Questo il significato del toponimo occitano di Paraloup, villaggio alpino arroccato a 1.360 metri di altezza nel vallone laterale di Rittana (un comune in provincia di Cuneo che conta 118 abitanti, di cui solo la metà dormienti in loco), in Valle Stura, da sempre teatro di transito tra Piemonte e Francia per mercanti, pellegrini ed eserciti. Proprio la posizione strategica che diede vita al nome del luogo rese Paraloup, fino ai primi del Novecento abitato come pascolo estivo, il primo quartiere generale delle bande partigiane di Giustizia e Libertà del cuneese, tra il settembre 1943 e la primavera del 1944. A capitanare la postazione, tra gli altri, Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, Giorgio Bocca e, in seguito, Benvenuto (Nuto) Revelli (Cuneo, 1919-2004): quest’ultimo si unì alla Banda Italia libera di Paraloup nel febbraio del 1944, prima di spostarsi insieme alla IV Banda nel Vallone dell’Arma e infine in Francia.
È proprio alla Fondazione Nuto Revelli Onlus, nata nel gennaio 2006, due anni dopo la morte di Nuto, per volontà di amici, famigliari e studiosi stretti intorno allo “scrittore, partigiano e ricercatore della memoria contadina, nella convinzione che il modo migliore di ricordarlo sia di farne conoscere l’opera e di continuarla” (così si legge sul sito della fondazione), che si deve il recupero della Borgata, un luogo da sempre in fluida evoluzione che oggi vive una nuova stagione, lasciandosi alle spalle lo spopolamento degli anni ‘60 e ‘70 per farsi custode e propagatore di memoria, cultura, accoglienza, innovazione sociale.
Nuto Revelli, che durante i giorni della Liberazione è a comando della V Zona partigiana del Piemonte, a guerra finita, nel 1945, sposa l’amata Anna, già incontrata prima del conflitto: dalla loro unione nasce, nel 1947, il figlio Marco. Gli anni della guerra fascista combattuta in prima linea, toccandone con mano la crudeltà persino come alpino in Russia, per farsi in seguito protagonista della lotta partigiana, segnano profondamente l’esistenza di Nuto Revelli, che per il resto della sua vita si impegna a coltivare, grazie alla scrittura, la memoria di quel periodo, con un particolare interesse per la storia vista “dal basso”, dall’orizzonte di quel mondo contadino al tramonto che prende voce nei suoi libri, tutti editi da Einaudi. Così le stanze della sua casa, situata a Cuneo in via Brunet 1, ospitano adesso la sede della Fondazione che accoglie quell’archivio giudicato di notevole interesse storico nazionale dalla Soprintendenza, dedicato alla Resistenza e agli studi etnoantropologici condotti per la stesura di libri quali Il mondo dei vinti (1977) e L’anello forte (1985).
Abbiamo parlato direttamente con il figlio del partigiano, Marco Revelli, presidente della Fondazione Nuto Revelli, di cui segue attivamente le iniziative e i progetti dopo un’intensa carriera da professore di Scienza Politica all’Università del Piemonte Orientale. Grazie alle sue parole ci siamo potuti addentrare nella Borgata Paraloup, rivivendone l’antico significato, poi quello degli anni d’oro, infine il valore attuale. “Abbiamo comiciato a ragionare sul recupero di Paraloup nel 2006, in occasione del tradizionale pranzo del 25 aprile, momento fondamentale per la resistenza cuneese” comincia il presidente della Fondazione. “Quell’anno ci trovammo a Verduno, nelle Langhe, un luogo molto amato da mio padre che usava trascorrervi le vacanze. Al termine del pranzo il regista televisivo Teo de Luigi, che aveva da poco terminato un documentario su Duccio Galimberti, rimarcò che avevamo la responsabilità di far rivivere Paraloup, che saremmo stati dei criminali a permetterne l’abbandono e a lasciarlo in quello stato”, rivela con gratitudine verso l’amico regista. Non senza farci sprofondare in quell’atmosfera di collaborazione e solidarietà che si creò nella Borgata (una delle 44 del comune di Rittana) scelta dai partigiani come base, poiché da lì, proprio “al riparo dai lupi” si aveva la migliore visuale sulla pianura cuneese e all’epoca si potevano avvistare i camion dei nazifascisti (una specie più pericolosa di qualsiasi altro animale feroce), e come fucina di libertà: furono circa 200 i giovani, dell’età media di 20 anni e di ogni estrazione sociale, che si radunarono proprio a Paraloup da tutto il Paese per ricevere formazione politica e militare in vista della lotta per la liberazione dal nazifascismo e la ricostruzione di un’Italia democratica.
La comunità degli abitanti della Valle simpatizzò con loro attivamente, appoggiandoli, collaborando, facilitando la banda nell’organizzazione delle battaglie legate ai rastrellamenti del 1944. Questo rese possibile una Resistenza comunitaria unica, che vedeva uniti nella stessa causa per la libertà e la pace, nonostante l’asprezza del luogo e le ristrettezze dovute alla guerra, partigiani, montanari, e i profughi ebrei da Saint Martin Vésubie (un piccolo comune al di là del vicino confine con la Francia).
“Così nel 2008 si è aperto il cantiere” continua con amore per quanto realizzato, nonostante sembrasse un progetto visionario, il professor Revelli, “e ci siamo buttati in questa avventura senza sapere quanto difficile fosse. Lì non c’era acqua, luce, non c’era più nulla di funzionante o stabile. Ma grazie a un gruppo di architetti formatosi spontaneamente intorno ad Aldo e Giovanni Barberis (ingegneri di Alba che provengono da una famiglia storica di costruttori edili, Ndr), composto da Valeria Cottino, Dario Castellino e Daniele Regis, sono state aperte le prime baite. La scelta, concordata con gli amici della Fondazione, è stata quella di restaurare le baite senza nascondere le tracce del tempo, lasciando visibile la parte crollata e quella ricostruita dell’edificio: un progetto innovativo e sostenibile che rispetta i criteri della Carta internazionale del Restauro. Sono stati così consolidati i muri a livello delle rovine e ricostruiti i volumi delle baite con scatole di legno di castagno, una risorsa locale disponibile sulle nostre montagne, utilizzando ovviamente anche tecniche avanguardistiche per l’isolamento. Era necessario far parlare il posto e la storia”, sottolinea Revelli, continuando:
Oggi la Borgata si compone di sette baite in legno e pietra, che parlano di passato, di presente e sono pronte per accogliere le sfide future: due baite ristorante, con terrazzo affacciato sulle Alpi Marittime; due baite foresteria, autonome, riscaldate, dotate di servizi, con un totale di 15 posti letto (utilizzando delle brande, per gruppi come scolaresche, si può arrivare a una trentina di posti); uno spazio accoglienza, con possibilità di allestimenti espositivi temporanei (baita “Perona”); uno spazio polifunzionale con una sala conferenze da 60 posti, impianto di videoproiezione e cineteca sulla Resistenza (baita “Barberis”), dove si può scegliere, come si faceva con le canzoni dei juke box, tra i film sulla Resistenza; una baita che ospita il Museo dei racconti, inaugurato il 6 settembre 2020 con un allestimento permanente e con annessi uno spazio per esposizioni temporanee e un laboratorio sulla memoria femminile.
Il Museo, inserito nel circuito del Museo diffuso di Rittana, che comprende una pinacoteca, uno spazio per esposizioni, alcuni murales e un percorso tra natura e installazioni, è interattivo, può essere interrogato e restituisce le storie di Paraloup attraversandone, grazie a un’installazione multimediale interattiva curata dallo studio milanese NEO (Narrative Environment Operas) e da Andrea Fenoglio, le diverse stagioni: la vicenda partigiana, quella contadina e i progetti per il futuro. A questi si aggiunge il teatro all’aperto, inaugurato nel 2018, tutto in legno e con una capienza di 200 posti, uno dei pochi a quell’altitudine.
Il professore ci svela anche altre sfide future: “Vogliamo favorire la rinascita di attività produttive legate alla pastorizia e alla casearia, restituendo all’alpeggio la sua antica vocazione con pastori, capre, greggi per la produzione di formaggio, ma tramite un’associazione fondiaria in grado di superare la frammentazione legata alla piccola proprietà”.
Il recupero del lotto culturale si è concluso nel 2010 con la grande mostra di Clemens Kalischer (1921 – 2018), il fotografo americano noto per le sue fotografie di sfollati a New York dai campi profughi europei durante la seconda guerra mondiale, appositamente giunto a Paraloup dalla Pennsylvania, mentre quello ricettivo è stato terminato nel 2012. Sono molteplici i pubblici che possono giungere nella Borgata data l’offerta variegata: da qui si possono esplorare i Sentieri della Libertà, e in particolare, lungo il sentiero che collega Paraloup con Valloriate, quello che i fondatori della banda hanno percorso salendo verso la borgata il 19 settembre del 1943, si può far parlare il paesaggio nelle tappe d’interesse tramite un’App di realtà aumentata chiamata Storieincammino. Inoltre Paraloup soddisfa le esigenze degli appassionati di mountain bike, rientrando all’interno di un anello ciclabile.
dichiarano Beatrice Verri, direttrice della Fondazione Nuto Revelli, e Alessandro Ottenga, project manager già nell’efficiente team di Matera 19 Capitale della Cultura e direttore della borgata. Quest’ultimo, assieme alla chef del ristorante Valeria Morichi, e alla tirocinante nel campo della progettualità Margherita Testa, ha passato questo inverno “pandemico” come un “resistente” nella borgata, preparandola alla prossima apertura con l’intento di renderla “un unico spazio ibrido in cui si produce cultura e innovazione sociale, in dialogo costante con la Storia e i suoi valori, con la montagna e le sue differenze e, soprattutto, con il territorio e la sua comunità”, dichiara Ottenga stesso assieme alla Verri.
Valeria Morichi ci racconta la sua esperienza nella Borgata in questo momento particolare di isolamento, vissuto “al riparo dai lupi” nella stagione più aspra: “In questo periodo mi sto dedicando allo studio di percorsi gastronomici alternativi, con un’attenzione particolare verso la sostenibilità e un incremento di prodotti vegetali”, ci racconta la chef. “Sono sempre alla ricerca di fornitori che abbiano a cuore il rispetto per l’ambiente e per la natura, utilizziamo prodotti a chilometro zero, farine di mulini e aziende locali, prodotti del posto come le farine derivate dalle castagne, carni provenienti da fornitori che possano restituire un modo di nutrirsi consapevole. Stiamo anche cercando di allestire un orto per l’autoproduzione”. Valeria ha 42 anni, viene da Genova e ha origini centroamericane, con un’esperienza nella ristorazione da 22 anni, di cui gli ultimi 15 vissuti a Torino. È venuta a conoscenza di Paraloup nel 2018 e, innamoratasi del progetto, ha risposto alla call ed è stata scelta: “Paraloup è la condizione ottimale per vivere nella natura facendo il mio lavoro, abitando un luogo con dei valori e un animo molto forti. Si sta per aprire la stagione più vivibile di Paraloup, un momento perfetto per raggiungere la Borgata, che non è solo una meta turistica, ma un posto che ci insegna a resistere e a ricordarci di quel che è stato”, conclude Valeria.
Ed è così che sono ancora i giovani a resistere nella Borgata e a farla rivivere nonostante l’attuale situazione, puntando a orizzonti sempre nuovi, ma sempre seguendo la bussola orientata dagli inviti di Nuto Revelli: a non dimenticare, e a capire quanto sia rischiosa l’inconsapevolezza dell’oggi. Ritroviamo le sue esortazioni ai giovani, in particolare, sia nel suo ultimo libro Le due guerre (2003), dove rilegge i 25 anni che vanno dall’ascesa del fascismo alla Liberazione dal punto di vista umile di chi li ha vissuti, sia a conclusione del discorso Sull’ignoranza, pronunciato in occasione della laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione conferitagli nel 1999 dall’Università di Torino, in cui scriveva:
Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi.
Guai se i giovani di oggi dovessero crescere nell’ignoranza,
come eravamo cresciuti noi della generazione del Littorio.
Oggi la libertà li aiuta, li protegge.
La libertà è un bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta.
Il progetto di recupero della Borgata ha ricevuto diversi premi, tra cui il Premio Gubbio per il Paesaggio, la Bandiera verde di Legambiente, il Premio Architetti Arco Alpino e la menzione speciale al Premio Konstruktiv per la migliore architettura sostenibile delle Alpi, ed è stato selezionato alla Biennale di Architettura di Venezia 2018 per la mostra Arcipelago Italia.
Nonostante la pandemia impedisca di celebrare la Resistenza secondo la tradizione, con manifestazioni affollate e in presenza, la Fondazione Nuto Revelli è parte attiva nelle iniziative cuneesi che virtualmente coltivano la memoria di un momento così fondamentale per la storia nazionale e per la Fondazione stessa intitolata al partigiano cuneese. Il 24 aprile alle ore 21.00 è possibile assistere a una diretta streaming dal Teatro Toselli di Cuneo sul canale Youtube del Comune di Cuneo: Gigi Garelli, professore di Storie e Filosofia e attuale direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, vestirà i panni del conduttore della serata, guidando le persone da casa lungo un percorso di conoscenza, ricordi, riflessioni, consapevolezza e festa. Saranno presenti il cantautore torinese Bianco e i gruppi musicali Lhi Balòs e Lou Seriol. La tradizionale orazione quest’anno è affidata a Rosario Esposito La Rossa, scrittore, libraio e attivista per il sociale, fondatore della “Scugnizzeria” a Scampia, una forma di Resistenza attuale in uno dei quartieri più difficili di Napoli. Gimmi Basilotta ed Elisa Dani, attori di teatro e formatori, leggeranno delle testimonianze partigiane, mentre i ragazzi di PEER condurrano i partecipanti virtualmente per la città di Cuneo a conoscere i principali luoghi della Resistenza. L’iniziativa è parte di Resistenze. Per un’Europa libera e unita, spazio social dove tra il 6 e il 25 aprile, la lotta partigiana delle aree cuneesi verrà raccontata con uno sguardo rivolto all’Europa, tramite operazioni di guerrilla communication, installazioni audio, testimonianze, musica, immagini e live streaming.
La memoria di Nuto Revelli, figura simbolo della Resistenza, viene celebrata da un evento dedicato che inaugura proprio il 25 aprile alle ore 11.30 sotto i portici di Porta Palazzo a Torino (per cui all’aperto e in sicurezza): in coda ai festeggiamenti del centenario della nascita dello scrittore che fu alpino in Russia, partigiano e ricercatore della memoria contadina, apre la mostra fotografica Ricordati di non dimenticare: Nuto Revelli, una vita per immagini curata da Paola Agosti e Alessandra Demichelis e visitabile fino al 31 luglio. Qualche ora dopo, alle 14.30 la Fondazione Nuto Revelli ha organizzato un momento virtuale di saluti e celebrazione chiamato l cugnac con tuta la Banda! Resistanza del 25 aprile. Altre informazioni su nutorevelli.org e alla pagina facebook @fondazionenutorevelli.
È possibile poi seguire durante tutto l’anno le attività della Borgata Paraloup sulla pagina facebook @borgataparaloup e all’account instagram @borgata_paraloup, mentre su paraloup.it è possibile visionare le offerte, i servizi ed effettuare le prenotazioni per soggiorni e visite al Museo.
A PROPOSITO
Vitamine per la mente. Parole memorabili di Nuto Revelli
Negli anni Sessanta ‘rastrellavo’ la pianura, la montagna, le Langhe. Entravo in centinaia di case contadine e incontravo una realtà che mi affascinava e mi offendeva. Giravo a cercare la guerra, a cercare il passato, e avvertivo che la guerra dei poveri non finisce mai.
(da Il mondo dei vinti)
C’era una frase che il generale Reverberi ripeteva ai soldati che erano usciti vivi dalla teribile esperuenza russa e che gli passavano davanti distrutti, a volte con i piedi scalzi, protetti solo da alcune coperte: “Ricordate e raccontate”. Noi dobbiamo ricordare per chi non può più farlo.
(da Nuto Revelli. Vita, guerre, libri, un libro di Giuseppe Mendicino, Priuli e Verlucca, che ci fa compagnia)
A Mario e Nuto Revelli. Ho due fratelli con molta vita alle spalle, / nati all’ombra delle montagne / hanno imparato l’indignazione / nella neve di un Paese lontano / e hanno scritto libri non inutili. / Come me, hanno tollerato la vista / di Medusa, che non li ha impietriti, / non si sono lasciati impietrire / dalla lenta nevicata dei giorni.
(poesia di Primo Levi, dal libro su Nuto Revelli di Giuseppe Mendicino)
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