rimaste in ritardo, perché le malattie influiscono in modo mutevole sui rapporti tra la popolazione e le risorse di interi continenti. Lo scenario della storia muta anche perché gli uomini interagiscono, secondo certezze o paure, intuizioni o illusioni, con i processi che li coinvolgono, a volte governandoli razionalmente, a volte aggravando, fino alla catastrofe, fenomeni ostili all’appagamento dei loro bisogni.

Il quadro del Pianeta ha continuato a mutare da quando una scimmia cibatasi, fino allora, di frutti e piccoli animali, creò pietre acuminate con cui uccidere il gigantesco mammut, a quando gruppi umani che avevano appreso gli espedienti della caccia uccisero l’ultimo mastodonte e furono costretti a mutare radicalmente le modalità di ricerca del cibo, a quando, al termine di una lunga serie di glaciazioni, alcune regioni del Globo furono invase, circa 12.000 anni prima dell’invenzione della macchina a vapore, da una vegetazione di cereali selvatici con i quali gli uomini avrebbero convissuto fino a convertirli, in alcuni millenni, in piante domestiche la cui sicurezza di produzione rese possibile la costituzione di società comprendenti milioni di individui. Seppure lo scenario avesse continuato a trasformarsi, il mondo non aveva mai conosciuto mutamenti tanto radicali, e tanto rapidi, quanto quelli verificatisi nel secolo che ha concluso il secondo millennio dell’era cristiana.

Negli ultimi 50 anni di quel secolo la popolazione mondiale è raddoppiata, la produzione di cibo, il più essenziale dei vincoli tra l’uomo e le risorse terrestri, è triplicata. E’ stato un evento senza precedenti nella storia del Pianeta, unico nei 70.000 anni di vita dell’uomo moderno, quell’Homo sapiens di cui siamo tutti nipoti.
Pare palese che un evento che si compie una volta sola in 70.000 anni avrebbe dovuto impegnare biologi, antropologi, economisti e storici a ricercare una spiegazione organica: un impegno cui nessuno ha assolto: risultato della negligenza l’assoluta labilità delle percezioni che del fenomeno alitano nei convincimenti generali. Provano quella labilità i convincimenti collettivi in materia di rapporti tra l’uomo e il cibo, la vera chiave delle relazioni tra la Terra e le entità umane che la abitano. Mentre negli anni ’50 produrre cibo costituiva priorità assoluta per tutti i governi delle nazioni che uscivano da una guerra non a caso definita “mondiale”, che aveva compromesso l’utilizzo di risorse fondamentali, e che vivevano le prime avvisaglie di una crescita demografica senza precedenti nei 70.000 anni menzionati, trent’anni più tardi nei paesi ricchi si imponeva l’opinione che produrre cibo fosse la più banale delle necessità umane, che, quindi, le pianure più fertili del Globo potessero essere ricoperte, senza rischio alcuno, di abitazioni, impianti industriali e aeroporti, e che tutti i mezzi che la chimica aveva apprestato per compiere il prodigio potessero essere banditi qualunque ne fossero le conseguenze produttive.

Dall’inizio del nuovo millennio la grave crisi economica che ha coinvolto il Pianeta, con molti connotati della sfida globale, tra le massime potenze planetarie, per un radicale riequilibrio della relativa influenza sull’insieme degli abitanti del Globo, si è rivelata anche, e significativamente, crisi della produzione di cibo.

Chi rifletta un attimo sull’imporsi successivo, in pochi decenni, della paura della fame, della riduzione del problema alimentare a ultima necessità del consorzio umano, della nuova inquietudine per il cibo che potrebbe mancare (come già manca alle società incapaci di produrlo e prive dei mezzi finanziari per acquistarlo sul mercato internazionale), non può non porsi la domanda se la coscienza collettiva del consorzio umano non sia governata da autentica schizofrenia, e il dubbio ribadisce la constatazione del mancato assolvimento, da parte della biologia, delle scienze politiche e sociali, dei magisteri religiosi, del dovere di proporre alcune chiare, univoche certezze, tali da impedire il tracimare, in un paio di decenni, dalla sicurezza di Bengodi all’orrore del deserto dove non crescerebbe più una spiga.

Chi scrive reputa, dopo decenni di studi sui progressi secolari delle conoscenze agronomiche, che non sia arduo dimostrare che la crescita senza precedenti delle produzioni agrarie verificatosi dopo il 1950 sia il frutto delle grandi scoperte biologiche, fisiologiche e microbiologiche della prima metà dell’Ottocento, che hanno impiegato, secondo i tempi necessari all’impiego pratico delle scoperte teoriche, un secolo intero a tradursi in formule e strumenti produttivi. Quando la traduzione si è compiuta il Pianeta era ricco di immense pianure che non avevano mai conosciuto una semente selezionata o un fertilizzante creato in laboratorio, di fiumi da sbarrare per creare sconfinati sistemi irrigui, di foreste da abbattere per ricavarne nuovi campi arati. Le scoperte scientifiche convertite, con impegno secolare, in strumenti tecnologici, hanno interagito con i nuovi mezzi meccanici capaci di erigere dighe mai immaginate, con gli impianti chimici in grado di produrre milioni di tonnellate di composti chimici, il risultato è attestato dai dati storici: la popolazione umana è raddoppiata, la produzione di cibo è triplicata, il prodigio che, sottolineavo, ha, per cinque decenni, capovolto i rapporti plurimillenari tra crescita demografica e disponibilità di alimenti. Ma ora le scoperte ottocentesche hanno esaurito il potenziale applicativo, le grandi pianure ricevono quantità di fertilizzanti che sarebbe imprudente superare, e sempre meno acqua, a furore di popolo molti laboratori che apprestavano conoscenze nuove sono stati chiusi.

Ed è il dubbio, che statisticamente possiamo fissare definendo l’evento unico nei 70.000 anni di vita dei nostri progenitori, che si sta insinuando, se vogliamo assai meno lucidamente, nella coscienza collettiva, che non considera dati statistici, ma scopre la paura ancestrale della fame possibile.

Ho sottolineato il mancato assolvimento del dovere di una spiegazione da parte delle scienze coinvolte, biologia, storia economica, filosofia politica, cui si aggiunge il generale rifiuto di affrontare il problema, con un’intesa planetaria, da parte dei responsabili delle grandi potenze, ciascuna delle quali ha, ma tiene celati, i disegni per utilizzare l’eventuale fame futura al fine di ampliare la propria sfera di potere sul Pianeta.

Si può aggiungere che non sono mancati agronomi, genetisti, geografi, che hanno fornito, negli ultimi trent’anni, informazioni assolutamente pertinenti, ma infinitamente più prepotenti, chiassosi e seducenti, per le folle prive di istruzione, sono stati i bandi di chi ha compreso che a diffondere certezze prive di fondamento o timori di dubbia fondatezza si costipavano gli stadi di uditori paganti, si veniva corteggiati dai numi del giornalismo e della televisione. Di certezze infondate e paure incontrollabili streghe e chiromanti hanno fatto lo strumento per ricolmare le tasche. E’ amaro riconoscerlo, ma sul piano planetario la grande comunicazione ha sposato, praticamente senza eccezioni, pitonesse, sciamani e negromanti che rassicuravano o atterrivano secondo dettasse il vento (e suggerisse la loro borsa). Se l’informazione internazionale avesse assolto, con un minimo di coerenza, ai dettami dell’obiettività, avrebbe concesso agli scienziati dell’agricoltura almeno altrettanto spazio di quello che ha donato a pizie e indovini. Il risultato più clamoroso: alla prima indagine negli archivi universitari la pitonessa più ricca del mondo, colei che in tutte le biografie proclama una laurea in fisica quantistica, è caduta, tra le risate universali, siccome la relazione in fisica quantistica cui si è cimentata con la laurea indiana in filosofia braminica, dimostra, a chi la legga, che della fisica non conosce neppure l’Abc.

Una società di sette miliardi di uomini destinati a moltiplicarsi toccando i dieci, imponendo alle risorse planetarie di raddoppiare l’attuale produzione di cibo (i cittadini attuali del Pianeta sono in parte cospicua denutriti o affamati) è di fronte all’eventualità del grande sgomento per la fame possibile. Non lo sarebbe se chi ne aveva il dovere avesse provveduto a un’informazione imparziale, ascoltando, insieme a maghe e cartomanti, le voci, costrette al silenzio, della scienza.

antonio-saltiniAntonio Saltini (Brioni, 1943) è uno storico delle scienze agrarie, divulgatore e docente universitario a Milano. Come scrittore ha prodotto diverse pubblicazioni fra le quali una monumentale Storia delle scienze agrarie sull’agronomia degli ultimi due millenni. Come giornalista ha collaborato a diversi periodici, tra i quali Airone; ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio rurale ed è stato vicedirettore del settimanale Terra e vita. Qui i link degli altri testi pubblicati su Giannella Channel. Per saperne di più sui temi trattati e sul pensiero di Saltini, ecco i titoli dei suoi ultimi libri: La fame del Pianeta. Crescita della popolazione e risorse agrarie (2009); Storia delle scienze agrarie, vol. VII, Il Novecento: la sfida tra le conoscenze agronomiche e la crescita della popolazione del Globo (Museo Galileo, 2013); I semi della civiltà. Frumento, riso e mais nella storia delle società umane (2014). I libri sono stampati da Nuova TerraAntica. Per info e acquisti scrivere alla segretaria editoriale: chiarazini.nta@libero.it