Le città del Dragone sono sempre più care e lo straniero sempre meno ricco. Tutti le analisi del costo della vita per gli expatriate concordano nel rilevare una perdita della capacita’ d’acquisto rispetto alla stabilità – se non alla riduzione – delle retribuzioni decise dalla casa madre che invia un proprio rappresentante in Cina. Non fa eccezione l’ultimo rapporto pubblicato dalla società di consulenza Esa International: delle 425 città esaminate al mondo, Pechino è la 22ma più cara, con Shanghai al 26mo posto. Le due metropoli cinesi si trovavano rispettivamente in posizione 35ma e 41ma nella classifica dello scorso anno. Si collocano inoltre al quinto e al settimo posto in Asia, la cui classifica è come sempre guidata da Tokyo, la città più cara anche al mondo.
Il rapporto prende in considerazione il costo della vita per i soli acquisti correnti: alimentazione, trasporti, abbigliamento. Non include dunque le spese che incidono maggiormente per gli stranieri, come le scuole private, le automobili e le abitazioni di pregio che a essi erano tradizionalmente riservate. Tra le 50 città più care esaminate in Asia, 16 sono cinesi. I risultati sono suffragati da precedenti analisi, condotti da istituti prestigiosi come Mercer e The Economist Intelligence Unit. Cambiano alcuni indici, differiscono parzialmente le classifiche, ma la tendenza si conferma con nettezza: le città cinesi sono sempre più care – e comunque meno economiche – per gli stranieri.
Più convenienti Hong Kong e Singapore. Anche città famose per il loro alto costo della vita come Hong Kong e Singapore appaiono più convenienti, almeno per certi parametri, rispetto alla Cina. Il South China Morning Post ha rilevato con un rilevante sforzo d’indagine che molti prodotti di consumo corrente come il pane e il caffé sono molto più cari a Pechino che nell’ex colonia. Questa differenza si spiega con i dazi che ancora gravano nella Rpc sui prodotti importati: se gli acquisti avvenissero nei mercati rionali, dove gli stranieri sono clienti rari, il paragone sarebbe meno sorprendente.
Costi tutti in rialzo. Rimane tuttavia indiscutibile che vivere in Cina sia sempre più oneroso. L’inflazione e soprattutto il continuo apprezzamento del Renminbi sono le cause principali. Il costo delle materie prime, della logistica e del lavoro sono tutti in rialzo e concorrono all’ascesa in graduatoria. Nell’industria le retribuzioni sono ormai poco competitive rispetto agli altri paesi emergenti. Il salario minimo di un operaio tessile cinese è superiore del 50% a quello del suo collega messicano (6 volte più di un bengalese, 3,5 più di un vietnamita). E’ la struttura produttiva che determina il basso costo dei prodotti, non più i salari di sussistenza per i quali la Cina era famosa.
Il costo della vita per gli stranieri riflette dunque una Cina che cambia pur senza omologarsi. L’integrazione con le altre economie manterrà affollato di stranieri il panorama delle grandi città, ma essi non saranno comunque i più ricchi. Un nuovo ceto sociale si è affermato in Cina e la sua presenza appare sia potente che diffusa, pronta a sostituire anche negli acquisti più costosi il ridotto gruppo dei classici expatriate.