Siamo nella trecentesca Rocca di Riolo, sull’Appennino forlivese, da poco riaffiorata dalla memoria con tutta la sua imponenza architettonica: gli ultimi visitatori, curiosi dei segreti del Medioevo, stanno lasciando la Sala del Pozzo dove una voce femminile, registrata, ha appena finito di raccontare le tappe principali degli intensi 46 anni di vita di Caterina Sforza, “la Leonessa della Romagna”. “Tra queste mura rivivo gli intrighi, le battaglie, gli affetti, gli amori e mi rivedo sovrana e savia donna di Stato; poi spietata donna d’arme; poi madre premurosa e amante appassionata; poi ancora alchimista e cultrice di estetica e scienze. Sapevo colpire, e amare… con le parole, e con la spatha… e con altri miei sortilegi. Spesso mi domando come io sia stata tutto questo insieme, tra un assedio e l’altro, dieci figli, tre mariti e mille intrighi da sbrogliare”. Nella stanza pochi oggetti: una spada e un elmo, a ricordo del valore di Caterina e dello sprezzo del pericolo con cui scese in battaglia per la difesa delle sue terre; un bauletto contenente carte sparse per ricordare il suo amore per la cultura; un monile e uno specchio, appoggiati sul tavolo, a sottolineare il suo amore per la bellezza e la cura del corpo femminile. Sul muro la copia di un ritratto di lei, fatto da Lorenzo di Credi, oggi nella Pinacoteca di Forlì: appare fiera e solenne, con un gesto leggero ed elegante sembra sfiorare il profumo dei gelsomini.

Quel profumo forte e intenso mi raggiunge alle spalle e mi porta a staccarmi dal gruppo e a tornare nella Sala del Pozzo. Una figura femminile dai profili eleganti e fieri mi dà le spalle. È soltanto attraverso lo specchio che tiene alto nella mano destra che riconosco il volto di Caterina. Mente larga di paesaggi, due punti di fuga negli occhi: uno al passato e uno al futuro in un equilibrio di presente che la rende silenziosamente in ascolto del suo tempo. Le mani leggere ed eleganti controllano che la collana appoggiata al lungo collo e alle spalle morbide sia ben in sintonia con la sua persona.

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Il ritratto di Caterina Sforza (Milano, 1463 – Firenze, 1509) dal titolo La dama dei gelsomini di Lorenzo di Credi, conservato nella Pinacoteca Civica di Forlì. La sua vita è riassunta qui.

Giannella. Donna Caterina, sono ammirato e sorpreso di essere entrato nella dimensione privata della sua vita, ma quel profumo di gelsomini, il suo volto nello specchio e ora la sua elegante fierezza sono ossigeno per la mia curiosità. Posso chiederle un’intervista?
Caterina Sforza. Va bene. Accetto di risponderle, ma a una condizione: che lei non mi faccia domande sulla mia vita privata. È stata molto complicata, anche se non rinnego nessuna delle scelte che ho fatto. Negli ultimi tempi voi cronisti avete smesso di consumare le suole delle scarpe per privilegiare altre inchieste più facili: per esempio, quelle sugli affari di cuore dei soliti noti. Con le sfide epocali che il pianeta deve affrontare, la crisi alimentare, le migrazioni di massa, l’energia, l’effetto serra, la finanza creativa che sta mettendo in ginocchio l’economia, mi aspetto dalla lettura dei giornali di capire le varie strategie con cui si muovono i potenti di tutta la Terra e invece…

Giannella. E invece?
Caterina. Invece legga qua, questa è la mazzetta dei giornali che ho trovato sul tavolo dei miei bravi amici della Cooperativa Atlantide. C’è da perdere la testa a inseguire le novità della cronaca rosa: flirt improbabili, amori che cominciano, altri che finiscono, gravidanze intraviste… un segno dei tempi è la lettura ironica dei giornali di gossip in compagnia dell’indomabile Gianni Ippoliti, su Uno Mattina! Roba da perdere la testa, non le pare?

Giannella. Capisco, e condivido in parte la sua critica anche se mi sembra troppo severa. In fondo, nelle piazze d’Italia si parla di cose serie ma si accenna anche a cose futili. Comunque la sua tirata d’orecchi non mi riguarda. Come cronista non mi ha mai solleticato la voglia di superare la soglia delle camere da letto altrui. Quindi prometto: niente domande sulla vita privata. Anche se….
Caterina. (sospettosa) Anche se cosa?

Giannella. Anche se, donna Caterina, una grande curiosità l’avevo e continuo ad averla su quel versante intimo.
Caterina. Quale curiosità? Mi incuriosisce a mia volta.

Giannella. Ho letto in una sua biografia che Cesare Borgia, il terribile Valentino, dopo aver assediato per giorni il suo castello, quando riuscì a catturarla, si rinchiuse con lei in una stanza per 15 giorni. Nessuno fino a oggi sa che cosa successe tra voi due…
Caterina. Lasciamo il mistero su quella pagina della mia vita. È così bello, in un mondo che sa tutto di tutti e con tutti che si mettono in mostra, avere ancora sparso qua e là qualche angolo discreto. Comunque a proposito di quell’episodio del Valentino, mi piace ricordarle che quando uscimmo da quel castello e fui portata a Roma come prigioniera, cavalcai a fianco del vincitore vestita come una regina. A buon intenditor…

Giannella. Anche nella disgrazia si confermò come la prima donna d’Italia del suo tempo. O, per dirla con le cronache rinascimentali, come “quella tigre di la madonna di Forlì che avea tanto spaventata la Romagna”. Combattiva e soprattutto molto bella. Pare che lei avesse superato per fama e fascino ogni altra donna del suo tempo. A 36 anni, età in cui le sue contemporanee erano già considerate vecchie, lei conservava intatta la freschezza dell’adolescenza con la folgorante bellezza. Mi può confidare qualcuno dei suoi segreti?
Caterina. Vada alla Biblioteca di Forlì e si procuri il mio volume. Ha per titolo Experimenti de la Exellentissima Signora Caterina da Furlj e l’ho redatto nel corso di vent’anni tra un assedio e l’altro. In esso sono contenute 454 ricette e diete alimentari di ogni tipo delle quali 358 riguardano la medicina, 30 la chimica e 66 la cosmesi, fino ai rossetti per le guance. Li ho sperimentati personalmente in un laboratorio alchemico.

Giannella. Per aiutare i nostri lettori, mi sintetizzi un paio di consigli utili per le donne d’oggi.
Caterina. Beh, di primo acchito le direi: il vino e il Silybum marianum.

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Il cardo è una pianta erbacea perenne in natura, annuale in coltura. Si distingue dal carciofo per il notevole sviluppo delle coste. Una varietà è il cardo gigante di Romagna: coltivato nell’intera area romagnola, lembo fogliare largo, a media frastagliatura, verde-grigio chiaro, a picciolo lungo, mediamente concavo con spine. (Fonte: Alimentipedia.it)

Giannella. Il Silybum che? Che cosa nasconde questo nome scientifico?
Caterina. La pianta del cardo. Le sue prime origini sono state trovate in Etiopia e in Egitto, poi dall’Africa settentrionale si è diffuso in tutto il bacino mediterraneo. Inizialmente fu usato dalle puerpere europee per aumentare il loro latte materno. Le chiazze bianche sulle foglie simboleggiano le gocce del latte della Madonna cadute mentre allattava il Bambin Gesù. Da qui il nome di cardo mariano. Sono sorpresa dal fatto che dai moderni sia stata trascurata la forza terapeutica di questa pianta. Chi mangia il cardo guarisce tutti i mali di testa, cura l’udito, aguzza la memoria, guarisce dalle vertigini, cura il cervello e la vista, libera la milza, elimina il catarro e migliora le membra deboli dei paralitici. L’infuso di cardo, con vino rosso, guarisce ogni dolore del corpo ed espelle ogni impurità. Il distillato di cardo, bevuto la mattina digiuno, elimina i cattivi umori e conserva i buoni. Bere un decotto di cardo con vino bianco e coprirsi con panni caldi, guarisce ogni febbre. Bere la polvere di cardo con brodo o vino bianco caldo purifica la gola e lo stomaco, elimina il cattivo sangue e genera il buono, poi allarga il petto e aguzza l’appetito. La polvere fa dormire, tiene il cuore allegro e poi mitiga il mestruo alle donne. Infine, masticando la radice del cardo, fa bene alle gengive et boni denti.

Giannella. Come è arrivata a scoprire le molte virtù del cardo?
Caterina. Nella mia vita mi sono sempre circondata dei migliori medici e l’attenzione alla ricerca mi ha confermato la bontà delle intuizioni di questi scienziati che mi onoravano della loro amicizia. Sono stati loro a indicarmi le proprietà epatoprotettive di questa pianta, in grado di migliorare la funzionalità delle cellule del fegato, abbassare i trigliceridi e il colesterolo. Funziona anche da tonico e rigenerante del fegato nelle malattie epatiche dovute ad alcool, a consumo di droghe, a veleni ambientali.

Giannella. Insomma un’arma essenziale per il benessere femminile e anche dell’uomo.
Caterina. Più per la donna. Vede, il cardo contiene una gran quantità di fitoestrogeni, detti flavonolignani, che regolano la produzione ormonale femminile, il cui equilibrio è fondamentale per il benessere generale della donna.

Giannella. Adesso che ci penso, di questi flavonolignani ho sentito parlare il giorno in cui un mio amico era stato ricoverato con urgenza per intossicazione da funghi.
Caterina. Esatto. Un trattamento endovenoso con un derivato solubile dei flavonolignani è oggi un importante fattore salvavita nella terapia standard di casi di avvelenamento da Amanita phalloides. Mi fermo qui, ribadendole la mia totale fiducia nelle qualità del cardo amico del fegato. Con tutto quello che il fegato deve filtrare tutti i giorni, non è una sorpresa che possa essere a volte sovraccaricato. Il cardo mariano può aiutare a ringiovanirlo e anche a proteggerlo dai danni futuri. Chiunque abbia avuto epatiti, cirrosi o altre condizioni del fegato dovrebbe aggiungere il cardo come integratore. In effetti, non farebbe male se tutti lo prendessero abitualmente come erba tonica.

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La Rocca di Riolo Terme è una fortificazione militare di fine XIV secolo. Diverse famiglie nobili si sono succedute nella guida della Rocca, ma è solo sotto il dominio di Caterina Sforza che raggiunge la massima efficienza militare e le forme attuali. Oggi è sede di un museo del Paesaggio dell’Appennino Faentino, gestito dalla Cooperativa Atlantide (info: 0546.71025; www.atlantide.net).

Giannella. Mettiamo da parte il cardo, le cui azioni nella Borsa e nelle erboristierie Romagnole, come quella dell’amico Vittorio Ciocca a Cervia, saliranno come non mai dopo queste sue rivelazioni. Passiamo ai vini. Ha saputo che nella città romagnola da cui ha preso origine la vostra dinastia, l’antica Cotoniola e odierna Cotignola, hanno presentato anni fa cinque vini inneggianti alla sua dinastia?
Caterina. No, questa mi è sfuggita. Ah, Cotoniola: quanti ricordi mi fa affiorare! Anno 1411, momento storico determinante per la mia famiglia. Papa Gregorio XII cedette, per i servizi svolti, quella contea ravennate al capitano di ventura Giacomuzzo Attendolo, detto Muzio, mentre il soprannome di “Sforza” successivamente sostituirà il cognome e come tale sarà tramandato agli eredi. Nel 1450 il primogenito di Muzio, Francesco Sforza, capitano di ventura come il padre, diede inizio al governo della dinastia Sforzesca nel ducato di Milano. Dodici anni dopo nasco io a Milano. Ma torniamo a Cotignola, mi fa piacere che quella città voglia recuperare le proprie origini e tradizioni utilizzando lo “stile Sforza”: intraprendenza, determinazione, passione ed equilibrio, è il poker vincente per un nuovo rinascimento non solo della Romagna. Torniamo ai vini: chiederò alle autorità di Riolo, quelle che mi hanno riconsegnato questa casa-rocca, di lasciare nella Sala del Pozzo qualche bicchiere di buon vino di Romagna. Sa, il vino è una garanzia per l’estetica femminile. Una bella donna, che sia gelida e impacciata, distante e distaccata, non può essere esteticamente attraente. Il vino serve a vivificare l’aspetto, a far decollare lo spirito (e quindi tutto il comportamento), fa crescere la socialità, la fiducia, la maggiore confidenza con gli altri. Anche le donne più scostanti diventano allora più accostanti e quindi, per chi le osservi in totalità, esteticamente più belle. Una delle più belle donne del Seicento francese, Ninon de Lenclos, che a 80 anni non aveva ancora una ruga e veniva richiesta in sposa dal giovane abate Grécy pronto a lasciare per lei la tonaca, richiesta del segreto della sua bellezza perenne, disse semplicemente: “Non mi sono mai addolorata per le avversità della vita, ho dato al sonno le ore dovutegli e, soprattutto, mi sono sempre rallegrata con qualche buon bicchiere di vino”. E uno scrittore di cui le avrà parlato il suo maestro e amico Enzo Biagi, Paolo Monelli, ha scritto che, sul piano estetico, con il vino “si dilegua la nebbia degli anni dal volto delle donne che ci stanno vicine, gli uomini ci sembrano tutti leali e le donne tutte amorose. Il passato torna presente e l’avvenire appare colmo di piacevoli avventure”. Tutto diventa poesia, affrancamento dalla ragione e dalla realtà quotidiana.

Giannella. Vediamo sempre più Caterina in ogni donna a noi vicina, grazie al vino che diventa un filtro magico…
Caterina. Esatto. Senta ancora Monelli: “Più beveva, più le si lisciava la pelle e gli occhi le splendevano e le si rassodava il corpo, come uscisse dalla fontana di giovinezza. Ottimismo e amore del prossimo nati dal vino”. E io aggiungerei: nascono anche la fedeltà alle nostre passioni, ai nostri interessi, ai nostri progetti. Ancora oggi continuo a scrivere per aggiornare il libro di ricette di cui le parlavo. Ecco perché lei ha sentito il profumo dei gelsomini. È dalle qualità di questo fiore che adesso la mia mente è presa.

Giannella. Capisco, e la lascio alle sue ricerche. Tornerò per aggiornarmi. Arrivederci.

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ALBUM / LE ALTRE ROCCHE NEL RAVENNATE

Ferdinando Cimatti, fotografo romagnolo di più ampie vedute

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Ferdinando Cimatti

L’immagine a 180 gradi della Rocca di Riolo Terme e quelle che trovate nell’album qui di seguito (e altre che troverete nei prossimi servizi sulla nostra Romagna) portano la firma di un fotografo romagnolo di ampie vedute: Ferdinando Cimatti. Ha iniziato a fotografare nel 1980 da autodidatta, esprimendosi quasi esclusivamente con opere in bianco e nero, curandone personalmente anche lo sviluppo e la stampa. Dal 2005 ha iniziato a dedicarsi al nuovo sistema digitale dove interviene su ogni operazione, dallo scatto alla stampa, sia essa a colori o in bianco e nero. Durante la propria trentennale carriera di fotografo ha partecipato a molti stage di rilievo internazionale, esponendo in mostre personali e collettive e ottenendo premi e riconoscimenti. È autore di volumi monografici sulle città romagnole, nei quali offre all’osservatore nuove angolature, sui piccoli borghi, chiese, monumenti, paesaggi, offrendo una prospettiva molto originale. Contatto: ferdinandocimatti@gmail.com.

  • Rocca di Bagnara di Romagna. Fu costruita a opera delle famiglie Riario e Sforza nel XV secolo, sulle rovine del castrum medievale. Alla morte di Girolamo Riario, ucciso in una congiura a Forlì, gli subentrò la vedova Caterina Sforza. Caterina vendicò il marito in maniera spietata e mantenne il possesso di tutte le sue terre. Caterina nulla poté invece contro l’invasione dell’esercito francese di re Carlo VIII, che nel 1494 scese nella penisola diretto a conquistare il Regno di Napoli. Caterina s’incontrò segretamente, proprio nella rocca di Bagnara, con il duca di Calabria, figlio del re di Napoli, per stringere un’alleanza (23 settembre 1494). Ma l’esito del conflitto fu favorevole a Carlo VIII, che divenne il nuovo padrone della penisola italiana. Dopo i francesi, Bagnara dovette subire anche il dominio del duca Cesare Borgia, che alla fine dell’anno 1499 conquistò Imola e gli altri castelli posseduti da Caterina fino a Forlì. Il figlio Ottaviano Riario, giunto intanto alla maggiore età, avviò una campagna per la riconquista dei suoi territori, ma si rivelò non all’altezza del compito. Nel ‘700 la rocca fu convertita dall’uso militare all’uso civile, e dopo l’Unità d’Italia fu acquistata dal Comune. Oggi ospita il Museo del Castello. Il maschio è considerato da molti studiosi una delle migliori opere d’arte fortificatoria del XV secolo in Italia.
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    Rocca di Bagnara di Romagna.

  • Ravenna: la Rocca Brancaleone fu costruita dalla Serenissima tra il 1457 e il 1470, a scopo difensivo. L’edificio è diviso in due parti: la Rocca, che ospita diversi eventi, e la Cittadella, all’interno della quale si trova un bel parco pubblico. Per finanziare l’impegnativa impresa furono stanziati, dapprima, i proventi del dazio sul sale e in seguito con prelievi fiscali vari e cercando di risparmiare con l’utilizzazione di materiali provenienti dalla demolizione degli antichi edifici.
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    Ravenna: la Rocca Brancaleone.

  • Rocca di Brisighella: è datata 1310, fu costruita per volere di Francesco Manfredi, signore di Faenza. Fu dominio dello Stato della Chiesa, dei Borgia e dei Veneziani, per poi ritornare sotto il controllo della Chiesa fino all’annessione al Regno d’Italia nel 1860. È ambientato all’interno della Rocca il drammatico finale del romanzo storico Il figlio del cardinale della scrittrice irlandese Ethel Lilian Voynich (1897), semisconosciuto in Italia ma di enorme successo nel mondo comunista ai tempi della Guerra Fredda. L’opera, ambientata nell’Italia risorgimentale agli inizi dell’Ottocento, vede snodarsi la propria trama tra l’allora Granducato di Toscana (Pisa, Livorno e Firenze) e la Romagna Pontificia (Brisighella, dove la vicenda narrata ha il suo tragico epilogo). I temi dominanti del libro vanno individuati nell’eroismo e nella lotta per la libertà, ai quali va aggiunto anche un tormentato ateismo.
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    Rocca di Brisighella.

  • Rocca Estense di Lugo. È un’architettura quattrocentesca fortificata. Dopo il passaggio di Lugo alla Chiesa fu ampliata e, dal 1847, è sede dell’Amministrazione comunale. In una stanza è conservato un dipinto di Gioachino Rossini, che fu consigliere comunale per alcuni anni. Una curiosità: sulle pareti esterne della Rocca cresce una rara varietà di piante di capperi. Nell’Ottocento, grazie alla raccolta affidata a privati e alla rivendita, rientravano fra le entrate del bilancio comunale. Attualmente i capperi vengono raccolti da incaricati del Comune, conservati in salamoia e offerti in dono agli ospiti e alle delegazioni ufficiali in visita alla città.
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    Rocca Estense di Lugo.

  • Lugo: castello del Ducato di Fabriago. Nacque inizialmente come casolare o “casa di villeggiatura”, tramutandosi in castello solo nel 1882 per volere del duca Massari. Fu proprietà delle famiglie Estensi e Rondinelli e oggi, completamente ristrutturata, ospita cerimonie ed eventi. (Qui un video)
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    Lugo: castello del Ducato di Fabriago.

  • Palazzo Grossi a Castiglione di Ravenna. Conosciuto anche come Castello dei Conti, è una residenza fortificata costruita tra il 1560 e il 1565, su commissione di Pietro Grossi. Il Castello passò di mano in mano, acquistato anche da cooperative agricole finché non divenne proprietà del Comune di Ravenna nel 1986.
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    Palazzo Grossi a Castiglione di Ravenna.

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